Foto: nel riquadro Elena d’Elia

Nell’ambito dell’indagine promossa dalla REA (Radiotelevisioni Europee Associate) sulle possibilità di creare un nuovo Stato Sociale (vedere il video a fondo pagina) abbiamo intervistato Elena D’Elia, una delle maggiori esperte in Italia di musicoterapia.  Riconosciuta a livello internazionale, la musicoterapia affianca la medicina tradizionale e il bisogno di curarsi anche con sistemi alternativi.   

 

La D’Elia ha conosciuto la musicoterapia durante il suo primo percorso accademico, mentre era intenta a laurearsi in Storia della Musica presso l’Università “La Sapienza” di Roma. L’interesse verso le applicazioni della musica in contesti preventivi, riabilitativi e terapeutici l’ha portata a iscriversi presso la Scuola di Formazione “Glass Harmonica” di Roma, sotto la supervisione della Dott.ssa M. Emerenziana D’Ulisse: è iniziato così un percorso triennale, professionalmente qualificante, secondo il modello Benenzon, dal nome del suo fondatore Roland Omar Benenzon, psichiatra argentino nato  a Buenos Aires nel 1939. Questo metodo si basa sui  principi di un intervento non verbale con il paziente, dove l’obiettivo è la relazione terapeutica mediata solamente dal suono. Dopo il diploma, ha cominciato a collaborare con una cooperativa sociale di Ladispoli (alle porte di Roma), per l’avvio di un laboratorio di musicoterapia rivolto ad utenti affetti da plurihandicap medio – grave, prevalentemente autistici o portatori di altre sindromi (Sindrome di Down, Sindrome dell’X fragile). Ma sentiamo direttamente dalle sue parole come si è sviluppata la sua esperienza professionale.

 

“Data l’eterogeneità del gruppo”, dice la D’Elia, “ho dovuto affiancare i principi del modello benenzoniano alle mie esperienze di insegnante di musica, avviando così delle attività di gruppo con un intervento misto tra verbale e non verbale. Nel tempo, abbiamo iniziato a sonorizzare piccole storie e sequenze narrative attraverso l’uso dello strumentario Orff (percussioni prevalentemente non intonate), dando inconsapevolmente vita a un percorso che ci avrebbe portato alla drammatizzazione scenica in maniera strutturata”.

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“Qui è accaduto in misura maggiore quello che, in genere, si verifica durante un trattamento individuale, nella relazione paziente – terapeuta: molti degli utenti hanno subito una vera e propria catarsi dovuta all’immedesimazione nei personaggi interpretati, perlopiù legati a storie per l’infanzia molto valide soprattutto dal punto di vista pedagogico. Ciò ha favorito ulteriormente il potenziamento delle parti sane del paziente, attraverso le quali ogni ragazzo ha potuto scoprire e mettere in gioco altre risorse fino ad allora sopite, con una sorprendente ricaduta positiva su se stesso e nella relazione con in compagni, l’équipe e la terapista stessa”.

 

Dove operate generalmente?

 

La nostra attività di drammatizzazione, che cammina di pari passo con quella musicale, ci ha condotto fuori dal nostro ambiente. Ogni anno siamo ospiti degli Istituti Comprensivi del territorio, dove bambini e adolescenti ascoltano le nostre favole in musica: racconti che parlano di rispetto, d’inclusione, di abilità sociali e relazionali e soprattutto della reale possibilità di abbattere le differenze, in un’autentica dimensione di giustizia sociale.

 

Purtroppo, la musicoterapia non gode del giusto riconoscimento a livello nazionale: sebbene sia una terapia di supporto che integra quelle più specificamente mediche, non esiste, ad oggi, un albo nazionale dei musicoterapisti (così come avviene anche per altre professioni, ad esempio i fisioterapisti), ma solamente un albo regionale. Inoltre, le cooperative e le piccole e medie realtà socio-assistenziali soffrono per la crescente indisponibilità di fondi, strutture e personale, che lavora anche per 8 – 10 ore al giorno per pochi euro l’ora.

 

Cosa si aspetta dagli enti pubblici?

 

Sarebbe auspicabile un intervento più massiccio dello Stato, dall’incremento delle ore di assistenza domiciliare a quello delle risorse disponibili per il cosiddetto Dopo di noi, che assicurino agli utenti le giuste cure una volta che i loro familiari non saranno più in vita. Come considerazione personale, infine, ritengo che valorizzare la musicoterapia, in quanto terapia integrata con quelle più strettamente mediche, migliorerebbe sensibilmente la qualità della vita degli utenti, con un potenziamento degli effetti delle cure farmacologiche ma soprattutto con un innalzamento del benessere psicofisico che allevi la sofferenza degli utenti e la fatica dei badanti, quali familiari e operatori.

Per maggiori informazioni: eledelia@libero.it

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