Foto (Grande muraglia cinese) – Prosegue l’indagine di REA INTERNATIONAL e del Circuito delle 100 Radio, sulle reali motivazione dei singoli Paesi in occasione della votazione all’ONU sulla mozione di condanna della Russia per l’invasione dell’Ucraina. In questa puntata parliamo di cinque Paesi che si sono astenuti (l’elenco dei Paesi esaminati precedentemente è a fondo pagina). Complessivamente 141 Stati hanno votato a favore, 34 si sono astenuti, 13 non hanno votato  e solo 5 si sono opposti alla condanna. In precedenza sono stati affrontati Bielorussia, Corea del Nord, Siria ed Eritra.

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CINA

Una delle maggiori sorprese per come sono andate le votazioni all’Assemblea Generale dell’ONU, sulla condanna della Russia per l’invasione dell’Ucraina, ha riguardato sicuramente il voto della Cina: quasi tutti, infatti, erano sicuri che i cinesi avrebbero appoggiato Putin. Invece, si sono astenuti. E ciò è avvenuto essenzialmente per 5 motivi:

primo, i cinesi temevano che qualcuno cercasse di assimilare la scelta di Putin con la volontà cinese di riconquistare Taiwan. Per la Cina sono due situazioni completamente diverse: una cosa è invadere uno Stato autonomo e riconosciuto, l’altra è riprendersi una ‘provincia ribelle’, come la Cina ha sempre giudicato l’esistenza di Taiwan.  

secondo, la Cina è particolarmente interessata a non compromettere la sua immagine di sostenitrice dell’inviolabilità dei confini e della non interferenza negli affari interni di Stati Sovrani;

terzo motivo, la Cina ha tutto l’interesse a presentarsi come neutrale e al di sopra delle parti e quindi assumere un ruolo di mediatore (obiettivo puntualmente raggiunto nel caso dell’Ucraina);

quarto motivo, l’automatico indebolimento della Russia andrà a tutto vantaggio della Cina che nell’offrirsi come possibile acquirente alternativo del gas e di altri beni russi, riuscirà gradualmente a declassare la Russia da alleato a Paese subalterno e dipendente.

Infine, quinto motivo, la Cina non ha alcun interesse a che si crei, a causa delle pesanti sanzioni occidentali, una grande instabilità economica sulla scena internazionale. Per i cinesi l’Ucraina rappresenta, ad esempio, un Paese cruciale per la nuova via della seta e per i rapporti con l’Unione Europea.

Detto ciò, insieme alle critiche a Putin non sono mancate anche le preoccupazioni e irritazioni per il costante allargamento della Nato: non a caso, per i cinesi il futuro dell’Ucraina è la neutralità.

CUBA

Simbolicamente ha destato grande sorpresa l’astensione di Cuba. Non dimentichiamo, infatti, che in questi giorni il famoso caso Cuba è stato più volte rievocato. Parliamo della crisi dell’ottobre del 1962.

All’epoca l’isola Caraibica era guidata da Fidel Castro, il rivoluzionario che nel 1959 aveva spodestato il corrotto Fulgencio Battista appoggiato dagli americani. Sentendosi minacciato dagli USA Cuba acconsentì il dispiegamento nell’isola di diversi missili balistici sovietici. La reazione americana fu radicale: si rischiò addirittura una nuova guerra mondiale.

Dopo lunghe trattative tra la presidenza americana di John Kennedy e il leader sovietico Nikita Chruscev,  i sovietici smantellarono la base missilistica mentre gli americani continuarono ad attuare fino ad oggi una serie di sanzioni economiche contro Cuba.

Tornando al voto all’ONU, molti hanno scommesso su un appoggio incondizionato di Cuba a una Russia molto preoccupata per una eventuale sistemazione di missili Nato in Ucraina, cioè, alle porte della Russia.

Ma, nel frattempo, la cose sono un po’ cambiate. Intanto l’era dei fratelli Castro sta tramontando: Fidel è scomparso nel 2016 mentre il fratello Raul, che lo ha sostituito, ha lasciato l’incarico nel 2018.

Ora il nuovo leader Miguel Diaz Canel sta lentamente cercando di gestire una nuova fase nei rapporti con lo storico nemico americano. Canel sa molto bene, infatti, che prima o poi dovrà accordarsi con Washington anche per superare la grave crisi economica che sta attraversando il Paese.

Possiamo quindi azzardare che l’astensione di Cuba all’ONU è stato un tentativo di accontentare contemporaneamente greci e troiani anche se, in questi casi, c’è sempre rischio di finire per scontentare troiani e greci.  

INDIA

Tre fattori hanno indotto l’India ad astenersi:  la prima è che siamo alla vigilia delle elezioni nel più popoloso Stato indiano dell’Uttar Pradesh, attualmente guidato da un sacerdote indù estremista. Per il Premier Narendra Modi, del Bharatiya Janata Party, vincere in questo Stato è fondamentale per potersi confermare alla guida del Paese nel 2024. Un obiettivo che necessariamente richiede un consenso anche all’estero, soprattutto negli Stati Uniti e in Russia.  

La seconda motivazione riguarda la presenza di ventimila studenti indiani in Ucraina, la comunità più numerosa dei 76 mila studenti stranieri nel Paese. La Russia sta lavorando per creare un corridoi umanitario per i cittadini indiani in Ucraina. Affinché, però, questa operazione venga completata è fondamentale anche l’apporto dell’Ucraina.

La terza motivazione, infine, riguarda l’esplosiva situazione nel Kashmir: un  territorio da trent’anni conteso tra il Pakistan e l’India. In questo contesto appoggiare apertamente le ambizioni russe sul Donbas e la Crimea potrebbe indurre a fare un sovrapposizione con la realtà del Kashmir, e questa è certamente l’ultima cosa auspicata dalla diplomazia indiana.  

E’ vero che l’India da decenni mantiene stretti legami con Mosca che è stata anche una delle maggiori fornitrici di armi a Nuova Delhi. Armi che servono all’India per eventualmente contrastare la Cina, la sua grande rivale in Asia. A quanto pare, comunque, questa posizione ambivalente  non ha infastidito i russi più di tanto. Lo ha certificato l’Ambasciatore russo in India, Denis Alipov, quando ha dichiarato pubblicamente che Mosca è grata per la ‘posizione equilibrata’ espressa da New Delhi.

IRAQ

L’Iraq segue con molta preoccupazione l’evolversi della guerra in Ucraina. All’ Iraq si è astenuto, come ha fatto l’Iran,  il suo grande nemico storico. Eppure sull’animo degli iracheni continua a pesare notevolmente il conflitto con gli iraniani durato ben 8 anni, nonché l’isolamento internazionale determinato dall’invasione del Kuwait nel 1990 e la successiva invasione americana per deporre Saddam Hussein.

Per la cronaca, il 22 febbraio scorso il Consiglio di sicurezza della Nazioni Unite ha approvato all’unanimità la fine dei risarcimenti imposti all’Iraq per compensare il vicino Kuwait delle gravi perdite subite. Nel corso di trent’anni l’Iraq ha dovuto rimborsare ben 52,4 miliardi dollari a persone, aziende e agenzie governative danneggiate dalle operazioni militari.

Ora i rapporti tra i due Paesi stanno migliorando ma la situazione irachena rimane sempre estremamente difficile. E questo spiega perché la gente ha paura che un nuovo conflitto finisca per avere pesanti ripercussioni anche per l’Iraq.

Da sottolineare a questo proposito, che recentemente nella città meridionale di Nassirya migliaia di iracheni hanno manifestato per denunciare l’aumento dei prezzi del pane e di altri prodotti alimentari legati alla filiera dei cereali e degli olii. Per attenuare il malcontento, il governo iracheno è corso ai ripari, annunciando un aumento dei sussidi alle famiglie più vulnerabili e l’abolizione dei dazi doganali per una serie di materie prime importate dalla regione del Mar Nero: da Romania, Russia e Ucraina.

Il 7 maggio del 2020, il giornalista Mustafa Al-Kadimi, è diventato primo ministro con l’appoggio degli Stati Uniti. In passato Kadimi è stato anche direttore dei servizi segreti e quindi sa molto bene che per mantenersi a galla deve necessariamente assumere una posizione neutrale sul conflitto in Ucraina, senza scontentare troppo i russi e gli americani. Altrimenti il suo traballante governo rischia di essere completamente travolto dalla crisi sociale.

IRAN

Parliamo del voto dell’Iran all’assemblea generale dell’ONU sulla mozione di condanna della Russia per l’invasione dell’Ucraina. Ebbene, quando ormai tutto sembrava fatto, quando l’accordo sul programma nucleare iraniano in discussione a Vienna si stava avvicinando al suo epilogo, ecco che è scoppiato il conflitto in Ucraina. Risultato: tutto è stato congelato. Una vera tegola sulla testa del nuovo Presidente iraniano il conservatore Ebrahim Raisi, eletto nell’agosto del 2021.

Eppure, l’Iran si è mosso con molta circospezione. All’assemblea dell’ONU  si era semplicemente astenuto, lasciando probabilmente qualche dissapore tra gli amici Russi.  Non a caso è stata poi la Russia ha porre momentaneamente il veto sull’accordo.

Il problema è che ormai le sanzioni internazionali, la crisi economica, l’inflazione al 47% e le continue restrizioni delle libertà civili stanno lentamente strangolando il Paese. L’Iran ha, quindi, un urgente  bisogno di uscire dall’isolamento imposto dagli Stati Uniti, dall’Unione Europea e dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

Dopo una serie di contrasti con gli americani e con Israele che hanno provocato, tra l’altro, l’uccisione di alti esponenti iraniani, tra cui un generale e il direttore del programma nucleare iraniano, l’Iran ha ripreso i contatti con la nuova amministrazione americana di Joe Biden e con l’Unione Europea. Ciò ha consentito con buona speranza la ripresa dei colloqui a Vienna il 29 novembre del 2021. Purtroppo, quando le cose sembravano che si stessero mettendo finalmente sul binario giusto ecco che il treno degli accordi si è nuovamente fermato a causa della crisi Ucraina.  

Puntate precedenti

Puntata n.1 ( http://puntocontinenti.it/?p=19857)- Bielorussia, Corea del Nord, Siria, Eritrea

* REA International fa riferimento alla REA (Radiotelevisioni Europee Associate) e al Circuito delle 100 Radio

Consulenza scientifica: UNIPACE (Università Internazionale per la Pace) dell’ONU – Sede di Roma