Foto: Enzo Samaritani (a destra) con il figlio Giovanni. Sullo sfondo il teatro dell’Arciliuto. 

 

E’  sicuramente un dei luoghi più cult di Roma che sta per festeggiare il suo cinquantesimo anno di vita (l’inaugurazione è avvenuta l’11 novembre del 1967). Parliamo dell’Arciliuto, considerato da molti un vero tempio della cultura localizzato all’interno di una dimora cinquecentesca alle spalle della famosa Piazza Navona (più precisamente in Piazza Montevecchio 5). Qui si mangia, si canta, si fa poesia, si fa teatro e si riflette sui valori sociali. Il locale è frequentato da artisti, filosofi, giornalisti, imprenditori, scienziati e anche da tanta gente comune che ogni tanto ama evadere dalle bruttezze e asprezze quotidiane per immergersi nel bello e colto rievocato in modo leggero e mai banale. Artefice di questo piccolo-grande mondo è Enzo Samaritani, fondatore dell’Arciliuto, un accogliente ristorante abbinato a un piccolo teatro che dagli anni sessanta (in coincidenza con la contestazione studentesca) fino ai giorni nostri, ha coinvolto diverse generazioni in una riflessione collettiva sulla necessità di coltivare l’arte come migliore antidoto a ogni forma di arroganza fisica e intellettuale. Ma sentiamo cosa ci dice Samaritani.

 

A distanza di cinquant’anni dall’inaugurazione dell’Arciliuto, quale è l’aspetto che giudica più positivo di questa esperienza e quale, invece, rappresenta il suo maggiore rimpianto?

 

Cominciamo col dire che non ho alcun rimpianto. La maggiore soddisfazione? Aver ‘allevato’, se possiamo usare questa parola, ben quattro generazioni di persone felici di stare insieme e di confrontarsi ogni sera con mentalità, esperienze e conoscenze diverse.  E’ incredibile come nonostante tutte le difficoltà, soprattutto quella di raggiungerci per la totale mancanza di posti auto, abbiamo un pubblico di fedelissimi che ci segue da mezzo secolo e che si rinnova in continuazione. Un pubblico che supera la paura di uscire di casa e quella di riflettere ad alta voce, in allegria e con spirito costruttivo.

 

Ma nel concreto come è cambiato questo pubblico nel corso degli anni?

 

L’arciliuto ha sempre avuto la capacità di amalgamare persone di origini diverse, di orientamenti politici, culturali e sociali a volte anche contrastanti. Parlando e cantando, riunendosi nel nostro piccolo teatrino, la gente si è sempre sentita a casa propria. Da noi non ci sono profeti o possessori della verità: siamo tutti amici, anche se per una sera sola, e tutti disposti non solo a parlare ma anche ad ascoltare. Purtroppo, lo debbo ammettere, un certo pubblico giovanile sta scomparendo, attratta da altri generi musicali, da internet, dai telefonini, da un diverso modo di rapportarsi agli altri. Però ci sono anche tanti giovani che vanno in controtendenza.

 

Lei come si definirebbe?

 

Un menestrello, che ama certi poeti come Eugenio Montale, che crede nella potenza spirituale della musica e del teatro, che lotta per il mantenimento della purezza della lingua italiana (la più bella e musicale del mondo), che non si rassegna alla volgarità e alla violenza, anche in televisione.

 

Quali sono i suoi progetti futuri?

 

Intanto donare tutta la mia vasta libreria al Comune di Alvito, in Provincia di Frosinone nel Lazio, dove sono nato. Poi sto assistendo mio figlio Giovanni che ha deciso di dedicarsi interamente all’Arciliuto, e questo mi da una gioia immensa. In questo modo non si disperde un bagaglio enorme di esperienze, relazioni, scambi culturali e conoscenze. Infine, mi sto dedicando a un personalissimo genere culturale che ho chiamato Poesia Sinfonica della Terza via. In due battute, si tratta della lettura a due voci di un testo ispirato da una grande opera musicale. Comunque se qualcuno fosse interessato, più che dare una spiegazione suggerisco di collegarsi su Youtube e visionare il video “E’ musica cadenza” di Enzo Samaritani.

 

Vedere il Video: L’Arciliuto il Tempio della cultura. 

 

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