Nella foto Alessandra Tucci. 

 

Edito da CTL di Livorno, 424 pagine, Le sei corde dell’anima è il titolo dell’ultima fatica letteraria di Alessandra Turci. Nata a Chieti, residente a Roma, la Tucci oltre a svolgere l’attività di avvocatessa è anche una scrittrice consapevole del potere della parola, che ha imparato a rispettare, maneggiare e usare per aprire prospettive, per liberare l’essenza e i sogni. In estrema sintesi, l’autrice prende spunto dalla scelta di vita di un collega di lavoro chiamato Mario Monterosso, per sviluppare una serie di riflessioni sulle capacità intrinseche di ognuno di noi di costruire, da un giorno all’altro, un nuovo stile di vita, un nuovo destino. Ma lasciamo la parola all’autrice.

 

Quando è perché lei ha deciso di scrivere?

Ho cominciato a leggere di tutto e senza pregiudizi all’età di dodici anni. La scrittura è stata ed è una conseguenza. A trentacinque anni è emersa sotto forma di romanzo, il primo. Più che una decisione è stata una pulsione alla quale davo sfogo nelle ore di libertà dal mio lavoro di avvocato e giurista. Da allora non ho più smesso accettando che ogni romanzo travalicasse la mia riservatezza.

 

Chi è il suo personaggio Mario Monterosso?

Le sei corde dell’anima, il mio ultimo lavoro, è nato da una richiesta di Mario Monterosso: che io raccontassi lui e la sua storia. Lo avevo conosciuto anni prima in Tribunale, lui lavorava in cancelleria, e mi aveva immediatamente colpita quel suo essere siciliano, seduttore e artista inquieto e profondamente a disagio dentro un mondo ingessato che gli stava stretto. Ancora più mi incuriosì, qualche anno dopo, il suo colpo di testa: lasciare l’impiego statale e la sua vita italiana per trasferirsi a Memphis e andare incontro al nulla. Francamente, quando mi ha comunicato questa sua decisione non ho creduto l’avrebbe davvero fatto, era troppo al di fuori di ogni schema sociale e umano. Magari a vent’anni si ha l’energia di rifiutare ruoli incardinati e partire a costruire i propri sogni, ma a quarantatrè? E invece ci lasciò tutti senza parole: in una bollente mattina estiva Mario è partito a costruire se stesso con la sua chitarra.

C’è una riflessione di Goethe che mi è rimasta impressa quand’ero ragazzina: “Riguardo tutte le azioni di iniziativa e di creazione c’è una verità elementare: appena uno si impegna a fondo anche la provvidenza si muove”. Ebbene, adesso posso confermarla a pieno: non appena Mario ha deciso di seguire le proprie stelle, il destino si è messo ai lavori forzati per allineargliele tutte. E potersi compiere.

 

Cosa lei ha apprezza di più nel protagonista Mario Monterosso?

Che niente sia riuscito a fermarlo. Non la lingua straniera che ha imparato, non la solitudine che ha riempito di persone nuove senza mai perdere le precedenti, non lo scetticismo di chi lo ha visto partire in silenzio, non il pregiudizio nei confronti di un musicista italiano che pretende di suonare musica americana nella patria del Rock & Roll.  Monterosso ha messo sul piatto il talento, la sfrontatezza, la tenacia, l’inquietudine ed ha vinto su tutti i tavoli: la musica, l’amore, l’amicizia.

C’è un motivo preciso che mi ha spinta a dire sì a Mario Monterosso: la sua storia è la conferma  che la forza del singolo può spezzare le catene di una globalizzazione massificante  e portarlo fuori dal labirinto di gerarchie prestabilite e poteri consolidati. A costruire sé ed un mondo più meritocratico.

 

Quale messaggio ha voluto trasmettere al lettore?

Il mio desiderio è che il libro rappresenti uno stimolo per tutti a sfoderare il coraggio di seguire ciò che dentro si sente che è importante. In altri termini, a inseguire le proprie stelle.

 

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Videoclip del Movimento Tutela Sociale