Foto: nel riquadro Salvatore Pinto

 

Presidente e Amministratore Delegato di Axpo Italia ed Axpo Gas, nonché  Presidente della Green Energy Storage, Salvatore Pinto, ingegnere, classe 1957, originario di Torre Annunziata (Napoli), insieme a una fede incrollabile nella tecnologia nel suo animo convive anche una grande preoccupazione: “Se non saremo capaci”, sostiene, “di utilizzare correttamente le potenzialità che le nuove tecnologie offrono, corriamo il serio rischio di sprofondare tutti insieme in una realtà a dir poco devastante sul piano sociale e ambientale”. Ma prima di approfondire questo timore e di illustrare uno dei più innovativi progetti tecnologi che la Green Energy Storage sta conducendo insieme al Centro di ricerca olandese sull’energia Differ (parliamo del progetto finalizzato a sviluppare nuovi materiali per batterie), cerchiamo di riassumere in estrema sintesi la folgorante carriera di Pinto.

 

Entrato nel gruppo STET nel 1983, cinque anni dopo passa prima all’Olivetti e poi alla Tandem Computer Italia e in seguito alla direzione commerciale della Pirelli. Nel 1996 rientra in Olivetti con vari incarichi di prestigio. Nel 2001 approda a Telecom Italia come Responsabile della Business Unit Satellitare del Gruppo, ricoprendo anche l’incarico di Amministratore Delegato di Telespazio e responsabile di Innovazione. Tra gli altri prestigiosi incarichi ricoperti figurano quello di Chairman di Trans Adriatic Pipeline Italia, membro del Consiglio direttivo di Anasin, Vicepresidente di Esoa (l’associazione degli operatori satellitari europei) e membro del supervisor board di Eutelsat, nonché del Consorzio satellitare Galileo. Attualmente Pinto è anche membro dell’Advisory Board della Camera di Commercio Svizzera in Italia, oltre ad essere stato il fondatore e Presidente di Skyres (Venture Capital Company) e di Green Energy Storage.

 

In questo momento siete molto impegnati con il progetto Colorflow che prevede la possibilità di creare delle batterie basate sul chinone, cioè, su una molecola presente nel rabarbaro ed in altre piante, e che si può produrre anche in via sintetica. In estrema sintesi, ci può descrivere l’importanza di questo progetto e per quali usi viene ideato?

 

Il progetto Colorflow che ci vede partner industriali del più importante centro di ricerche olandese, rappresenta innanzitutto un grande riconoscimento alle capacità tecnologiche di Green Energy Storage, nella corsa in atto in tutto il mondo alla ricerca di un sistema storage a basso costo e a zero impatto ambientale. Si tratta sicuramente di uno dei progetti più promettenti e che intende sostituire tutte le batterie a flusso esistenti con nuove batterie, totalmente alcaline, ad alta efficienza e quindi a basso costo,  perché prive di qualsiasi materiale corrosivo. Il governo olandese finanzierà questa ricerca e questo è un ulteriore motivo di orgoglio per la nostra realtà, in questo momento tutta italiana.

 

Attualmente le chimiche che utilizziamo sono semiorganiche (chinone e bromo)  e il chinone si può ricavare dal rabarbaro oppure da scarti del petrolio. Il chinone è basato su un brevetto di Harvard e pertanto Green Energy Storage ne ha la licenza, al momento per l’Europa, ma vorremmo estenderla a tutto il mondo. Il progetto Colorflow va oltre e vuole sostituire anche il chinone con una chimica del tutto organica e basata su coloranti naturali (da cui il nome colorflow). Il Differ dovrebbe identificare le nuove chimiche, mentre Green Energy Storage è responsabile per il sistema completo di storage.

 

Quali vantaggi questo tipo di batteria potrà comportare sul piano economico e ambientale e quando ritiene che sarà pronto per essere commercializzato?

 

Riteniamo che le nuove chimiche saranno pronte nei prossimi tre anni e potrebbero rappresentare una svolta importante. In ogni caso, il passaggio attraverso le batterie semiorganiche sarà necessario per raggiungere gradualmente ed in sicurezza (sia tecnologica che economica) questo ambizioso obiettivo.

 

Lei crede molto nella tecnologia ma ne teme anche il suo uso distorto. Si tratta di un vecchio problema che si rinnova continuamente. Secondo Lei qual è oggi il maggiore pericolo che un utilizzo in mala fede della tecnologia possa comportare per l’umanità?

 

La prossima frontiera  è l’intelligenza artificiale e la robotica connessa, che potrebbero da un lato semplificarci la vita ma, come qualcuno sostiene, diventare anche una razza a sé, capace di soppiantare in tutto e per tutto l’uomo. Sarà inevitabile, come è sempre stato, lo sviluppo di queste tecnologie, ma dovremmo accompagnarle con uno sviluppo ulteriore della consapevolezza umana di chi siamo e perché siamo qui.

 

Per fronteggiare la fatale drastica caduta dei livelli occupazionali determinati dai robot, dall’intelligenza artificiale e dalle nuove tecnologie, in diversi ambienti politici, filosofici e culturali sta maturando l’idea di arrivare a un Reddito Universale capace di garantire a tutti le condizioni minime per una sopravvivenza dignitosa. Lei cosa ne pensa?

 

Certamente l’enorme incremento di produttività derivato dalle nuove tecnologie necessiterà di una redistribuzione della ricchezza e la creazione di nuove attività, non necessariamente legate alla tecnologia, ma magari alle scienze filosofiche teatrali e quant’altro intimamente legato all’uomo in quanto essere pensante e dotato di coscienza e sentimenti, quindi in altri termini una rivisitazione del concetto di lavoro e di retribuzione.
Chiaramente, laddove questo non dovesse bastare, dare un reddito ed una capacità di spesa sarà necessario, ma attenzione al pericolo di creare una nuova schiavitù retribuita ma addormentata su se stessa perché impigrita da un reddito piccolo ma sicuro.
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