Foto: copertina del libro e Michele Mirabella

 

E’ sicuramente uno dei volti più noti della televisione, grazie anche alla conduzione di  diversi programmi dedicati alla medicina: l’ultimo, in ordine di tempo, si chiama Buongiorno Elisir. Nato a Bitonto in Puglia, Michele Mirabella è stato anche attore e registra teatrale. In RAI ha iniziato con una serie di trasmissioni radiofoniche come La luna nel pozzo. Lunga è stata anche la sua carriera cinematografica. Nel 1981 ha recitato, ad esempio, con Massimo Troisi nel film Ricomincio da tre. Inoltre, è stato regista di opere liriche a Cagliari, Salerno, Bari, Savona, Catania e altre città.  

 

Oltre a insegnare all’Università Mirabella ama anche scrivere libri. Dopo La più bella del villaggio, Lo spettatore Vitruviano e Cantami, o mouse,  ora ha pubblicato per la Armando Editore  Il Selfie di Dorian Gray  che s’ispira al romanzo di Oscar Wilde Il ritratto di Dorian Gray: storia  ambientata a Londra nel XIX secolo e che parla di un uomo che riesce a rimanere sempre giovane facendo invecchiare al proprio posto il suo ritratto.  Per la cronaca, a Dorian Gray si è ispirato nel 2009 anche un film psicologico dell’orror, nonché l’attrice Maria Luisa Mangini che con il nome d’arte, appunto, di Dorian Gray,  ebbe un buon successo negli cinquanta ma ossessionata dal suo corpo e dall’invecchiamento si suicidò nel 2011 all’età di 83 anni.

 

Mirabella, anche lei timoroso dell’invecchiamento?

 

Macché, semplicemente incuriosito, e per certi versi infastidito, da questo bisogno di immortalarsi ad ogni costo attraverso il ritratto, o meglio, dell’autoritratto, oggi chiamato selfie. Non a caso il libro inizia raccontando la storia di una certa Kim Kardaschian, personaggio televisivo, attrice e imprenditrice statunitense, che pur di rafforzare la sua dubbiosa notarietà ha realizzato con il telefonino ben seimila autoscatti in quattro giorni.

 

Quello che mi infastidisce è questo bisogno di farsi fotografare ad ogni costo, ancora meglio se con un personaggio importante. Una volta questo desiderio poteva anche rappresentare la testimonianza di un giro di autorevoli di conoscenze. Ma oggi, che un buon selfie non si nega a nessuno, che senso ha collezionare decine e a volte centinaia di foto insieme ad attori, cantanti e politici? Comunque riconosco che il Selfie rientra nella grande tradizione degli autoritratti, una debolezza che ha contagiato numerosi pittori di fama mondiale, come Velasquez, Courbet, Lorenzo Lotto e altri. Con la piccola differenza: loro hanno, comunque, espresso un’opera artistica; i nostri ‘selfisti’ si limitano a fare un banale click. Ma tutto questo, ovviamente, è solo un dettaglio. Il mio libro non si propone certamente di condurre una crociata ai selfie.  In definitiva, ognuno è libero di autocelebrarsi come vuole.

 

Parliamo allora del suo libro. Cosa l’ha spinta a scriverlo?

 

La constatazione, e qui parlo da docente Universitario, che nell’era della comunicazione praticamente non esiste un testo unico della comunicazione. E questo, a mio avviso, è una lacuna notevole. La capacità di comunicare è fondamentale. Puoi avere le migliori idee del mondo ma se non sei capace di comunicarle non ottieni alcun risultato. Saper comunicare è un mestiere che non s’improvvisa. Ci sono delle tecniche precise, sperimentate, collaudate, sia nei tempi di esposizione che nell’ordine delle tematiche da affrontare.

 

In passato qualcuno ha obiettato che io faccio trasmissioni sulla medicina senza essere un medico. La mia risposta è sempre la stessa: per fortuna che non lo sono. Se fossi un medico probabilmente non riuscirei a raccontare o a far raccontare ai medici l’essenza del messaggio che la trasmissione televisiva intende trasmettere al telespettatore.

 

Quindi il suo libro è rivolto soprattutto a chi intende entrare nel mondo della comunicazione?

 

Il libro è rivolto a tutti perché la comunicazione non riguarda solo gli esperti e gli uomini pubblici ma tutti indistintamente. Faccio un esempio: conoscere le regole per scrivere un interessante e attraente articolo non serve solo ai giornalisti. Saper scrivere in maniera comprensibile è importante in ogni circostanza della vita: quando si stende un rapporto, quando si fa una denuncia, quando si manda una relazione e anche quando si scrive una semplice lettera di auguri. Purtroppo, molte persone credono che basti non commettere errori di ortografia per scrivere bene. Non è così. La conoscenza della lingua è, ovviamente, fondamentale. Purtroppo non sono pochi coloro che scrivono in maniera astrusa e incomprensibile anche se in un italiano grammaticalmente corretto. Ne costituiscono un esempio lampante molte leggi e ordinamenti scritti da politici e burocrati incompetenti.

 

Lei nel suo libro si sofferma anche sull’importanza della comunicazione nel villaggio globale. In estrema sintesi a cosa si riferisce?

 

Anche qui molti credono che il problema sia solo quello di migliorare i traduttori automatici. Certo, sarebbe un buon aiuto ma ancora non avrebbe risolto il problema. Oltre a una lingua dominante come l’inglese, la globalizzazione ci sta portando verso un modo universale di rapportarci. Per certi versi stiamo rimettendo in piedi la torre di babele: si sta, cioè, affermando una logica universale nelle comunicazioni tra le persone e gli Stati. Riconoscerla e interpretarla nel modo corretto diventerà probabilmente la carta vincente della comunicazione del futuro. Ed è proprio questo che cerco di trasmettere nel mio libro.

 

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