Foto: Gaia Saitta

 

Fino al 13 maggio 2018 la giovane attrice Gaia Saitta è impegnata al Teatro India di Roma nell’adattamento teatrale del libro di Concita De Gregorio ‘Mi sa che fuori è primavera’ pubblicato dalla Feltrinelli. Lei interpreta la tragica storia di Irina Lucidi, una donna alla quale un giorno vengono sottratte dal marito le due figlie gemelle di sei anni. L’uomo si uccide e le bambine non saranno mai più ritrovate.  Una storia vera che si trasforma in una terribile materia poetica. Una storia raccontata in mezzo al pubblico che viene interpellato e quindi rappresenta una parte viva dello Spettacolo. Ma sentiamo cosa ne pensa di questa assurda vicenda l’attrice e regista dello spettacolo.

 

Saitta, questo lavoro teatrale racconta la storia di Irina, una donna che davanti alla più terribile delle tragedie, l’uccisione dei propri figli, cerca di ritrovare l’equilibrio e forse anche la felicità. In che misura lei, come donna, s’identifica con questo personaggio?

 

Il dramma di Irina, così atrocemente assurdo, disegna i confini del dolore e assume il valore antico del mito. Ci contiene tutti, per questo un sentimento di vicinanza è immediato, non solo come donna, ma come persona tout-court.  Il libro della De Gregorio è potente e pieno di grazia. Nel leggerlo, immediatamente ci si sente legati a Irina. I grandi temi della perdita, dell’assenza, del sopravvivere al dolore, dell’amore nonostante, fanno parte del nostro vivere quotidiano. Ogni momento. La mia Irina, verso la fine dello spettacolo, dice: « Non c’è bisogno di immaginare l’esperienza delle essere privati dei propri figli. Ognuno di noi sa che mestiere sia convivere con la mancanza della persona amata. È un assedio. La presenza di chi manca è un’assedio». È così. Ognuno di noi conosce quell’assedio. Non si tratta tanto di identificarsi, ma piuttosto di condividere la radice di un dolore che noi tutti conosciamo.

 

C’è qualcosa che questa storia possa insegnare a ognuno di noi?

 

Il grande miracolo che Irina compie è di non cedere a questo dolore inconcepibile. Irina è una donna che trova la forza di rilanciare, di ridisegnarsi, di continuare a vivere. L’insegnamento allora si situa esattamente in questo glorioso inno alla vita che Irina porta nel suo resistere. Il non fermarsi. L’aprirsi ad una visione altra, più ampia e profonda delle cose del mondo. E poi l’amore. L’amore, sempre e comunque. La resistenza di Irina è un atto d’amore.

 

Oggi si parla molto della violenza degli uomini sulle donne. Anche il delitto dell’ex marito di Irina, Mathias Scherpp, va inquadrata in questa dinamica o il fatto che egli soffrisse di gravi disturbi mentali lo colloca in un’altra dimensione?

 

Io credo che la violenza sia sempre un disturbo mentale e resti sempre ingiustificata. La violenza degli uomini sulle donne è un fenomeno tragicamente antico, diffusissimo. Credo che questo ne sia un crudele esempio. Esempio non solo della violenza di un uomo su una donna, di un marito sulla moglie, ma di un’intera società chiusa e distante, profondamente maschile e maschilista, che di fronte al dramma di Irina, un’italiana in Svizzera, si è dimostrata totalmente sorda e indifferente, essendo lei donna e straniera. La testimonianza di Irina è monito per tutti noi. È tempo di levarci, uomini e donne, contro la violenza sulle donne e non farne solo un problema di genere. Non è un problema delle donne, è un problema di tutti. È un fenomeno di cui finalmente si parla, allora è nostro compito non cedere alla semplificazione, alla banalizzazione. Perché non ci si abitui. Perché non diventi mai l’ennesimo caso di violenza sulle donne, a cui le nostre orecchie sono purtroppo ben preparate. Troppo spesso il dibattito su questo tema, se da un lato restituisce attenzione al fenomeno, dall’altro tende a reiterare soprattutto linguisticamente la discriminazione e un sistema maschilista che è tempo di smantellare.

 

Qual è la principale sensazione che lei spera di riuscire a trasmettere al pubblico recitando la parte di Irina?

 

Io vorrei restituire il contagioso esempio di Irina nel riprendersi il suo diritto alla felicità. Appartiene ad ognuno e ci viene rubato dalle mani ogni giorno. Con modelli fasulli che è ormai d’obbligo imitare, con falsi bisogni e regole societarie del successo, che ci gettano nella frustrazione e nell’ansia di non riuscire. Non riuscire rispetto a cosa? A quali canoni? È tempo di rientrare nei nostri corpi e rispettarli. Riscoprire la bellezza individuale e specifica di ciascuno. È tempi di riabitarci e riconnetterci con un sé più intimo, più vero. Ricominciare da lì.

 

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