Foto: Katia Anedda con la copertina del suo libro.

 

Nell’ambito del progetto di costituzione di un nuovo e forte Stato Sociale promosso dalla REA, Radiotelevisioni Europee Associate,  come Sesto Bisogno Capitale viene indicata la possibilità di difendersi legalmente (gli altri Bisogni riguardano: la necessità di nutrirsi; vestirsi; avere un tetto; curarsi; istruirsi; avere una corretta informazione). Ebbene, questa tutela legale non può limitarsi a chi risiede in Italia ma deve estendersi a tutti coloro che sono di passaggio o che vivono stabilmente all’estero. Eppure dei diritti di questi italiani se ne parla molto poco, quasi per niente.

 

Una delle pochissime persone che invece si batte da anni per i detenuti all’estero è Katia Anedda, Presidente della Onlus ‘Progionieri del Silenzio” e autrice dell’importante volume ‘Prigionieri dimenticati” (edito da Historia) e del lavoro teatrale Legami – A morte Don Giovanni. . “Le ragioni”, spiega la Anedda, “che ci hanno indotto a dar vita all’associazione sono evidenti: spesso i detenuti italiani vengono sottoposti a condizioni di vita lesive dei più elementari diritti dell’uomo e assolutamente non sono compatibili con l’obiettivo della riabilitazione cui la pena deve essere finalizzata”.

 

L’autrice del libro parla sicuramente con cognizione di causa: per anni ha seguito l’assurda vicenda di Carlo Parlanti (con il quale all’epoca era legata sentimentalmente) e che negli Stati Uniti è stato condannato a 9 anni di prigione per aver, secondo l’accusa, violentato e picchiato una donna: un processo talmente iniquo e, per certi versi assurdo, che la sua esperienza è diventata col tempo un caso emblematico, alimentando numerosi articoli e libri. La sua storia è stata più volte accostata a quella di Chico Forti, altro italiano in prigione  e sempre negli Stati Uniti, per un omicidio dai contorni a dir poco oscuri e dubbiosi.

 

Attualmente gli italiani all’estero sono poco meno di 3.500. “Può sembrare un numero esiguo”, dice la Anedda, ”ma dietro ognuna di queste storie ci sono almeno dieci persone che soffrono, tra parenti e amici. Quindi parliamo di un fenomeno che riguarda circa 35 mila persone”. Nel suo libro (che può contare su una significativa presentazione dell’ex ministro degli esteri e Ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata),  la Anedda racconta unidici storie emblematiche: due si sono svolte negli Stati Uniti, le altre in Canada, Messico, Colombia, Venezuela, Marocco, Mali, Filippine, Grecia e Spagna. Storie che in certi casi hanno visto come protagonisti ingenui ragazzi inclini a una qualche bravata ma anche persone preparate e colte, come l’Ambasciatore Daniele Bosio, che è stato vittima di circostanze imprevedibili e totalmente artefatte. Comunque, la Anedda non esprime mai dei giudizi sulla colpevolezza o meno degli imputati: si limita a descrivere situazioni oggettive di mancanza di ogni forma di rispetto umano e di garanzie giuridiche.

 

“Purtroppo”, conclude la scrittrice, “mancano idonei strumenti di assistenza, con la conseguenza che sovente i detenuti all’estero non ricevono neppure le cure mediche del caso, né un’appropriata difesa legale. L’Italia, non prevede infatti, per i nostri cittadini l’istituto del gratuito patrocinio e anche gli aiuti che possono essere concessi dai Consolati italiani sono solo facoltativi. In Italia si fanno tanti e giusti cortei per il sovraffollamento delle carceri ma quasi nessuno s’interessa dei nostri concittadini imprigionati all’estero, spesso innocenti”. Forse l’amara consolazione finale è che probabilmente nella ‘patria del diritto’ ancora oggi il detenuto sul piano generale viene rispettato più che in tanti altri Paesi, anche del mondo occidentale e sviluppato.

 

Note:

Per maggiori informazioni: www.prigionieridelsilenzio.com

Vedere il video Katia Anedda e gli italiani prigionieri all’estero