Nel riquadro Fabrizio Camastra

 

Riceviamo e volentieri pubblicare la breve ma suggestiva riflessione del giornalista Fabrizio Camastra (commentatore politico di NTI Media Canale 271 della Toscana) sul panico che il corona virus sta infondendo presso gli italiani.

 

Il virus prende il controllo di una comunità lentamente. L’attacco non è un dolore fisico o un naso che cola, ma un disagio che penetra in ogni angolo della vita e che è impossibile da spiegare perché è ragionevole, persino necessario. C’è da ascoltare questa paura. È necessario calibrare correttamente le risposte. Altrimenti, ti puoi sentire irresponsabile, negligente; socialmente fallito. La paura stessa è un virus, che ha il potere inquietante di forzare le domande scomode che di solito si nascondono nelle comunità che invade. Inizi a parlare del virus e finisci per separare stili genitoriali o relazioni sociali.

 

Il virus sta diventato una variabile poco compresa in una sorta di esperimento di laboratorio vivente, nella gestione urbana e sociale. Lentamente ogni aspetto della vita, dalla convivenza sociale a quella privata, diviene regolarizzata da un sistema razionale di controllo. I ritmi normali sono scanditi da incessanti lanci di notizie relative al virus. Altri due casi confermati. Assemblee scolastiche sospese. Se stai male resta a casa, non andare a lavoro, tieniti alla larga dalle scuole, dalle chiese e da tutto il resto. È peggio della Sars. Il panico è dietro l’angolo: se il contagio diventasse pandemia, se ci ammalassimo tutti allo stesso tempo, non ci sarebbero abbastanza posti letto in rianimazione per tutti.

 

In realtà non sappiamo cosa stiamo vivendo. Gli scienziati stanno ancora cercando di capire cosa ha scatenato il contagio, come il virus si diffonde e quanto dura l’incubazione. In assenza di conoscenze certe, spiamo costantemente cosa fanno gli altri. Parlarne non aiuta, piuttosto sembra di avere la sensazione che porti maggiori incertezze. Vivere in una condizione di sterilità totale, di massima protezione dal contagio è praticamente impossibile. Lottare contro i germi sarebbe una non vita. Una roba estenuante. Il semplice stare in compagnia degli altri, con i quali si corre contemporaneamente il rischio del contagio, può essere effettivamente confortante. Abbiamo bisogno l’uno dell’altro, di cercarci, di infettarci di emozioni. Ed è questo un vaccino, la socialità, la quotidiana dose emotiva che procura.

 

Video sull’impegno di Fabrizio Camastra per il pluralismo dell’informazione