Il professore e filosofo messicano Rodrigo Guerra Lopez ricopre attualmente il ruolo di Segretario della Pontificia Commissione per l’America Latina ed è  membro ordinario delle Pontificie Accademie per la Vita e delle Scienze Sociali, nonché professore alla Pontificia Università Gregoriana. Nato a Città del Messico nel 1966, Guerra è fondatore del Centro di investigazione Sociale Avanzata in Messico. Inoltre, ha conseguito il Dottorato in Filosofia presso l’Accademia Internazionale di Filosofia nel Principato del Liechtenstein.

Guerra ha ricoperto anche il ruolo di Coordinatore Accademico del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II di Città del Messico ed è stato Professore di Metafisica, Bioetica e Filosofia del Diritto all’Università Panamericana, sempre a Città del Messico. Infine, dal 2004 al 2007,  ha fondato l’Osservatorio Socio Pastorale del Consiglio Episcopale Latinoamericano. 


Nota della redazione –  Punto Continenti, in collaborazione con la sede romana di UNIPACE (Università Internazionale per la Pace istituita dall’ONIU nel 1980) e la REA (Radiotelevisioni Europee Associate), sta eseguendo una serie di indagini e interviste sul ruolo dell’America Latina nella nuova geopolitica mondiale. Per la realizzazione e diffusione di questa indagine Punto Continente s’avvale della collaborazione di esperti di organizzazioni come lIILA (l’Organizzazione Internazionale Italo Latino-americana); Mediatrends America Europa (gestito dal giornalista Roberto Montoya che organizza incontri internazionali di alto livello); il Movimento Tutela Sociale (un Movimento d’opinione internazionale – vedere la pagina Facebook:  https://www.facebook.com/groups/508452549970758/); nonché di programmi giornalistici, radiofonici e televisivi come Sentir Latino, diretto dal giornalista boliviano Luis Flores, che va in onda in Italia (su Radio Mambo e presto su One Tv a Milano) e in America Latina.
Professore, per cominciare le chiedo un’opinione sulla grande novità rappresentata dalla scelta di un Papa latino americano. Cosa pensa in merito?

Il significato di avere un Papa latino-americano si può riassumere in una sola idea molto sentita e potente: l’America Latina non è più una chiesa speculare, cioè, una chiesa che riflette semplicemente le intuizioni teologiche e pastorali europee, ma  si è convertita concretamente in una chiesa che è anche fonte e che può contribuire attivamente alla vita comune della chiesa universale.

Oggi Papa Francesco è all’avanguardia del rinnovamento conciliare, proponendo a noi tutti di prendere sul serio la riforma della chiesa. Una riforma che continua e approfondisce il Concilio Vaticano II e alla quale si chiede non solo di stare al passo con i tempi ma di continuare ad essere un fedele custode del deposito della fede.

Cerchiamo di affrontare subito una questione spinosa riguardante il periodo coloniale. E’ vero che la chiesa ha protetto molto di più gli indios rispetto neri? Come si spiega questo fatto?

Per capire questa delicata materia è assolutamente necessario considerare la logica che prevaleva all’epoca della scoperta del Nuovo Mondo. Rifacendosi anche al pensiero di Aristotele erano in molti a sostenere che gli schiavi e i neri non avessero un’anima del tutto sviluppata e quindi inferiore, e quindi meritevole di una minore tutela. L’umanista Juan Ginés de Sepulveda sosteneva, ad esempio, che alcuni uomini sono servi per natura, che la guerra mossa contro di loro è conveniente e giusta a causa della gravità morale dei delitti di idolatria, dei peccati contro natura e dei sacrifici umani da loro commessi e che, infine, l’assoggettamento avrebbe favorito la loro conversione alla fede cristiana.

Lo so che tutto ciò appare oggi completamente assurdo ma all’epoca era un pensiero abbastanza diffuso. In ogni caso, contro questa posizione si è scagliato energicamente all’interno della Giunta di Valladolid  (un organo di discussione e riflessione promossa da Carlo V) il vescovo di San Cristobal, (Chiapas – Messico), Bartolomeo de Las Casas, schierandosi apertamente al fianco dei nativi e degli africani schiavizzati nelle colonie. Grazie alla sua incessante attività e alle sue continue denunce di sfruttamento vennero promulgate e ratificate le Leggi Nuove di Carlo V. In pratica furono abolite le encomiendas, le strutture agricole gestite con un sistema di sfruttamento schiavistico feudale. Questa decisione consentì l’innalzamento delle condizioni non solo degli indios ma anche dei neri arrivati dall’Africa. Rimase invece aperto il problema dei diritti degli afro-discendenti, cioè di coloro che sono nati nel Nuovo Mondo: un problema che si è risolto, purtroppo, solo molti anni dopo.

Nel 1773 venne soppressa la Compagnia di Gesù, fondata nel 1540 da Sant’Ignazio di Loyola. In pratica i gesuiti furono espulsi  in tutto il Mondo e quindi anche nell’America Latina  dove difendevano i diritti degli indios. Quali furono le ragioni di questa drastica decisione?

La soppressione della Compagnia iniziò nel 1759 con Papa Clemente XIV per essere nuovamente istituita nel 1814 da Pio VII. Questo provvedimento determinò l’espulsione dei gesuiti dal Portogallo e dalle sue colonie, dalla Francia, Spagna e colonie, da Malta, dalla Monarchia asburgica e da Napoli e Sicilia.

Ci furono varie motivazioni politiche ed economiche. Molti oppositori consideravano eccessiva l’influenza esercitata dalla Compagnia in diverse corti europee, soprattutto in Francia e Portogallo. Tra questi oppositori c’era in Portogallo il marchese di Pombal, una specie di ministro dell’interno durante il Regno di Giuseppe I. Pombal fu un convinto assertore della necessità di deportare i gesuiti dalle Americhe. Tra gli oppositori dei gesuiti v’erano naturalmente anche i conquistatori, che non gradivano la tutela degli indios fatta dai gesuiti.

Nel Nuovo Mondo la soppressione della Compagnia ha avuto forti ripercussioni, soprattutto in Paraguay e Argentina, all’interno delle reducciones dove operavano i gesuiti. A questa espulsione si sono invece opposti energicamente gli indios guaranì. La soppressione della Compagnia ha comportato un generale decadimento economico e sociale.

Lei è messicano e proprio in Messico nel 1927 avvenne la rivolta dei cosiddetti Cristeros. Una rivolta poco conosciuta in Europa. In estrema sintesi ce la può spiegare?

La rivolta dei Cristeros è stata in Messico una sollevazione popolare avvenuta tra il 1926 e il 1929  contro le violente persecuzioni anticattoliche e anticlericali del Presidente massone Plutarco Elìas Calles  per il quale la Chiesa era la sola causa di tutte le sventure del Messico. Egli cercò anche di dare vita a una Chiesa nazionale separata da Roma. L’obiettivo del Presidente era, comunque, quello di chiudere ed espropriare le scuole cattoliche, i seminari, le chiese, nonché di sciogliere tutti gli ordini religiosi.

In risposta a questa persecuzione è nato un vero esercito ribelle guidato da Enrique Gorostieta Velarde, mai sostenuto ufficialmente dalla chiesa messicana e dalla Santa Sede, anche se Papa Pio XI denunciò pubblicamente la persecuzione dei cattolici messicani. Una persecuzione che è costata la vita a oltre 80mila persone.

E come è finita?

Il 21 giugno del 1929, con la mediazione dell’Ambasciatore americano, sono stati firmati gli Arreglos, cioè, gli accordi di cessate il fuoco. Accordi estremamente sfavorevoli per i cristiani: in pratica, tutto restava come prima solo che il Governo s’impegnava a non applicare le norme repressive contro la chiesa. Purtroppo, dopo che gli insorti avevano consegnato le armi sono ricominciate le persecuzioni. Molti cristeros vennero arrestati e fucilati. Insomma, fu una beffa. Alcuni cristeros e discendenti di cristeros rimasero risentiti nei confronti dei vescovi, il che creò un’atmosfera di taglio integralista che ancora sussiste in alcuni ambienti.

Nel 1968, a seguito del Consiglio episcopale latinoamericano di Medellin si è sviluppata una corrente di pensiero conosciuta come la Teologia della liberazione che rivendicava profondi cambiamenti sul piano sociale. Eppure questa corrente di pensiero è stata fortemente contrastata all’interno della chiesa. Come mai?

La teologia della liberazione è un concetto che abbraccia diverse correnti e modalità. Ciò che la Chiesa ha rifiutato attraverso due Istruzioni della Congregazione per la Dottrina della Fede, è stata la corrente che ha incorporato la socioanalisi marxista. È il caso di Hugo Assman, Giulio Girardi e altri. Tuttavia, lo stesso san Giovanni Paolo II ha riconosciuto a tempo debito davanti ai vescovi brasiliani che la teologia della liberazione è urgente e necessaria. Evidentemente voleva una teologia della liberazione non marxista come quella che in gran parte è nata intorno al Río de La Plata, cioè la cosiddetta teologia del popolo.

Parliamo di un altro argomento molto delicato. Il rapporto tra la chiesa e le dittature militari in sud America. Molte vittime di quegli anni terribili hanno ritenuto che la chiesa fosse stata troppo morbida nel condannare i regimi militari. Lo stesso Papa Francesco, all’epoca padre superiore provinciale dell’Argentina, venne stigmatizzato per non aver mai espresso una dura condanna nei riguardi dei generali. Come spiega questo fatto?

Lo so, conosco molto bene queste critiche e voglio tentare di rispondere in modo sincero e obiettivo. La chiesa è fatta da uomini, e come avviene nell’ambito di ogni  realtà politica e a tutte le latitudini del mondo, alcuni tendono a schierarsi da una parte, altri dall’altra. Molti rimangono, invece, indifferenti come se la cosa non li toccasse. A volte questi schieramenti sono autentici e convinti, in altri casi sono opportunistici. La dittatura militare in Argentina, durata dal 1976 al 1981, è stata indubbiamente feroce e sanguinaria.

Detto ciò, è un fatto storico che alcuni membri del clero e dell’alto clero argentino sono stati sostenitori dei militari. Altri, al contrario, hanno finito per appoggiare le rivolte e le opposizioni più estreme e perfino cruente.

Poi c’è stata gente come Papa Bergoglio, che fin dall’inizio ha puntato sul dialogo e sul cercare di evitare la polarizzazione: comportamenti che alla fine rischiano sempre di scontentare tutti. Ma non ha importanza. Io posso assicurare che questa disponibilità al dialogo ha salvato concretamente tantissime vite, oltre a migliorare in diversi casi le condizioni umane dei prigionieri. In piena coscienza il Papa ritiene di aver fatto tutto ciò che umanamente era possibile fare in quelle circostanze.

Oggi nelle Americhe assistiamo alla crescente presenza delle chiese evangeliche carismatiche. Chiese che hanno rapporti molti stretti con diversi politici riuscendo, di conseguenza, a condizionare l’attività dei Governi. Come pensa la chiesa cattolica di contrastare questo fenomeno che sta facendo, tra l’altro, perdere molti fedeli?

Su questo aspetto il Papa ha delle idee molto chiare. Non c’è da fare alcuna crociata ma solo interrogarsi in profondità e fare, se necessario, anche delle autocritiche. Perché molti cattolici sono attratti dalle chiese pentecostali? Probabilmente perché col tempo si è attenuato nella chiesa cattolica il contatto personale, direi quasi fisico, con i fedeli. Da questo punto di vista i missionari nel mondo stanno facendo molto ma le loro forze non bastano più, soprattutto nelle grandi città. Tanti fedeli hanno lasciato la chiesa cattolica perché hanno trovato in altre chiese ciò che spesso si è indebolito: una vita nello stile di Gesù, vicina, fraterna, solidale.

Conosco anche le critiche fatte alle chiese evangeliche, ai loro legami con certi movimenti politici, agli ingenti interessi economici che le circondano. Ma non è questo che ci deve interessare. Dobbiamo invece rilanciare con convinzione lo spirito cristiano di solidarietà, di umanità, di fratellanza con ogni singolo fedele. In questo senso, il Papa invita continuamente la chiesa cattolica a non chiudersi come se fosse una fortezza, ad aprire tutte le porte, ad ascoltare le persone, ad essere al servizio di tutti, anche di chi non crede o non fa parte integrante della chiesa cattolica.

Attualmente uno dei problemi più grandi è rappresentato dal fenomeno delle emigrazioni. Il Messico, come Paese di transito verso gli Stati Uniti, si trova continuamente con il problema della gestione di migliaia di centroamericani desiderosi di attraversare la frontiera: un sogno spesso contrastato con grande brutalità. Quale contributo la chiesa è in grado di dare alla soluzione di questo grave problema?

La questione dell’emigrazione è un fenomeno mondiale. In assoluto bisognerebbe fare in modo che nessuno sia costretto a lasciare il proprio Paese per fame o per paura delle guerre. Gli stessi problemi che avvengono alla frontiera tra il Messico e gli Stati Uniti si ripetono alla frontiera tra il Guatemala e il Messico. E lo stesso avviene anche in Europa, in Italia.

Purtroppo molte persone sono buone e caritatevoli quando il problema riguarda gli altri, mentre diventano intransigenti se il problema si presenta a casa propria. Certo, nessun Paese può da solo accogliere tutti, ma tutti hanno ugualmente diritto di essere trattati con umanità. Ed è per il rispetto di questo principio che la chiesa si batte in America, in Europa, ovunque nel mondo.

Per chiudere sappiamo che il Papa, oltre a impegnarsi fortemente per la pace nel mondo,  ha sempre dimostrato una grande sensibilità per l’ambiente. Già nel 2015 aveva espresso il suo pensiero nel famoso libro Laudato sì. Per la chiesa, allo stato attuale, quale potrebbe essere la vera chiave di volta per salvare la terra dai disastri ambientali provocati dall’uomo?

Per il Papa la chiave di volta è rappresentata essenzialmente dai giovani. Il Papa crede moltissimo nei giovani e nella loro presa di coscienza dei gravi problemi ambientali. Questa convinzione è profondamente sincera, realista e ottimistica, nonostante i vari esempi negativi ai quali assistiamo ogni giorno. Del resto, il futuro è dei giovani, e loro sanno molto bene che per vivere bene hanno assolutamente bisogno di un ambiente sano.

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Videoclip del ‘Movimento Tutela Sociale’ vincitore del Premio ‘Musica per il sociale’ promosso dalle Radio e Televisioni della REA (con sottotitolazione in spagnolo)