Foto: Antonio Diomede intervistato davanti a Montecitorio in occasione di una recente manifestazione organizzata dalle radio e televisioni locali.  

Sta per compiersi da parte della REA (Radiotelevisioni Europee Associate) l’ultimo tentativo per evitare la chiusura di poco meno di 400 emittenti locali a causa del DPR numero 146 del 23 agosto 2017. In estrema sintesi, questo decreto stabilisce che, a seconda del numero di abitanti del territorio per cui è stata presentata la domanda, le televisioni debbano avere da 8 a 14 dipendenti, da due a quattro giornalisti per poter beneficiare dei contributi pubblici (130 milioni di euro complessivi). Per quanto riguarda le radio, dei due dipendenti in organico almeno uno deve essere un giornalista a tempo pieno.

Conseguenza: la grande ventata di innovazione e libertà avviata verso la fine degli anni settanta con la nascita delle radio e televisioni locali rischia di svanire completamente fra qualche mese. Infatti, la maggior parte delle radio e televisioni private saranno costrette a chiudere mandando a casa migliaia di lavoratori. La ragione è semplice: la piccola e media emittenza televisiva locale, stante la crisi economica e il conseguente mercato della pubblicità, non può in alcun modo permettersi un simile onere occupazionale.

La legge mi sembra eccessiva”, ha dichiarato uno che di televisione s’intende, parliamo di Pippo Baudo, “perché dare un peso di quattordici persone a una piccola televisione significa caricarla di spese enormi che non vengono ovviamente coperte nel rapporto con il territorio mentre l’importanza delle televisioni e radio locali è notevole perché allineano il territorio ai problemi locali. C’è un rapporto di fidelizzazione del pubblico con le emittenti locali molto forte. Ovviamente con quattro giornalisti professionisti e altri dieci tecnici non ci si fa. È come dichiarare la morte.  Mi dispiace”.

L’ultima carta che la REA sta giocando in questi giorni è quella di attivare alcuni emendamenti al Disegno di Legge di Bilancio in grado di dare un minimo di ossigeno a un comparto che rischia di scomparire. Ecco le principali:

  1. Associazione di scopo. Occorre consentire la nascita di Associazioni di scopo temporanea in modo da raggiungere il duplice obiettivo: 1) assicurare l’occupazione attuale senza creare lo spettro della disoccupazione per la chiusura di centinaia di emittenti; 2) creare i presupposti di un incremento dell’occupazione nel settore, attraverso una sana competizione tra le emittenti per superare la soglia minima degli occupati in modo da acquisire alti punteggi nelle graduatorie per beneficiare di un maggiore contributo.
  2. Facoltà per le radio di assumere un giornalista. Al fine di evitare che le radio siano costrette per motivi economici di licenziare uno dei due lavoratori in organico (come previsto dalla legge) per sostituirlo con un giornalista (compiendo, tra l’altro, un’azione antisindacale), l’emendamento proposto prevede di cancellare tale obbligo lasciando alle emittenti la discrezionalità di assumere un giornalista. Da registrare che la quasi totalità delle emittenti radiofoniche si avvale dei servizi giornalistici confezionati dalle agenzie in abbonamento che perderebbero il loro lavoro.  
  3. No alla legittimazione dell’Auditel. Il Regolamento assegna all’Auditel la possibilità di incidere per il 30% sul punteggio di assegnazione dei contributi. Un’assurdità considerato che l’Auditel è una società privata partecipata dalle Reti nazionali Mediaset, la 7 e RAI, cioè, dalle dirette concorrenti delle locali. Tanto più che le Tv locali iscritte ad Auditel si contano sulle dita di una mano.
  4. Una più equa spartizione dei contributi. L’attuale Regolamento prevede di assegnare il 95% dei contributi alle prime 100 emittenti e solo il 5% alle restanti. In altri termini, per altre 400 Tv è prevista solo una piccola mancia del tutto inutile. L’emendamento richiesto dalla REA è che il monte contributi sia ripartito equamente al 50% tra emittenti collocate ai primi cento posti in graduatoria e il rimanente 50% alle altre.

Ultima considerazione. Secondo gli estensori della legge il Regolamento deve servire al sostegno dell’intero settore con i fini di “…assicurare la piena attuazione dei principi di cui all’articolo 21 della Costituzione, in materia di diritti, libertà, indipendenza e pluralismo dell’informazione, nonché di incentivare l’innovazione dell’offerta informativa…”. Il timore è che l’obiettivo vero sia invece quello di garantire una consistente fetta della torta a un gruppo di 100 emittenti amiche per lasciare le altre 380 al proprio destino. Cioè, l’esatto contrario  di quello che prevede la Costituzione.

 

Nota: per chi fosse interessato ad approfondire la complessa tematica riguardante la storia delle Radio e Tv e la concentrazione su scala internazionale del potere mediatico, suggeriamo il libro-intervista con Antonio Diomede Radio e Tv al Bivio (acquistabile su Amazon).