(Nel riquadro il Generale Sergio Buono).

Originario di Sulmona in Abruzzo, il Generale Sergio Buono ha frequentato l’AccademiaMilitare di Modena e successivamente la Scuola di Applicazione di Torino,laureandosi in scienze Strategiche presso l’Università di Torino. NominatoTenente nei Granatieri di Sardegna, Buono nel corso della sua attività professionale è entrato in contatto con numerosi allievi provenienti da diversi Paesi, tra cui molti latinoamericani: questo ha fatto crescere nel corso degli anni il suo interesse per quest’importante area geografica.

Buono ha poi svolto attività di comando presso il Reggimento Granatieri di Roma e il Gruppodi volo dell’Aviazione dell’Esercito (AVES), dopo aver conseguito il brevettodi pilota. Inoltre, ha frequentato in Alabama (USA) il corso riservato a piloti istruttori. Di ritorno in Italia, ha ricoperto importanti e delicati incarichi, tra cui quello di Ufficiale nel Centro di Addestramento dell’Aviazione dell’Esercito a Viterbo e dell’Aerobrigata dell’A.M. a Villafranca, nonché  di Capo Sezione Elaborazione Automatica Dati.

Grazie alle sue competenze è stato chiamato dalla Presidenza del Consiglio a entrare negli OO.II.SS,gli organismi per le informazioni e la sicurezza, assumendo la direzione di diverse strutture complesse: un’esperienza che gli ha consentito di diventare uno dei più autorevoli esperti italiani di strategia militare internazionale. Per la cronaca, da pensionato il generale Buono attualmente ricopre la carica di Presidente Nazionale dell’Associazione Nazionale Aviazione dell’Esercito (ANAE). 

_______ Nota della redazione

Punto Continenti, in collaborazione con la sede romana di UNIPACE e la REARadiotelevisioni Europee Associate, sta eseguendo una serie di indagini e interviste sul ruolo dell’America Latina nella nuova geopolitica mondiale.   Per la realizzazione e diffusione di questa indagine Punto Continente s’avvale della collaborazione esperti di organizzazioni come lIILA (l’Organizzazione Internazionale Italo Latino Americana); Mediatrends America Europa (gestito dal giornalista Roberto Montoya che organizza incontri internazionali di alto livello); il Movimento Tutela Sociale (un Movimento d’opinione internazionale – vedere la pagina Facebook https://www.facebook.com/groups/508452549970758/; nonché programmi giornalistici, radiofonici e televisivi come Sentir Latino, diretto dal giornalista Luis Flores, che va in onda in Italia (su Radio Mambo e presto su One Tv) e in America Latina.

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Per cominciare, le chiedo come è possibile che gran parte della storia dell’America Latina sia caratterizzata da una serie infinita di colpi di stato militari?

Senza voler assolutamente difendere alcuna realtà o avvenimento obiettivamente indifendibile, ritengo che per una giusta comprensione del fenomeno sia utile ricordare che molti colpi militari sono avvenuti perché potevano contare su un certo consenso popolare. Un consenso alimentato in parte dalla convinzione che i militari come categoria erano sostanzialmente onesti e volevano soprattutto spazzare via la diffusa corruzione dei partiti politici. Mi limito a dire che nell’immaginario collettivo i militari hanno rappresentato in molti Paesi latinoamericani e per un lungo periodo un argine alla diffusa corruzione e al mal governo.

Ci può fare un esempio concreto?

Basta guardare a quello che è avvenuto recentemente in Brasile dove con un margine ristrettissimo è stato eletto per la terza volta come Presidente Luiz Inacio Lula. Ebbene, quasi la metà della popolazione ha deciso di votare ancora una volta per Bolsonaro, cioè, un militare figlio di militare, che non ha mai nascosto le sue simpatie per il passato regime dittatoriale. A questo punto viene spontanea la domanda: perché tanti brasiliani hanno voltato le spalle a Lula che si è presentato con una serie di proposte sociali e ambientali e che aveva raggiunto negli anni precedenti indici di consenso elevatissimi?

Semplicemente perché questa metà degli elettori è convinta che con il ritorno di Lula sarebbe tornata la corruzione alimentata dal suo partito dei Lavoratori che è rimasto invischiato in diversi e pesanti scandali. Lui stesso era stato incriminato. Ripeto, non so e non mi interessa sapere se hanno ragione i sostenitori di Bolsonaro o di Lula. Mi limito a indicare una motivazione, che a mio avviso ha portato oltre il 49% dei brasiliani ha votare per un ex militare.  

Qual’ è un’altra motivazione per spiegare il consenso goduto dai militari in diversi Paesi Latinoamericani?

Un forte sentimento nazionalistico che ha diverse spiegazioni. Innanzitutto, l’uscitadal colonialismo ha trovato nei militari dei grandi e coraggiosi protagonisti.Pensiamo al generale  Simon Bolivar, che ha sognato addirittura di unificare l’intera America Latina; al generale Sucre che ha liberato l’Ecuador e la Bolivia; al generale Bernardo O’Higens, eroe dalla liberazione del Cile, e così via.

Quindi,fondamentalmente il militare viene identificato come un patriota e difensore dell’indipendenza e dell’interesse nazionale. Comunque, per il comune uomo della strada quando c’è in gioco la libertà o la tutela degli interessi nazionali è facile schierarsi, dalla parte degli uomini in divisa, perché sente più rappresentati questi interessi collettivi e più garantiti quelli suoi personali, per non parlare, naturalmente, della sicurezza individuale e collettiva.  

Anche in questo caso ci può fare un esempio concreto?

Pensiamo al caso argentino ricordando, ad esempio, il comportamento tenuto durante la dittatura militare dalle coraggiose Madri di Plazadi Maio: donne che ogni venerdì sfilavano davanti alla Casa Rosada, laResidenza Presidenziale di Buenos Aires, per avere notizie sui propri congiunti misteriosamente scomparsi, i cosiddetti desaparecidos, molti dei quali gettati vivi in mare.

Ebbene, quando è scoppiata la guerra delle Falkland, le isole che gli argentini chiamano Malvinas, queste madri pur continuando a protestare contro la barbarie solidarizzavano con gli obiettivi dei militari: cioè, la conquista delle vicine isole occupate dalla Gran Bretagna. Un obiettivo che non è andato in porto ma che è servito a porre la parola fine alla sanguinaria dittatura. 

A proposito di guerra delle Malvinas, l’Italia a suotempo non ha solidarizzato con il premier inglese Margaret Thatcher che chiedeva l’appoggio, anche se solo simbolico, di tutti i Paesi europei. Come giudica questa scelta?

Del tutto naturale. Come poteva l’Italia entrare in guerra contro un Paese che per buona parte è costituito da oriundi italiani? Sarebbe stato come dichiarare guerra all’altra Italia. Quanti di noi non hanno un parente, uno zio, uncugino, che vive in Argentina. Io penso che sarebbe stato molto difficile motivare i soldati italiani a partecipare a questa iniziativa. Lo stesso è avvenuto in Spagna. Per noi italiani, portoghesi e spagnoli, l’America Latina è la nostra seconda casa.

D’accordo, eppure i soldati brasiliani nella seconda guerra mondiale sono venuti a combattere in Italia.

Ma questa è tutta un’altra storia. Anche gli americani, nonostante la forte emigrazione italiana negli USA, sono venuti in Europa. L’obiettivo comune era quello di liberare il nostro Paese dalla dittatura fascista. Comunque, mi risulta che in Brasile ci sono state molte resistenze a questo intervento. Detto ciò, tutti riconoscono che i soldati brasiliani si sono comportati correttamente in Italia, spesso fraternizzando con la popolazione locale. Certamente non si sono verificati gesti determinati da astio o odio. Tanto è vero che nel dopoguerra il Brasile ha spalancato le porte all’immigrazione italiana che facilmente si è integrata con la popolazione locale. 

Torniamo ai vertici militari latinoamericani. Che giudizio esprime sulle continue intrusioni di altri Stati sulla realtà latinoamericana?  

In assoluto sul piano morale ovviamente ogni invasione o pesante pressione su un altro Paese può solo essere condannabile. Sul piano concreto, da che mondo è mondo, le grandi potenze hanno sempre cercato di incidere sulle realtà politiche ed economiche degli altri Paesi, sia vicini che lontani. Nel caso delle Americhe, gli Stati Uniti hanno sempre guardato al subcontinente con un occhio paternalistico e formalmente assistenzialistico.

Non dimentichiamo che già nel 1823 il Presidente James Monroe aveva teorizzato la supremazia degli Stati Uniti nel Continente americano, anche se il messaggio era condito dalla necessità di tutelare tutti i Paesi americani dalle colonizzazioni europee.  

Secondo lei è una situazione che si potrà ripetere anche in futuro?

 Come si dice, mai dire mai in politica. Tuttavia, credo che ciò difficilmente potrà avvenire nel breve o forse anche medio periodo. E questo per varie ragioni. Intanto il contesto internazionale è molto cambiato, e non credo che il conflitto russo-ucraino o il problema di evitare la definitiva annessione di Taiwan da parte della Cina possa indurregli americani a impegnarsi su un altro fronte.

Un altro fattore deterrente è che le società latinoamericane si sono molto evolute e sono stanche di dover scontrarsi con guerre civili, rivolte, estremismi di destra o di sinistra.

Infine, mi lasci dire, la stessa classe militare latinoamericana ha aperto al suo interno un grande dibattito sui periodi più bui della sua storia. C’è una sincera volontà di recuperare anche sul piano dell’immagine: l’esercito deve, infatti, servire per difendere i confini nazionali e per evitare ogni tentativo di sovvertimento della Costituzione. Il resto appartiene alla politica.

Sul piano personale posso testimoniare che molti dei giovani  ufficiali latinoamericani avvertono un radicato e convinto senso del valore della democrazia.

 

Un’ultima domanda, forse un po’ delicata. L’esercito italiano in passato ha addestrato molti militari latinoamericani. Non è che involontariamente abbiamo dato anche noi un contributo alla riuscita di qualche golpe? 

Lo escludo nella maniera più categorica. Quando è stato necessario si è arrivati addirittura al congelamento delle relazioni diplomatiche, come è avvenuto con il Cile di Pinochet. Ci sono state poi numerose manifestazioni e iniziative italiane di solidarietà per le vittime dei vari colpi di Stato. Abbiamo accolto tanta gente in fuga dalle dittature. Le nostre Ambasciate e uffici di rappresentanza militari sono diventate spesso luoghi privilegiati di rifugio e riparo delle persone colpite dalla repressione.

E poi va sottolineato che l’Italia, come altri Paesi che hanno addestrato nelle proprie strutture militari gli ufficiali delle Forze Armate provenienti da tante regioni del Terzo Mondo, non può essere ritenuta responsabile di quello che questi ufficiali hanno fanno, una volta tornati nel loro Paese, qualora avessero deciso di organizzare o di aderire a un colpo di stato militare. Mentre noi li addestravamo, i governi dei loro Paesi di provenienza erano sostanzialmente democratici.

Certo, poi le cose possono cambiare: un esempio per tutti, la Somalia di Siad Barre. Ma anche l’allora Presidente vietnamita Ho Chi Minh, nonché i vertici dei “Khmer Rossi” cambogiani, e addirittura Kim Yo-jong, la misteriosa sorella del più famoso Kim Jong-Un, vera eminenza grigia della dittatura nord-coreana, hanno studiato tutti presso la Sorbona e le più prestigiose Università francesi: non vorremo per questo ritenere la Francia responsabile dei massacri perpetrati dai Khmer Rossi nei confronti della loro stessa popolazione, o dei lanci di missili nord-coreani che, a cadenza quasi settimanale, fanno tremare Giappone, Corea del Sud, e un po’ tutta la comunità internazionale!

In questo clima è del tutto impensabile che l’esercito italiano possa aver dato un qualsiasi aiuto, assistenza o consulenza a coloro che si sono macchiati di crimini orrendi.

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Videoclip del ‘Movimento Tutela Sociale’ vincitore del Premio ‘Musica per il sociale’ promosso dalle Radio e Televisioni della REA