Foto: Corte Costituzionale (nel riquadro l’ex vicepresidente Paolo Maddalena)

 

Ex Vicepresidente della Corte Costituzionale Paolo Maddalena è oggi uno dei personaggi pubblici più accreditati e attivi sulla scena nazionale, nonché un punto di riferimento per molte persone di varie estrazione e appartenenze politiche. Alcune delle sue proposte stanno riscuotendo un crescente consenso, tra cui quello di nazionalizzare il ‘patrimonio pubblico’ svenduto negli ultimi anni. Anche nell’ambito del mondo giornalistico alcune sue posizioni hanno fatto scalpore. Ex assistente del grande giurista Antonio Guarino, Professore all’Università di Pavia, dal 1991 al 1998, Maddalena è stato titolare della cattedra Jean Monnet di Diritto della Comunità Europea per il patrimonio culturale ed ambientale presso l’ Università degli Studi della Tuscia a Viterbo. Con varie esperienze maturate nell’ambito della Corte dei Conti e della Corte Suprema di Cassazione, Maddalena è diventato giudice Costituzionale nel 2002. In questa intervista Maddalena solleva alcune questioni vitali sul piano giuridico e sociale.

 

Lei sostiene l’assoluta necessità di riequilibrare il rapporto tra pubblico e privato attraverso lo strumento delle nazionalizzazioni. Ci può spiegare, in estrema sintesi, quali sono gli obiettivi principali della sua proposta?

 

L’obiettivo delle nazionalizzazioni è ricostruire il “patrimonio pubblico” del Popolo italiano, dissipato dai governanti succedutisi dopo l’assassinio di Aldo Moro con svendite senza senso e contro l’utilità pubblica a favore di faccendieri e multinazionali. Come un singolo non può vivere senza un piccolo patrimonio o un piccolo reddito, così una Nazione non può vivere senza un proprio cospicuo patrimonio. Lo si è visto nell’evenienza del corona virus, nella quale si è costatato quante vite umane è costata la privatizzazione della Sanità pubblica.

 

Dato che che nell’attuale contesto internazionale è inimmaginabile una nazionalizzazione attraverso la semplice espropriazione, come potrebbe lo Stato rientrare legittimamente in tutti quei beni primari che lei giustamente ritiene di proprietà del popolo?

 

Le nazionalizzazioni sono possibili senza indennizzo, poiché le svendite sono avvenute contro la nozione di proprietà privata che ne dà la Costituzione, la quale, all’art. 42 precisa che “la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge allo scopo di assicurarne la funzione sociale”. Lo Stato, proprietario pubblico del bene, svendendo i beni del Popolo, ha agito contro la “funzione sociale” dei beni pubblici, che è quella di far godere dei beni pubblici tutti i cittadini, non quello di ridurre il capitale pubblico. Inoltre l’art. 42 Cost. recita: “ L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi contro l’utilità pubblica o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. Tutti questi limiti costituzionali, che sono “norme precettive e imperative” valgono per i privati e per i beni pubblici commerciabili, che sono sottoposti alla disciplina del diritto privato. Si tratta, dunque di svendite “nulle”, annullabili anche davanti al giudice ordinario, ai sensi dell’art. 1418 del codice civile, che prevede la dichiarazione imprescrittibile di nullità dei contratti contrari a norme imperative. E non c’è norma più imperativa di quelle che pongono principi costituzionali.

 

Lei non ritiene che per tutelare meglio la libertà di stampa sia arrivato il momento di avviare un vasto riassetto del sistema radiotelevisivo per impedire una progressiva concentrazione nell’utilizzo delle frequenze (che sono di proprietà dello Stato) da parte di pochi grandi gruppi privati? 

 

A mio avviso, le frequenze televisive dovrebbero essere gestite dallo Stato, da Enti pubblici o da “Comunità di lavoratori o di utenti”. Lo prescrive l’art. 43 Cost., le cui disposizioni, allo stato di fatto, sono diventate vincolanti, citando i “servizi pubblici essenziali” e certamente la TV è un servizio pubblico essenziale. La cessione dell’uso delle frequenze è dunque anch’essa “nulla”, perché in contrasto con una norma imperativa, la cui violazione comporta l’applicazione del citato art. 1418 del codice civile.

 

Come giudica l’idea di creare un tribunale quale espressione della società civile, composto soprattutto da giuristi, operatori sociali e rappresentanti del mondo dell’informazione, per segnalare tutte le leggi che nell’ultimo trentennio hanno ostacolato la piena attuazione dei principi Costituzionali in materia di libertà d’informazione e tutela dello Stato Sociale? 

 

Non c’è bisogno di istituire un Tribunale. C’è la Corte costituzionale, alla quale si può accedere in via incidentale. Proporrei di attribuire ai cittadini un accesso diretto, come è in Germania e in altri numerosi Paesi.

 

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