(Foto: nel riquadro Erika Guevara Rosas)

Avvocata di diritti umani conosciuta a livello internazionale per il suo impegno nella tutela dei diritti umani, Erika Guevara Rosas, di nazionalità messicana-americana, è anche un’attiva femminista. Dal 2013 dirige Amnesty International per le Americhe, seguendo l’attività dell’organizzazione in tutto il continente.

La Guevara vanta oltre vent’anni di esperienza nel campo dei diritti umani, della giustizia sociale e di genere, nonché di filantropia. Ha ricoperto diverse posizioni di leadership in organizzazioni e agenzie internazionali come il Fondo globale per le donne e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR). Inoltre, ha assunto ruoli di leadership nel volontariato e nei consigli di amministrazione dell’Associazione per i diritti delle donne nell’ambito dello sviluppo sostenibile  (AWID) e del Women’s Human Rights Education Institute (l’Istituto per l’Educazione e Diritti Umani).

Infine, ha condotto numerose indagini sui diritti umani, comprese le migrazioni forzate, la violenza sessuale contro le donne in contesti di conflitto armato, la giustizia di genere, i diritti sessuali e riproduttivi e la situazione dei difensori dei diritti umani. I suoi articoli e note di opinione appaiono pubblicate frequentemente su vari media regionali e internazionali.

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Nota della redazione

Punto Continenti, in collaborazione con la sede romana di UNIPACE e la REARadiotelevisioni Europee Associate, sta eseguendo una serie di indagini e interviste sul ruolo dell’America Latina nella nuova geopolitica mondiale. Per la realizzazione e diffusione di questa indagine Punto Continente s’avvale della collaborazione di esperti di organizzazioni come lIILA (l’Organizzazione Internazionale Italo Latino-americana); Mediatrends America Europa (gestito dal giornalista Roberto Montoya che organizza incontri internazionali di alto livello); il Movimento Tutela Sociale (un Movimento d’opinione internazionale – vedere la pagina Facebook:

 https://www.facebook.com/groups/508452549970758/); nonché di programmi giornalistici, radiofonici e televisivi come Sentir Latino, diretto dal giornalista boliviano Luis Flores, che va in onda in Italia (su Radio Mambo e presto su One Tv a Milano) e in America Latina.

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Ci può descrivere in poche parole come è nata e come è strutturata la presenza di Amnesty International in America Latina?

Amnesty International è un movimento globale di oltre 10 milioni di persone impegnate nella difesa dei diritti umani. Il movimento è finanziato dal contributo di soci e attivisti. Dopo oltre 60 anni di successi, Amnesty International ha subito una profonda trasformazione per adattarsi agli straordinari cambiamenti che il mondo sta attraversando.

Siamo passati dall’avere una grande sede a Londra all’apertura di sedi operative regionali in città dell’Africa, delle Americhe, dell’Asia e dell’Oceania, dell’Europa centrale e orientale e del Medio Oriente. Questi uffici sono hub regionali chiave per le nostre attività di ricerca, campagne di pressione e comunicazione. I nuovi uffici regionali rafforzano il lavoro delle Sezioni, che già hanno un impatto con il loro lavoro a livello nazionale in più di 70 paesi.

Nel caso del continente delle Americhe, la sede operativa si trova a Città del Messico, da dove seguiamo lo sviluppo di strategie di ricerca, campagne di pressione, educazione ai diritti umani e mobilitazione per le 12 sezioni della nostra regione e per migliaia di organizzazioni e movimenti sociali per i diritti umani.

Molti sostengono che l’America Latina sia una delle regioni più pericolose al mondo per i difensori dei diritti umani. È vero?

Come riferisce dettagliatamente il Rapporto 2021/22 di Amnesty International sui diritti umani nel mondo, le Americhe rimangono una regione in cui l’impunità per gravi violazioni dei diritti umani e crimini ai sensi del diritto internazionale continua a essere motivo di grande preoccupazione in più della metà dei Paesi.

Per diversi anni, l’America Latina e i Caraibi sono state le aree geografiche a più alto rischio per i difensori dei diritti umani. Le persone che contribuiscono a combattere la disuguaglianza, l’ingiustizia, il razzismo, la violenza di genere e il cambiamento climatico, solo per citare alcune delle nostre battaglie, hanno avuto un forte impatto sulla loro sicurezza personale. I difensori sono state vittime di spionaggio, minacce, aggressioni, molestie, arresti arbitrari, reclusione e procedimenti giudiziari infondati. Le loro attività in difesa dei diritti umani sono state criminalizzate: sono vittime dell’uso spregiudicato della forza, di omicidi e sparizioni forzate.

Nel 2022, la Commissione interamericana per i diritti umani (IACHR) ha affermato che la regione continua a essere una delle più pericolose per svolgere l’opera di difesa dei diritti umani nel mondo. 

Secondo quest’organizzazione nel 2021, un terzo di tutte le violazioni registrate nelle Americhe riguardavano i difensori dell’ambiente, della terra e delle popolazioni indigene. Abbiamo visto questa tendenza riflessa nel nostro lavoro di affiancamento e protezione dei difensori ambientali. L’aumento della violenza, compreso l’uso improprio del sistema giudiziario (per intimidire le voci di coloro che difendono il proprio territorio e le proprie risorse naturali) è un riflesso della collusione degli Stati con coloro che continuano a generare degrado ambientale, a spese dei diritti umani e delle comunità.

Come indicato dal Rapporto Amnesty International del 2021/22, Paesi come Guatemala, Honduras, Messico, Paraguay, Perù e Venezuela continuano a permettere lo sviluppo di importanti progetti estrattivi, agricoli e infrastrutturali senza ottenere il consenso libero, previo ed informato delle popolazioni indigene coinvolte, nonostante a volte ci fossero ordinanze giudiziarie che ingiungevano di sospendere le operazioni.

In Brasile, ad esempio, l’ex Presidente Bolsonaro che recentemente ha perso le elezioni presidenziali per la rielezione, ha continuato a promuovere la deforestazione e l’estrazione di risorse naturali in Amazzonia. Di conseguenza  ha aggravato l’impatto della crisi climatica sulle terre delle popolazioni indigene. Non a caso è stato incriminato di genocidio ed ecocidio dinanzi alla Corte penale internazionale. Dall’altro canto, il Canada continua a sovvenzionare l’industria dei combustibili fossili, mentre la Bolivia l’anno scorso ha approvato regolamenti che incentivavano  l’abbattimento degli alberi e l’incendio delle foreste. Infine, il Messico è diventato il paese più letale per i difensori ambientali.

Negli anni ’80 ci furono molte dittature violente in paesi come Cile, Argentina, Brasile, Uruguay, ecc. Che tipo di aiuto Amnesty è stata in grado di fornire alle vittime?

In uno dei periodi più dolorosi del Continente, negli anni ’70 e ’80, quando conflitti armati e regimi dittatoriali hanno preso il sopravvento nella Regione, Amnesty International ha alzato la voce di solidarietà e vicinanza alle migliaia di vittime e alle coraggiose organizzazioni che si ergevano nel tentativo di fare scudo contro le atrocità commesse, in particolare dalle dittature del Cono Sud. 

Amnesty International, attraverso le sue ricerche, le sue campagne di solidarietà internazionale, di  liberazione dei prigionieri in Paesi come Argentina, Uruguay, Paraguay, Cile e Brasile, è stato il primo gruppo di lotta per i diritti umani a inviare, ad esempio, una delegazione in Argentina durante la dittatura del 1976-1983 per valutare lo stato dei diritti umani e indagare sulle denunce di detenzioni illegali, torture e sparizioni forzate.

Durante la dittatura militare argentina, le forze di sicurezza hanno sequestrato  circa 30.000 persone, molte delle quali restano desaparecidas. Sono state commesse violazioni sistematiche e diffuse dei diritti umani, torture ed esecuzioni extragiudiziali su larga scala, compresi i famigerati “voli della morte”, in cui le vittime sono state gettate verso la morte da aerei o elicotteri militari.

Il rapporto di Amnesty International, pubblicato nel 1979, includeva i nomi di 2.665 scomparsi di cui il regime negava di sapere dove si trovassero. L’organizzazione è stata un grande sostegno ai gruppi che lottavano per i diritti umani, come le madri e nonne alla ricerca dei loro figli e nipoti scomparsi.

In Brasile, nel marzo 1973, Amnesty International ha lanciato la sua prima azione urgente per chiedere la liberazione di un professore di storia, detenuto e torturato per motivi politici. Le autorità brasiliane hanno iniziato a ricevere migliaia di lettere da tutto il mondo a sostegno di Luiz Rossi, rilasciato sette mesi dopo il suo arresto.

Storie come queste si sono ripetute in Paesi come Cile, Paraguay e Uruguay, dove molti dei nostri attivisti continuano a mantenere viva la memoria e a chiedere verità e giustizia in sintonia con i nostri programmi. Amnesty International si batte da tempo per ottenere giustizia per le vittime e per la condanna dei vertici militari e dei dirigenti governativi sospettati di responsabilità penale, molti dei quali,  negli ultimi anni sono stati processati in tribunali civili ordinari.

Come sono i rapporti di Amnesty con i diversi governi locali, sia di stampo autoritario che democratici?

Amnesty International è un’organizzazione apolitica che non distingue tra governi percepiti come appartenenti a diversi spettri politici. Non ci pronunciamo sulle forme di governo e ci concentriamo sugli obblighi degli Stati in termini di diritti umani. Nel nostro lavoro cerchiamo un dialogo con tutti i governi della Regione per formulare raccomandazioni e chiedere che garantiscano i diritti umani di tutte le persone. Negli ultimi anni abbiamo assistito a una diminuzione dell’apertura al dialogo costruttivo da parte delle autorità, anche ai massimi livelli. L’unico Paese in cui non abbiamo accesso per svolgere il nostro lavoro sul campo è Cuba, nonostante le continue richieste di poter entrare nel Paese.

Oltre ad essere avvocato, lei è anche una femminista impegnata. Ebbene, in America Latina diverse donne sono riuscite a diventare Capi di Stato. Ma in generale, come vede la situazione delle donne latinoamericane in termini di diritti umani?

Sono stati compiuti alcuni progressi nella Regione in relazione ai diritti umani delle donne e all’uguaglianza di genere. Questi cambiamenti sono il risultato della pressione e degli sforzi instancabili dei movimenti per i diritti delle donne che si ispirano l’uno all’altro, nonostante le differenze contestuali in ciascun paese.

Tuttavia, molte minacce prevalgono. Forse le più gravi sono quelle connesse alla violenza patriarcale. Questa violenza continua ad aumentare, soprattutto contro le donne provenienti da comunità storicamente emarginate che subiscono molteplici forme di discriminazione, come le donne indigene e nere, le donne rurali, le prostitute, lesbiche, bisessuali e trans e altre.

Secondo ECLAC, la Commissione economica per l’America Latina e Caraibi, ogni due ore una donna viene uccisa in America Latina. Le misure di protezione delle donne e delle ragazze sono inadeguate in tutta la Regione, mentre le indagini sui casi di violenza di genere,  tra cui la violenza domestica, lo stupro, l’omicidio e il femminicidio,  sono spesso insufficienti o vengono semplicemente ignorate.

Uno dei paesi più colpiti è il Messico. Solo da gennaio a settembre di quest’anno sono state uccise 2.847 donne, secondo i dati del Sistema di sicurezza nazionale. Nell’ambito di un’indagine che abbiamo svolto l’anno scorso è stato documentato che le inchieste della Procura Generale dello Stato del Messico sui femminicidi preceduti da sparizioni, presentano gravi carenze dovute all’inerzia e alla negligenza delle autorità. In molti casi, le prove vengono perse, non tutte le possibilità di indagine vengono esplorate e spesso le tutele di genere non vengono attuate correttamente. Queste carenze ostacolano il processo giudiziario e aumentano le probabilità che i reati rimangano impuniti.

Cosa avviene, invece, fuori dal Messico?

Anche in altri paesi del Continente la situazione è critica. Nel 2021 Paraguay e Porto Rico hanno dichiarato lo stato di emergenza a causa dell’aumento della violenza contro le donne. In Paraguay, l’Ufficio del difensore civico ha assistito quasi duemila donne vittime di violenza, mentre la linea SOS della Polizia nazionale e il Ministero delle donne del Paese hanno registrato quasi ottomila casi di violenza domestica.

La violenza sessuale e la scomparsa di donne e ragazze sono diventate i reati più frequenti e scarsamente denunciati o indagati di tutta la Regione, nella quale si trovano oltretutto alcuni dei Paesi più restrittivi in materia di accesso ai diritti sessuali e riproduttivi. E pensare che parliamo ancora di dati sottostimati o non indagati su tutto il territorio.  Più del 97% delle donne in età riproduttiva in America Latina e nei Caraibi vive in Paesi con leggi restrittive sull’aborto.

Questo non sta accadendo solo in America Latina e nei Caraibi. Anche negli Stati Uniti, il diritto delle donne all’aborto ha recentemente subito una battuta d’arresto storica e devastante.

La pandemia del COVID19 ha intensificato la crisi della violenza contro le donne, soprattutto le ragazze. La pandemia ha esacerbato le disuguaglianze preesistenti, le sfide sistemiche e la violenza in tutta l’America Latina e nei Caraibi. Gli effetti di un’inevitabile crisi economica hanno solo messo in luce problemi che i difensori dei diritti umani conoscono molto bene. I modelli di sviluppo dominanti e i sistemi economici globali hanno da tempo rafforzato il razzismo strutturale, il patriarcato e i fondamentalismi.

Alcune delle misure imposte dai governi della Regione per contrastare la diffusione del virus hanno avuto un impatto sproporzionato su donne e ragazze. Le restrizioni e limitazioni di movimento, ad esempio, portano a tassi più elevati di violenza di genere, a un minore accesso ai servizi di salute sessuale e riproduttiva, a un aumento del lavoro di assistenza non retribuito e molto altro ancora.

Tuttavia, nonostante questo contesto, i movimenti femminili e femministi hanno subito trasformazioni molto importanti. In Argentina, ad esempio, la lotta per il diritto all’aborto ha trasformato le sciarpe verdi in un simbolo, la marea verde, che ha persino varcato i confini. L’aborto è stato finalmente legalizzato in Argentina nel dicembre 2020 dopo anni di instancabile campagna da parte degli attivisti. Cambiamenti simili si sono verificati in Colombia e Messico nell’ultimo anno.

Nonostante le violenze e le ingiustizie devastanti subite da donne e ragazze nella Regione, i movimenti delle donne hanno dimostrato che la loro resilienza e resistenza stanno determinando cambiamenti strutturali.

In che misura la tortura è ancora praticata in America Latina?

Secondo i nostri ultimi rapporti, la tortura è una pratica che continua a essere ricorrente in diversi Paesi del continente, in particolare dove è stata formalizzata la militarizzazione della sicurezza pubblica, come in Centro America, Brasile, Venezuela e Messico.

In Nicaragua la crisi scatenata dall’aprile 2018 ha generato un contesto di gravi violazioni dei diritti umani. Giornalisti e difensori dei diritti umani  vivono in un ambiente ostile. Più di 200 persone, tra cui anche candidati alla Presidenza, continuano a essere detenute arbitrariamente per motivi politici. Molti di loro hanno presentato ripetute denunce di tortura. In Colombia, secondo la Campaña defender la Libertad, 3.275 persone sono state arrestate arbitrariamente nel quadro delle manifestazioni che si sono svolte tra il 28 aprile e il 30 giugno. Spicca il caso di Álvaro Herrera, Noé Muñoz e Sebastián Mejía, che sono stati picchiati e detenuti da civili armati, e successivamente sono rimasti sotto la custodia della Polizia Nazionale a Cali per 24 ore, dove sono stati sottoposti a torture e atti crudeli e disumani.

La Missione conoscitiva sul Venezuela ha documentato che è normale che le autorità non indaghino sulle accuse di tortura, nonostante siano note, e Amnesty International ha dimostrato come questa pratica sia comune e facente parte di una politica sistematica di repressione.

È noto che dall’epoca delle scoperte le minoranze meno rispettate furono le popolazioni indigene e le comunità nere. È cambiato qualcosa negli ultimi anni?

Purtroppo, e nonostante i progressi in materia di diritti umani, le discriminazioni, il razzismo e l’oppressione continuano a manifestarsi in tutto il Continente, in particolare contro le comunità dei popoli indigeni e dei popoli afrodiscendenti, che soffrono in modo sproporzionato a causa delle disuguaglianze e delle violazioni dei diritti umani.

In Nicaragua, ad esempio, le organizzazioni dei popoli indigeni hanno denunciato la presenza e gli attacchi di coloni che continuano a stabilirsi illegalmente nelle loro terre, con la complicità delle autorità.

In Perù, le autorità non hanno affrontato adeguatamente la crisi sanitaria subita dai popoli indigeni a Espinar, dovuta all’inquinamento ambientale originata da sostanze tossiche. Un inquinamento determinato dalla presenza di società statali e private che estraggono risorse naturali.

In Venezuela, l’estrazione illegale nell’arco minerario dell’Orinoco ha continuato a essere motivo di preoccupazione a causa del grave impatto sui diritti delle popolazioni indigene, che hanno subito abusi come lo sfruttamento del lavoro e la violenza di genere.

Il razzismo è stato sistematico anche contro le popolazioni nere del continente, che, ad esempio, subiscono in modo sproporzionato la violenza della polizia, come in Colombia e negli Stati Uniti.

Negli USA la polizia ha sparato e ucciso 888 persone nel 2021, colpendo in modo sproporzionato i neri. Come dettagliato nel rapporto di Amnesty International, “non sono stati trattati come persone”: torture e altri maltrattamenti sono stati eseguiti su base razziale, spesso legati all’immigrazione degli haitiani in cerca di sicurezza negli Stati Uniti.  Le autorità statunitensi hanno sottoposto gli haitiani richiedenti asilo a detenzioni arbitrarie e vessazioni discriminatorie e umilianti: una vera tortura su base razziale.

Il maltrattamento degli haitiani nei centri di detenzione statunitensi, inclusa la mancanza di cibo, assistenza sanitaria, informazioni, interpreti e assistenza legale adeguata, ha avuto, come dimostrato dal nostro rapporto, un impatto cumulativo sugli intervistati, poiché avevano già subito varie violazioni dei diritti umani, compreso il razzismo nei confronti dei neri, durante il loro viaggio negli Stati Uniti. Infine, i 24 haitiani intervistati da Amnesty International hanno affermato di essere stati riportati ad Haiti in aereo, ammanettati e incatenati: un trattamento che ha causato loro dolore e sofferenza psicologica a causa dell’associazione mentale alla schiavitù e ai crimini perpetrati in passato sulla loro gente. Nella valutazione di Amnesty International, sulla base delle testimonianze raccolte, ciò costituisce una tortura basata sulla razza e sullo stato di immigrazione ai sensi del diritto internazionale sui diritti umani: una normativa che vieta decisamente i maltrattamenti e richiede agli Stati di proteggere gli individui da tutti gli atti di tortura, compresi quelli basati su vulnerabilità specifiche dovute a razza, stato di immigrazione e nazionalità.

Nel rapporto di Amnesty International del 2019 lei ha affermato: “Leader intolleranti e sempre più autoritari hanno fatto ricorso a tattiche ancora più violente per impedire alle persone di protestare o cercare sicurezza in altri Paesi. Ma abbiamo anche visto giovani schierarsi dalla parte dei diritti e chiedere il cambiamento, dando il via a massicce manifestazioni”.

La sua fiducia nei giovani è ancora la stessa?

Certo, i giovani non sono solo la speranza futura, ma rappresentano anche il presente collettivo dei cambiamenti che si stanno generando. Sono i giovani che oggi scendono in piazza per protestare contro l’ingiustizia, per incoraggiare la società a trasformare la nostra visione del mondo, per riparare il danno planetario che abbiamo causato e per affrontare la crisi climatica.  Sono le giovani donne e i gruppi di persone LBGTIQ+ che ci mostrano la strada del rispetto e della dignità. Ecco perché abbiamo l’obbligo etico di ascoltare e imparare dalla nostra giovane popolazione che oggi soffre degli errori del passato.

 

A livello personale, qual è l’obiettivo principale che intende raggiungere all’interno di Amnesty International?

In qualità di difensore dei diritti umani che crede fermamente nel potere delle persone e che i cambiamenti avvengano in maniera collettiva, spero che Amnesty International possa continuare a fungere da piattaforma anche per altri movimenti, e che la nostra partecipazione solidale possa aiutare  ovunque le iniziative locali impegnate nella ricerca di una maggiore giustizia e un maggiore rispetto dei diritti umani. Il tutto con una visione ottimistica sulla possibilità di avere un mondo più giusto. 

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Videoclip del ‘Movimento Tutela Sociale’ vincitore del Premio ‘Musica per il sociale’ promosso dalle Radio e Televisioni della REA