( Nel riquadro Giuseppe Sugamele)

Con questo numero Punto Continenti, in collaborazione con il Movimento Tutela Sociale, inizia una serie di interviste con Giuseppe Sugamele, Segretario Generale del sindacato autonomo Libersind/Confsal. Negli ambienti sindacali Sugamele rappresenta una vera istituzione riconosciuta anche dalle tre grandi organizzazioni storiche e tradizionali, Cgil. Cisl. Uil. L’obiettivo della serie è immaginare quale sia il futuro del sindacato come istituzione (oggi obiettivamente in profonda crisi) a servizio non solo dei lavoratori ma anche della giustizia sociale nel suo insieme.

Per cominciare una domanda brutale: chi è destinato a scomparire prima? L’attuale modello di lavoro o il sindacato tradizionale?

La domanda, se mi permette, è mal posta. Quella giusta è: in un mondo dove il lavoro si sta trasformando radicalmente, il sindacato può ancora esercitare un ruolo importante nel migliorare le condizioni di vita delle persone? Io sono convinto di sì, a patto che il sindacato abbia l’umiltà e il coraggio di innovarsi completamente, sia nel modo di rapportarsi al mondo del lavoro che nelle strategie operative.

Ma, in concreto, come si deve comportare il sindacato nei riguardi, ad esempio, della gig economy, il modello economico basato sul lavoro a chiamata, occasionale e temporaneo, e non sulle prestazioni lavorative stabili e continuative, caratterizzate da maggiori garanzie contrattuali?

Innanzitutto, occorre riconoscere che spesso l’interlocutore con il quale bisogna confrontarsi è un algoritmo. E poi occorre tenere presente che spesso nelle aziende tecnologiche la partecipazione dei lavoratori alla gestione aziendale non viene ritenuta opportuna. L’esempio più macroscopico arriva dalla californiana Silicon Valley dove l’idea di organizzarsi in sindacato è stata vista dalla dirigenza come fumo negli occhi. Ma questo, come detto, rappresenta solo l’esempio più eclatante.

In altri termini, anche altre grandi aziende tecnologiche vengono dirette con la medesima mentalità?

Certamente. Lo stesso discorso lo fanno Alphabet, la casa madre di Google, Facebook, Amazon, Microsoft, Apple, ecc. In tutte queste aziende i dipendenti non hanno praticamente voce in capitolo. Diversa è naturalmente la situazione dei dipendenti altamente qualificati che, per difendere i propri interessi, non hanno certamente bisogno di una contrattazione collettiva.

Quindi c’è poca speranza.

Non dico questo. Ormai anche nei settori tecnologicamente avanzati i dipendenti di particolari settori stanno prendendo coscienza delle necessità di collegarsi gli uni agli altri.

A chi si riferisce?

Ad esempio, dei lavoratori operanti nel campo dei videogiochi. Lo dimostra la nascita negli Usa di Game Workers Unite, un movimento di base formato da sviluppatori e disegnatori. Il Movimento organizza grandi campagne sui social network che in certi casi hanno portato addirittura a scioperi sia in America che in Europa. Alcune di queste lotte sono state organizzate insieme ai sindacati tradizionali mettendo in rete le insoddisfazioni dei lavoratori.

Però, a quanto pare, nelle grandi realtà tecnologiche come, appunto, la Silicon Valley, queste attività non fanno breccia. È così?

Non proprio. Anche nella Sillicon Valley qualcosa si sta muovendo. Tanto è vero che al suo interno è nata la  Teach workers coalition formata da sviluppatori di diverse aziende tecnologiche che si organizzano, ad esempio nello Slack, un software che rientra nella categoria degli strumenti di collaborazione aziendale utilizzato per inviare messaggi in modo istantaneo ai membri del team. Esempi di questo tipo di organizzazione si hanno in India, Brasile e alcuni Paesi europei.

Ma quale è l’obiettivo principale di queste organizzazioni?

Detto terra-terra, lo scopo principale è quello di smascherare il mito che il lavoro nelle aziende altamente tecnologiche sia fatto da ambienti eterei, sofisticati, amichevoli e intellettualmente elevati. Non è così: anche in questo mondo ci sono compensi profondamente ingiusti, molta insicurezza,  discriminazioni, sessismo, orari di lavoro impossibili.

Dott. Sugamele, per chiudere questa prima serie di domande sul futuro del sindacato, qual è in fondo per lei la morale della favola?

Che il sindacato se non vuole morire deve velocemente adeguarsi alle nuove tecnologie e non solo nell’ambito della sua organizzazione interna ma anche come strumento di lotta. Soprattutto se vuole coinvolgere i giovani. Si deve presentare con una chiave del tutto innovativa, deve allargare completamente i suoi orizzonti: bisogna guardare e studiare cosa sta avvenendo nel mondo, anche nei Paesi più lontani.

In buona sostanza, il sindacalista deve porsi in ascolto nei confronti degli iscritti, dei lavoratori tutti e del mondo che lo circonda e deve attivare rapidamente le decisioni intraprese senza tentennamenti, con assoluta determinazione e sempre a difesa dei lavoratori, in particolare delle categorie più deboli e sfruttate.

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Videoclip del Movimento Tutela Sociale