Si sa, più la situazione si presenta tragica più appare facile riscuotere consensi. Pensiamo alla guerra in Ucraina. Basta strillare ai quattro venti: Niente più bombe, Vogliamo la fine della guerra, Pace per tutti, e giù valanga di applausi da tutte le parti. Appena, però, si comincia a fare una superflua analisi subito la situazione comincia a complicarsi.

I favorevoli all’Ucraina ricordano con vigore che: 1) l’invasore è comunque la Russia;  2) ogni Paese deve essere lasciato libero di allearsi con chi vuole; 3) eventuali errori del passato non contano. Ed ecco che fioccano i primi applausi con fischi. Ribattono i favorevoli ai russi: 1) Mosca non potrebbe mai accettare dei missili alle sue porte; 2) in passato gli ucraini hanno massacrato molti russi nel Donbass; 3) la Crimea è russa grazie a un referendum popolare e alla sigla di un trattato d’adesione alla Russia. Nuovi fischi con applausi.

Ma queste sono solo alcune delle tante argomentazioni sostenute dai due contendenti, quasi  tutte condite da dubbie verità, deformazioni e forzature storiche, da pretesti utili per non cedere di un solo millimetro. A questo punto entrano in gioco i vari mediatori che, in fono in fondo, si comportano come molti avvocati che non hanno un grande interesse a risolvere i problemi dei loro clienti ma di allungare il più possibile la conflittualità, in modo da incassare lauti dividendi alla fine.

Come uscire da questo impasse?

Paradossalmente, il modo migliore è quello di analizzare pragmaticamente la situazione, mettendo in un cassetto ogni sentimentalismo e presunto spirito umanitario. Inutile girarci intorno: la Russia è una grande potenza e come ogni grande potenza guarda soprattutto ai propri interessi. L’Ucraina,  in confronto è piccola, è una pedina di altre grandi potenze che come nel 1939 non sono certamente disposte a morire per Kiev, pardon per Danzica. In altri termini, tutti e due debbono cedere qualcosa anche se è ovvio che alla fine, per una legge di natura, a cedere di più dovrà necessariamente esse il più piccolo. Come si dice, pesce grande mangia pesce piccolo.

Una pace in Ucraina richiede necessariamente il coraggio di proporre una soluzione praticabile (non stiamo dicendo giusta) basata sinteticamente su quattro punti:

  1. L’Ucraina ha diritto a entrare nell’Unione Europea
  2. L’Ucraina non dovrà mai entrare nella Nato e dovrà resterà smilitarizzata
  3. La Crimea rimane russa
  4. Il Donbass diventa indipendente con un Governo eletto liberamente dal popolo sotto l’egida dell’ONU.

Naturalmente giù una cascata di soli fischi. Ma non importa. Rimane il fatto che probabilmente alla fine si arriverà a soluzione molto vicina ai 4 punti prospettati. Solo che più tempo passa, tra demagogie e proclami umanitari altisonanti, più morti ci saranno sul campo.

Ora concediamoci il lusso di un sogno. C’è da augurarsi che anche per l’Ucraina avvenga una marcia del sale, cioè, una grande manifestazione non violenta come si è svolta in India ad opera di Gandhi. Nel 1930, giusto per fare ricorso alla storia, il Mahatma percorse 300 chilometri con diversi coraggiosi fino alle saline del Butan.  La marcia portò all’indipendenza del Paese. Tornando, invece  all’Ucraina, quanto sarebbe bello, un vero sogno, che un gruppo di uomini e donne, di russi e ucraini, di europei e cittadini del mondo decidessero di volare (a piedi obiettivamente è un’impresa impossibile) da Kiev a Mosca, o viceversa, per celebrare tutti insieme una grande mediazione di popolo.