Foto: Nel riquadro Fabio Porta

Prima di ascoltare Fabio Porta, ex Deputato eletto nella Circoscrizione Estero (America Latina) e attuale responsabile del PD per il Sud America, ci sembra opportuno ricordare che nel libro Reddito Universale, edito nel novembre del 2018 dalla REA (Radiotelevisioni Europee Associate) e in distribuzione su Amazon, sono state avanzate le seguenti 12 proposte riguardanti gli italiani all’estero: 1) Promuovere in Italia la conoscenza della storia degli italiani all’estero; 02) Stimolare una politica estera che tenga nella massima considerazione la presenza degli italiani all’estero; 03) Valorizzare all’estero non solo la lingua, la cultura e l’arte italiana ma anche gli artisti e uomini di cultura italiani residenti fuori dai confini nazionali; 04) Rafforzare, soprattutto in termini qualitativi, la presenza della rete diplomatica italiana; 05) Concedere agli italiani più poveri e sotto il controllo delle Ambasciate, delle tessere prepagate da utilizzare per l’acquisto di beni prima necessità; 06) Offrire una più efficiente assistenza legale agli italiani arrestati all’estero, in collaborazione con le ONG che già si occupano di questa problematica; 07) Incrementare gli accordi di reciprocità con i Paesi esteri per consentire ai cittadini italiani di votare alle amministrative locali; 08) Limitare i costi, semplificare e accelerare le procedure per la concessione dei passaporti; 09) Favorire la concessione di mutui o garanzie bancarie per l’acquisto di una casa in Italia (anche in multiproprietà) da parte degli italiani residenti all’estero; 10) Intensificare i riconoscimenti reciproci dei titoli di studio; 11) Incentivare i viaggi culturali, soprattutto per i giovani, da e verso l’Italia; 12) Introdurre il voto elettronico o per posta. Fatta questa lunga premessa, veniamo all’intervista. 

Prima di qualsiasi altra considerazione, quale è il suo giudizio sulle 12 proposte formulate dalla REA?

Permettetemi di dirvi grazie per avere scelto al primo punto “la promozione in Italia della conoscenza della storia degli italiani all’estero”: si è trattato forse della battaglia alla quale probabilmente ho dedicato con maggiore entusiasmo i miei anni di lavoro parlamentare; oggi lo studio delle migrazioni nelle scuole è sempre più diffuso, anche se non è ancora codificato e reso obbligatorio ed esteso da una legge, come quella che avevo presentato.  Una battaglia quindi vinta a metà, che spero presto di poter riprendere. Tutti gli altri punti sono il frutto di una vera conoscenza e condivisione della realtà dell’Italia e degli italiani nel mondo, probabilmente il più grande patrimonio del nostro Paese. Un “tesoro” purtroppo ancora poco conosciuto e valorizzato, o – a volte – conosciuto per stereotipi e di conseguenza male utilizzato.

Lei oggi sta conducendo una vera battaglia di moralizzazione del voto all’estero. A che punto è la situazione e quali concrete possibilità di cambiamento ci sono?

Dopo le mie denunce, e in particolare dopo le ultime elezioni del 2018, questa battaglia è diventata prioritaria in materia di politiche per gli italiani all’estero.  Lo stesso Presidente del Consiglio vi ha fatto riferimento negli impegni programmatici assunti davanti al Parlamento all’inizio del suo mandato.   Oggi tutte le forze politiche parlano chiaramente di superamento dell’attuale meccanismo di voto; spero che siano coraggiosi e conseguenti.   E, soprattutto, che questo Parlamento trovi il coraggio di condannare e punire i gravissimi episodi di brogli che hanno condizionato le ultime elezioni, con ricadute pessime sull’immagine degli italiani nel mondo e conseguenze dirette (e improprie, se non illegittime) sulla formazione della maggioranza e la composizione del governo.

Come giudica l’idea di introdurre il voto elettronico per consentire agli italiani di votare anche nei posti più sperduti del mondo?

Ho sempre sostenuto il superamento dell’attuale sistema, non solo nel meccanismo ma anche nella legge elettorale (collegi, preferenze, ecc.).   Non ho soluzioni magiche o ricette miracolose da suggerire e sono certo che le forze politiche sapranno trovare le migliori soluzioni per rendere il voto sicuro e quindi degno della grande lotta che lo ha reso pienamente praticabile dagli italiani nel mondo.   Credo che una riflessione e una sperimentazione seria sul voto elettronico (forse sarebbe meglio dire “on-line”) vada fatta e che in prospettiva, magari passando per una fase graduale di convivenza con il voto per corrispondenza, sarà questo il traguardo per l’esercizio del voto all’estero.

Non le sembra un assurdo che venga consentito di entrare nel nostro Parlamento italiani che avendo una doppia nazionalità hanno svolto incarichi politici all’estero? In teoria, infatti, anche un ex Presidente di un Paese estero con il passaporto italiano in tasca potrebbe diventare un parlamentare in italiano.

Si tratta di un tema delicato e sensibile.   Nella scorsa legislatura fu introdotto un emendamento alla legge elettorale che impedisce a chi negli ultimi cinque anni precedenti le elezioni ha svolto incarichi elettivi o legislativi in Paesi esteri di candidarsi al Parlamento italiano.   Non una proibizione assoluta, quindi.   Alla luce dell’esperienza di questi anni, credo che si tratti di una norma equa e saggia; ciò che si vuole evitare è un pericoloso e non utile sconfinamento tra politiche e sovranità di ciascun Paese, a seguito di una “promiscuità politica” che invece di creare sinergie potrebbe causare imbarazzi diplomatici e sovrapposizioni di funzioni.   Tornare indietro vorrebbe dire dare a un Presidente della Repubblica straniero, come lei stesso sottolinea con questa domanda, la facoltà di rappresentare il proprio Paese all’interno del nostro Parlamento, con imprevedibili conseguenze sul piano dei rapporti tra lo Stato italiano e i Paesi dove risiedono le nostre grandi collettività.

Indipendentemente dai brogli elettorali lei deve ammettere che la cosiddetta legge Tremaglia che ha introdotto il voto degli italiani all’estero si stia rivelando un vero fallimento, sia per l’impegno quasi nullo dimostrato sino a questo momento di molti degli eletti, sia per il costo elevatissimo che tutto ciò comporta (si parla di oltre 250 milioni di euro all’anno). E’ vero che in futuro questi costi dovrebbero diminuire, se non altro per il taglio complessivo dei parlamentari che farà scendere da 18 a 12 i deputati e senatori eletti all’estero.  Tuttavia, qualcosa di incisivo andrebbe comunque compiuto se si intende preservare un diritto conquistato con tanta fatica. Non è così?

Non sarei così radicale; non parlarei cioè di “fallimento”, anche se posso essere d’accordo con lei sul fatto che le criticità e le perplessità di questa esperienza rischiano di sovrastare o quantomeno di prevalere sui pur presenti elementi positivi e innovativi.   Il probabile “taglio dei parlamentari”, che all’estero incide in maniera per certi versi più dura e iniqua sulla rappresentanza politica, dovrebbe accelerare e rendere più severa e propositiva questa riflessione, questo bilancio.   Troppo spesso il voto all’estero è stato oscurato da episodi poco chiari come i brogli elettorali; troppo spesso è divenuto ostaggio di gruppi e potentati politici che hanno costruito rendite di posizioni su pacchetti di voti o capi-bastone locali; troppo spesso invece che guardare oltre le vecchie dinamiche di un’emigrazione segnata da assistenzialismo e clientelismo ci si è rassegnati a questa logica.   Per fortuna questi atteggiamenti non sono stati dominanti, anche se ciò non si può dire per la regione che conosco meglio, il Sudamerica.   Sono quindi d’accordo con lei: senza coraggiose scelte di discontinuità, senza un nuovo rapporto con il mondo della vecchia emigrazione e senza la costruzione di un nuovo legame con le nuove mobilità sarà impossibile tenere in vita la rappresentanza all’estero, dai Comites al Cgie, passando per il Parlamento.

Lei, personalmente, su quali obiettivi intende concentrarsi nei prossimi mesi?

Sono ovviamente molto impegnato in una campagna di verità e giustizia legata al voto all’estero; al “voto” e non soltanto al caso relativo ai miei brogli.   Ricevo telefonate da tutto il mondo che mi spingono ad andare avanti: “se anche la sua denuncia non avrà seguito – mi dicono – vorrà dire che non c’è più speranza per il voto all’estero !”.  Allo stesso tempo sono impegnato su altri fronti, tutti importanti e ugualmente decisivi per il futuro degli italiani nel mondo e, quindi, dell’Italia. Innanzitutto il mio impegno quotidiano con il Patronato ITAL-UIL in Brasile, fondamentale per il mio legame con la collettività e il lavoro di difesa e tutela di diritti sociali e civili.   Quindi l’impegno politico con il Partito Democratico in Sudamerica, in continuità con un impegno che mi ha visto per dieci anni attivo in Parlamento.   Infine i progetti: dalla grande sfida del progetto “Italici” che con passione seguo da alcuni anni grazie al rapporto con Piero Bassetti a quella del “Comitato 11 ottobre” alla quale ho dato vita insieme a studiosi e personalità del mondo dell’emigrazione italiana nel mondo.   Senza tralasciare il mio impegno come Presidente dell’associazione di amicizia Italia-Brasile e di Vice Presidente di “Focus Europe” e ICPE (Istituto per la cooperazione con i Paesi Esteri), importanti strumenti di progettazione strategica grazie ai quali mantengo attiva la mia passione per la cooperazione internazionale.

Vedere il video realizzato con Fabio Porta