Foto: a sinistra Alberto Aggio. A destra, Jair Bolsonaro

 

Nei giorni scorsi i principali giornali e telegiornali di tutto il mondo si sono aperti con l’attentato realizzato in Brasile al candidato alla presidenziali del prossimo 7 ottobre, Jair Bolsonaro (del partito social liberale) che, nelle settimane precedenti, ha infiammato buona parte dell’elettorato brasiliano con discorsi radicali.  Abbiamo quindi chiesto un parere sulle conseguenze di questo avvenimento ad Alberto Aggio, Professore di Storia Contemporanea nello Stato di San Paolo del Brasile e autore di diversi libri (alcuni anche su Gramsci), nonché uno dei più importanti collaboratori del prestigioso giornale ‘O Estado de Sao Paolo’. 

 

 

Giovedì 6 settembre il candidato dell’estrema destra alle elezioni presidenziali, Jair Bolsonaro ha subito un attentato nella città di Juiz de Fora (Stato di Minas Gerais) che ha avuto delle forti ripercussioni sia nel Paese che nel mondo. Per fortuna il candidato è fuori pericolo. La pugnalata su Bolsonaro avrà delle conseguenze dirette sul processo elettorale, anche se ancora non è possibile intravedere le ripercussioni in termini di proiezioni dei voti. L’attentato a Bolsonaro è stato un gesto stupido. È stata una pugnalata alla democrazia. La violenza politica alle elezioni presidenziali non è un fatto comune dopo il ritorno alla democrazia nel Paese avvenuta negli anni 1980. La democrazia richiede serenità e spirito di convivenza. Un atto come questo getta legna sul fuoco della violenza verbale e simbolica, che è una delle caratteristiche dei discorsi di Bolsonaro. Potrebbe essere un segnale negativo di ciò che potrebbe accadere nei prossimi giorni.

 

È vero che il Brasile sta vivendo una delle sue più grandi crisi a causa dei disastrosi risultati determinati dalla gestione dell’ex Presidente Dilma Rousseff (PT) e la paralisi dell’attuale Presidente Temer. Ma il clima politico che il Paese sta vivendo è di “terra bruciata” e di polarizzazione estrema. Ciò non aiuta a trovare un’uscita che unisca il Paese sulla base delle sue istituzioni democratiche.

 

Bolsonaro rappresenta un’uscita estrema da questa crisi attraverso un discorso carico di violenza. Per lui, il popolo “recupererà” il potere perso dopo il 1985, quando finì l’ultimo governo della dittatura. Difende apertamente questo periodo, inclusi i torturatori considerati eroi. Il simbolo della sua campagna è un fucile AR15, che fa paura. Il generale Mourão, il suo compagno di merende, ha dichiarato in un’intervista che “gli eroi uccidono”. Succede che gli eroi del momento non hanno usato le armi, ma il bisturi per salvare Bolsonaro. Il generale Mourão non riesce a capire che quegli eroi (in netta contrapposizione con quello che sostiene il giornalista Luiz Carlos Azedo del Correio Brasiliense), “salvano le vite”.

 

Il livello di polarizzazione nel Paese sfida la democrazia. Con Lula (PT) fuori dalla disputa per essere stato condannato e con una estrema destra violenta, si sta vivendo una situazione drammatica. Il Brasile deve trovare una via d’uscita al centro, un via democratica, che ottenga la fiducia della gente e che riguadagni una governance capace di far nuovamente crescere il Paese.

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