Nel riquadro, Anna Monica Piazza

 

In occasione della giornata delle donne riportiamo  un’articolata analisi storica sulla lunga lotta per l’emancipazione e affermazione dei diritti elaborata dalla Responsabile Nazionale del Dipartimento pari opportunità del sindacato Libersind Confsal, Anna Monica Piazza (è stata per molti anni ballerina del prestigioso Teatro Massimo  di Palermo). Si tratta di un’artista con una vasta esperienza di lotte anche all’interno del mondo del Teatro: un mondo che non poche volte dietro il paravento della bellezza dell’arte nasconde forme discriminatorie decisamente condannabili (R.S.). 

 

Come ogni anno ricorre puntuale l’otto marzo, giornata destinata a ricordare la lunga e costante lotta delle donne per la loro emancipazione e l’affermazione dei loro diritti. Nel richiamare un breve excursus storico, erroneamente la memoria corre al lontano 8 marzo 1914, giorno in cui gli scontri a Londra diedero vita ad una marcia di protesta cui seguì la fondazione della Federazione delle Suffragette. In realtà bisogna attendere la risoluzione ONU 3010 del 18 dicembre 1972, ricordando i 25 anni trascorsi dalla prima sessione della commissione sulla condizione delle donne, per proclamare nel 1975 l’anno Internazionale delle donne. È il 16 dicembre 1977 che l’assemblea generale delle Nazioni Unite propone ad ogni paese di dichiarare un giorno all’anno” Giornata delle Nazioni Unite per i diritti delle donne e per la pace internazionale”, così l’ 8 marzo che già veniva festeggiato in diversi paesi fu scelta come la data ufficiale da molte Nazioni.

 

Tante le donne che nel corso della storia si sono impegnate nella rivendicazione dei diritti della parità di genere. Mary Wollstonecraft fu forse la prima sostenitrice caparbia dei diritti delle donne, tenace nemica di ogni forma di iniquità, dispotismo ed oppressione. Era il 1790 quando veniva pubblicato Sui diritti della donna, manifesto di rivendicazione femminista che anticipa nel 1791 lo scritto di Olympe de Gouges, la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina. Vite di donne spese contro la tirannide, la legge, le convenzioni, contro una cultura che vietava il diritto all’istruzione , all’educazione e relegava il ruolo della donna a mera nutrice, come ebbe a definirla Rousseau nel suo Emile. Da Aristotele al 2021 i topoi sulla concezione del rapporto fra i sessi sembrano rimasti immutati nel tempo, almeno per quella minoranza ancora troppo numerosa che vuole la donna sottomessa all’autorità maschile. Questo preambolo solo per sollecitare la memoria a non dimenticare quanto fin qui è stato ottenuto e per continuare nella strenua legittimazione di una parità di genere che stenta ancora ad attuarsi totalmente nella quotidianità, in ambito sociale e lavorativo.

 

“Si permetta alla donna di condividere i diritti degli uomini ed ella ne emulerà le virtù giacché una volta emancipata dovrà perfezionarsi”. Erano le parole di Mary Wollstonecraft nel 1797 ed ancora la cultura odierna non si è allineata alla vera equità di diritti e doveri, di opportunità, di facoltà di scelta tra uomini e donne. Quante donne note o ignote hanno dovuto affrontare il lungo cammino verso la liberazione da quella che potremmo definire la schiavitù femminile. Oggi è importante ricordare tutti gli esempi positivi di donne fortemente volitive che hanno affermato la loro dignità di essere protagoniste nel mondo, realizzando i loro progetti. Da Rita Levi Montalcini a Madre Teresa di Calcutta, alla prima donna Presidente della Camera dei Deputati Nilde Iotti passando per Fabiola Giannotti, ricordando le prime donne che morirono in nome del loro talento. La storia ci racconta di Ipazia, di Giovanna D’arco ,di Lucrezia Borgia e la scienza ci suggerisce i nomi di Marie Curie o della prima donna aviatrice Amelia Earhart, l’impegno politico ci riporta ad Evita Peron , Indira Gandhi, Margaret Thatcher.

 

Più vicino ai nostri giorni, parliamo di Ursula Von der Leyen o di Christine Lagarde, donne influenti che hanno conquistato con la loro competenza ed abnegazione posti di potere da sempre riservati agli uomini. Anni di rivendicazioni sindacali e di lotte sociali hanno segnato un cambiamento di passo significativo ma non hanno impresso un mutamento culturale ed educativo tale da poter garantire piena uguaglianza di diritti e di chances. Pari salario e pari dignità sul posto di lavoro tra uomini e donne è l’ultimo tema affrontato in Commissione Europea. Nel processo di parificazione di genere infatti l’organo legislativo europeo ha pubblicato un documento per introdurre misure che aumentino la trasparenza interna alle aziende rafforzando i diritti di chi subisce discriminazioni dal datore di lavoro. Così l’istituzione guidata da Ursula von der Leyen intende tutelare tutti i neoassunti per il superamento del divario retributivo di genere e per favorire l’accesso delle donne al lavoro Parimenti agli uomini, Bruxelles accelera in tal modo sulla trasparenza salariale per la parità di retribuzione tra generi.

 

Arrivando ai giorni nostri, ancora nel quotidiano registriamo una grave forma di oppressione e di discriminazione a danno delle donne: tutti gli episodi di violenza contro le donne testimoniano un problema culturale irrisolto che dovrebbe insegnare al nostro paese che la differenza di genere è un valore, in grado di favorire integrazione e crescita. Non è soltanto un problema di competizione tra sessi, è il riconoscimento della differenza come arricchimento, come paradigma dell’esistenza di un altro con identica dignità. Bisognerebbe organizzare la vita, i tempi su questi principi. I dati sono allarmanti e la pandemia ha amplificato il prezzo altissimo pagato dalle donne: 450000 posti di lavoro persi tra contratti a terminie ed atipici, di cui il 90% occupati da donne. Eppure è proprio un medico donna ad isolare per la prima volta in Italia il virus Covid 19, una delle tantissime donne medico che insieme a tutto il nostro personale sanitario ha ingaggiato una battaglia titanica, pagando in alcuni casi anche con la vita.

 

In un contesto così delicato, aggravato dalla pandemia, è arrivato il momento di scrivere un nuovo statuto dei diritti dei lavoratori, in cui Uomini e Donne a tempo indeterminato o autonomi abbiano eguali diritti e medesime tutele, per un futuro fondato realmente sul diritto e non sullo sfruttamento. La crisi economica e sanitaria deve lasciare il posto alle intelligenze ed alle competenze, alla valorizzazione dei talenti a prescindere dal genere. Il rilancio culturale e socio-economico del nostro paese passa attraverso la dignità e la libertà di esprimere le proprie capacità legate al merito e non al genere . Dimentichiamo le farisaiche quote rosa, iniziamo ad affrontare il problema dalle sue radici prendendo consapevolezza della arretratezza culturale di un paese che abbisogna di riforme serie ed importanti. In Italia esiste il Ministero delle pari opportunità, segno tangibile del profondo gap tra generi: la missione della classe politica dovrebbe mirare al consolidamento ed ampliamento di una legislazione a difesa della donna; alla realizzazione di strutture ricettive per la prole, asili nido e nursery all’interno delle aziende, alla stregua delle grandi multinazionali estere. La maternità dovrebbe divenire momento non solo di crescita demografica del paese ma sancire un diritto sacrosanto. Le risorse del Recovery plan destinate alle pari opportunità devono essere investite per forgiare un nuovo modello culturale, imperniato sul pragmatismo, la sensibilità, lo spirito di osservazione e di intraprendenza, temprato dalle disuguaglianze, delle donne. Un volano di sviluppo scevro da prevaricazione e millantata supremazia di genere.

 

È sicuramente pregevole scoprire che sempre più aziende si affidano a donne preparate ed intraprendenti , non solo in politica ma anche nel sindacato, nell’industria e nella cultura: mi piace citare in tal senso la scelta coraggiosa del Presidente Anfols Francesco Giambrone di porre ai vertici della Fondazione Teatro Massimo di Palermo, quali sue dirette collaboratrici, una squadra composta prettamente da donne. L’esempio più vicino alla mia realtà lo riporto per evidenziare come sensibilità attente e raffinate attribuiscono valore aggiunto alla donna nella gestione amministrativa, artistica e culturale di un teatro. Declinare con estrema assonanza grazia, virtù, intelligenza e perizia è insito nell’essere donna , peculiarità che appartengono al genere ma non devono rappresentare un discrimine.

 

Il Sindacato si deve impegnare nell’estinzione di quel confine ancora presente, seppur sfocato, tramandato dalla storia, della disparità di trattamento e di accesso ai diritti e alle tutele tra uomini e donne. La pandemia deve essere vissuta come una catarsi, un momento di riflessione per segnare una linea di demarcazione tra passato e presente. La garanzia delle pari opportunità insieme al rispetto della figura femminile, sganciata dallo stereotipo di mero oggetto di possesso dell’uomo, sono i temi delle prossime rivendicazioni sindacali e sociali dopo l’oppressione ancestrale della superiorità dell’uomo. Auspico la concretizzazione di una “ Stanza tutta per sé “, in cui le donne si sentano davvero libere di esprimersi decostruendo un linguaggio patriarcale nella pratica sociale e culturale, una stanza in cui non essere più l’unica sindacalista donna al tavolo di trattativa con la presenza arrogante e massiva di soli uomini! Soltanto così la figura femminile, relegata al silenzio da secoli di sudditanza, potrà trovare finalmente lo spazio che merita: non più soltanto madri ma protagoniste della loro vita nel pieno godimento di tutti i diritti universalmente riconosciuti.

x x x x x 
Nuovo videoclip del Movimento Tutela Sociale (con traduzione in inglese)