(Foto: sullo sfondo dell’Amazzonia Federica Ferrario)

Lombarda di nascita, da sempre appassionata di etologia, ecologia e ambiente, Federica Ferrario per GreenpeaceItalia segue da vicino l’America latina. In passato ha collaborato con il Parco Lombardo della Valle del Ticino, oltre ad occuparsi di gestione dei rifiuti e di bonifiche. Inoltre, dal 2002 è la Responsabile Campagna Agricoltura e Progetti speciali di Greenpeace Italia, mentre dal 2016 segue le problematiche legate agli accordi commerciali internazionali. Per rispondere alle nostre domande, la Ferrario si è consultata con gli esperti de Greenpeace in diversi Paesi in America Latina. Ciò ci consente di avere un quadro abbastanza realistico, anche se  preoccupante, di una delle aree del mondo maggiormente sottoposte allo sfruttamento indiscriminato dell’ambiente.

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Nota della redazione

Punto Continenti, in collaborazione con la sede romana di UNIPACE e la REARadiotelevisioni Europee Associate, sta eseguendo una serie di indagini e interviste sul ruolo dell’America Latina nella nuova geopolitica mondiale. Per la realizzazione e diffusione di questa indagine Punto Continente s’avvale della collaborazione esperti di organizzazioni come lIILA (l’Organizzazione Internazionale Italo Latino-americana); Mediatrends America Europa (gestito dal giornalista Roberto Montoya che organizza incontri internazionali di alto livello); il Movimento Tutela Sociale (un Movimento d’opinione internazionale – vedere la pagina Facebook:

 https://www.facebook.com/groups/508452549970758/); nonché programmi giornalistici, radiofonici e televisivi come Sentir Latino, diretto dal giornalista Luis Flores, che va in onda in Italia (su Radio Mambo e presto su One Tv a Milano) e in America Latina.

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Per cominciare ci può descrivere come è articolata la presenza di Greenpeace in America Latina?

Abbiamo un ufficio molto attivo conosciuto come Greenpeace Andino che si occupa di Argentina, Cile e Colombia, soprattutto per quanto riguarda le foreste, gli oceani e l’inquinamento urbano. Da tre decenni contiamo su molti sostenitori, volontari e personale nei tre Paesi. In Colombia l’attività è iniziata recentemente.

Indubbiamente una delle situazioni più drammatiche sul piano della tutela ambientale riguarda l’Amazzonia. Su questo argomento è stato detto tutto e il contrario di tutto. Dal vostro osservatorio come stanno realmente le cose e quali sono i maggiori rischi per il  futuro?

Andre Defreitas, della campagna Amazzonia di Greenpeace Brasile, ci ha spiegato che “la foresta amazzonica affronta un’emergenza esistenziale. Anno dopo anno i tassi di deforestazione e incendi sono aumentati come conseguenza dell’agenda anti-ambientale e anti-indigena del Governo brasiliano (si riferisce all’ex Presidente Jair Bolsonaro che lascerà l’incarico alla fine del 2022 per essere sostituito da Inacio Lula, N.d.R.). Gli scienziati hanno avvertito che un’ulteriore deforestazione potrebbe spingere la foresta pluviale amazzonica oltre il punto di non ritorno in cui l’umidità e l’equilibrio di carbonio di gran parte del bioma amazzonico si romperebbe. Aldilà di questo limite, l’Amazzonia potrebbe effettivamente fallire come foresta pluviale e iniziare a diventare un ecosistema molto più secco, simile a una savana”.

Secondo alcuni studi, il punto di svolta verrebbe raggiunto quando l’area boschiva dovesse diminuire dal 20 al 25%, a causa della deforestazione. Dato che siamo già a oltre il 17% del bacino amazzonico, possiamo dire che ormai siamo pericolosamente vicini a questa catastrofe.

Ancora più preoccupante è il fatto che la lobby dell’agroindustria continua a perseguire una legislazione che incoraggia la maggiore deforestazione. I politici di estrema destra stanno portando avanti progetti di legge per premiare l’accaparramento di terre, per ridisegnare i confini dei territori indigeni e per utilizzare le terre indigene per l’estrazione mineraria.

• L’area disboscata ogni anno in Amazzonia è aumentata del 52% nei primi tre anni dell’amministrazione Bolsonaro, con una media di 11.339 km² (tra il 2019 e il 2021), rispetto alla media del triennio precedente cheè stata di 7.458 km² (tra il 2016 e il 2018) .

• 34.018 km2 sono stati deforestati in Amazzonia negli ultimi tre anni, secondo l’Osservatorio PRODES. Questa è un’area più grande del Belgio.

L’Amazzonia è vitale per la biodiversità globale, il clima e le precipitazioni. La perdita di questo ecosistema critico avrebbe gravi conseguenze globali.

Nella distruzione dell’Amazzonia si parla molto di interessi stranieri. Quali sono i Paesi maggiormente coinvolti e quali sono le responsabilità dell’Europa?

Ogni due secondi perdiamo un’area di foresta grande quanto un campo da calcio e il consumo europeo di prodotti legati alla deforestazione e al degrado forestale rende l’Ue complice di questa distruzione. Sempre secondo Defreitas, “l’Amazzonia viene distrutta per la produzione di prodotti agricoli come carne bovina, cuoio e mangimi per animali, nonché per l’estrazione di legname e minerali. Questi prodotti vengono esportati in tutto il mondo globalizzato: in particolare nell’UE, in Cina, negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Canada, in Russia e in Medio Oriente. Quando gli uffici di Greenpeace, anche al di fuori del Brasile, lanciano l’allarme sull’Amazzonia brasiliana, lo fanno perché le aziende e i governi dei vari Paesi sono ugualmente complici e dovrebbero essere ritenuti responsabili per quello che fanno”.

L’Unione europea, da sola, è responsabile per oltre il 10 per cento della distruzione delle foreste del mondo, principalmente a causa di prodotti come carne, soia destinata ai mangimi, olio di palma e cacao. Purtroppo, si tratta di prodotti che troviamo comunemente sugli scaffali dei nostri supermercati e i cittadini europei non dovrebbero essere complici inconsapevoli di questa devastazione. Per fortuna, grazie anche all’enorme pressione dell’opinione pubblica pubblica, lo scorso settembre il Parlamento Europeo ha votato a favore di una nuova normativa per impedire l’ingresso sul mercatocomunitario di prodotti e materie prime la cui estrazione, raccolta o produzione è legata alla distruzione delle foreste e alle violazioni deidiritti umani. Si tratta di un primo importante passo in avanti per affrontare le responsabilità dell’Unione rispetto alla deforestazione nel mondo. Ora toccherà ai governi nazionali rispettare il volere dei cittadini. 

Tre quarti degli attivisti ambientali uccisi nel mondo (complessivamente nel 2020 sono stati 227) lo scorso anno vivevano in America Latina. Come si spiega questo fatto?

“Purtroppo”, spiega ancora Defreitas, “i conflitti determinati dalla ricerca del possesso della terra sono storicamente violenti e sono sempre esistiti. La speculazione fondiaria determina profitti enormi. In Brasile il governo ha intenzionalmente guardato dall’altra parte perché i profitti sono arrivati fino a Brasilia. L’Amazzonia è un luogo pericoloso ed è diventato sempre più pericoloso poiché  governo brasiliano si è schierato più e più volte con la distruzione criminale delle foreste, smantellando le tutele ambientali. Inoltre, il passato governo ha abbandonato le comunità o gli individui che difendono la foresta. Non li ha protetti protegge anche se sono stati minacciati. Minacce e violenze sono, tra l’altro,  in aumento”.

Le comunità indigene risultano le più colpite. Anche se costituiscono solo il 5% della popolazione mondiale rappresentano un terzo delle persone uccise. In che modo Greenpeace cerca di tutelarli?

I popoli indigeni sono i più efficienti difensori della foresta: quando i loro diritti vengono rispettati, le foreste prosperano. Greenpeace lavora per amplificare le loro richieste, sia dentro che fuori dal Brasile. È fondamentale per qualsiasi ONG ambientale sottolineare l’importanza dei diritti dei popoli indigeni per la protezione della natura: sono fondamentali per il clima e la biodiversità. In collaborazione con le organizzazioni indigene e le comunità indigene, Greenpeace Andino documenta ed espone le minacce che gli indigeni debbono affrontare, oltre a informare i governi e le società su queste minacce. Durante la pandemia, quando il governo brasiliano ha abbandonato i popoli indigeni a causa del COVID-19, Greenpeace ha utilizzato la sua infrastruttura di ricerca sul campo per trasportare forniture mediche e aiuti alle comunità più remote dell’Amazzonia.

La Colombia risulta il Paese con il maggior numero di attivisti uccisi. Quali sono le ragioni che alimentano questo triste primato?

Secondo i nostri colleghi di Greenpeace Andino ciò accade soprattutto nelle aree più interne del Paese. Lì sono più accentuati i conflitti con i grandi imprenditori e con le corporazioni legate all’agribusiness e all’estrazione mineraria. Indigeni, contadini e ambientalisti sono continuamente a rischio per difendere i loro territori. Tra l’altro debbono combattere anche con i paramilitari, con le organizzazioni guerrigliere e con le forze di sicurezza dello Stato.

Dopo sei anni di negoziati,  il 22 aprile del 2021 (nella Giornata della Terra) è entrato in vigore l’accordo di Escazú (dal nome dell’omonimo distretto della Costa Rica) che potrebbe rappresentare un’inversione di tendenza. Quali sono i punti salienti di questo accordo?

L’accordo firmato da diversi Paesi rafforza la necessità di una consultazione preventiva in merito alle attività che possono incidere sull’ambiente, nonché l’obbligo dello Stato di fornire informazioni e protezione agli attivisti e alle comunità ambientali. Maggiori informazioni si possono trovare cliccando sul link:

 https://www.greenpeace.org/colombia/noticia/issues/bosques/greenpeace-celebra-la-ratificacion-de-colombia-en-el-acuerdo-de-escazu%EF%BF%BC/

Un altro grave problema riguarda la deforestazione del Gran Chaco in Argentina, Paraguay e Bolivia, la seconda foresta tropicale delSud America. In quest’area quale è l’impegno di Greenpeace?

Greenpeace lavora da 30 anni nelle foreste del Gran Chaco in alleanza con organizzazioni sociali e comunità indigene e contadine. Le principali cause di deforestazione sono la soia e il bestiame geneticamente modificato, che vengono esportati principalmente in Cina ed Europa.

A seguito di un’articolata pressione, nel 2007 in Argentina è stata sancita una legge forestale nazionale. Questa legge vieta la deforestazione nell’80% della superficie forestale della regione. Da allora, la deforestazione è diminuita del 40%, ma la metà degli sgomberi che ancora avvengono sono illegali. E continuano a verificarsi anche sgomberi delle popolazioni indigene dai loro territori. Ecco perché Greenpeace e altre organizzazioni promuovono la Deforestazione Zero e la penalizzazione della distruzione delle foreste.

Il 31 dicembre 2020 il Messico ha pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il divieto della coltivazione del mais geneticamente modificato (OGM) e l’eliminazione progressiva dell’uso dell’erbicida glifosato entro il 2024. Secondo lei questa decisione riuscirà a trasformarsi in un esempio seguito anche sul piano internazionale?

Si tratta certamente di un risultato importante, e non solo per questo Paese latino-americano. Basti pensare che il Messico viene considerato il centro originario del mais, e quindi delle sue diversità genetiche, oltre che di altre colture come, ad esempio,  peperoncini, fagioli, zucca,vaniglia, cotone, avocado, cacao e amaranto. E mentre il Messico ha deciso che dal 2024 il glifosato sarà fuorilegge, a dicembre scadrà l’autorizzazione per l’uso anche nell’Unione europea: autorizzazione che nel 2017 era stata rinnovata per gli 5 anni, invece dei 15 di prassi.

Ebbene,dopo che un’Iniziativa dei Cittadini Europei (ICE) ne aveva chiesto la messa al bando, il divieto è stato deciso in tempi record sotto la pressione di un milione di firme. Si tratta di un passo importante e in linea con il Green deal europeo, che auspica il divieto di questa sostanza anche in Europa. Occorre, infatti,  investire in pratiche agricole ecologiche. E se da un lato la crisi climatica e ambientale è sempre più evidente, lo è meno il coraggio da parte di diversi Stati membri. La Germania ha annunciato il phase out dell’erbicida a partire dal 2024, indipendentemente cosa verrà deciso in sede di Unione europea. Comunque si tratta di una questione ancora aperta, nonostante che gli impatti del glifosato siano sempre più evidenti.

Greenpeace da molti anni conduce una serrata battaglia contro gli OGM. In maniera molto semplice possiamo spiegare quali sono le principali conseguenze del ricorso su larga scala agli OGM e ai pesticidi.

Sia gli OGM che l’uso massiccio di glifosato mettono a rischio la biodiversità delle varietà coltivate, che invece è fondamentale per la produzione alimentare. La grande maggioranza degli OGM in commercio è stata modificata per essere resistente a diserbanti come il glifosato, in modo da poter essere irrorati anche durante la stagione di crescita.

Altre varietà sono state modificate per produrre il ‘proprio pesticida’ (tossina Bt).Molte colture OGM sono progettate per avere entrambe le caratteristiche. GliOGM, sviluppati e commercializzati dalle stesse aziende produttrici di pesticidi di sintesi, rientrano in un pericoloso approccio basato su un’idea di guerra chimica contro infestanti e parassiti che hanno decimato la fauna selvatica, impoverito il suolo e fatto emergere specie infestanti e parassiti ancora più difficili da controllare.  

Per fare un esempio, negli Stati Uniti l’uso del glifosato è aumentato di circa 300 volte dal 1974 al 2014. Nei Paesi in cui vengono regolarmente coltivati OGM, le aziende agrochimiche non solo dettano le scelte degli agricoltori, ma riescono anche a influenzare le politiche governative. Negli Stati Uniti e in Brasile, ad esempio, continuano ad essere permessi erbicidi pericolosi il cui uso è vietato o limitato nell’Ue per i potenziali rischi per la salute umana e per l’ambiente.

___________ Videoclip del ‘Movimento Tutela Sociale’ vincitore del Premio ‘Musica per il sociale’ promosso dalle Radio e Televisioni della REA