(Foto: nel riquadro Luca Borgomeo)

Articolo di Luca Borgomeo

Su gentile concessione della Rivista Il Telespettatore dell’AIART (Associazione Italiana Ascoltatori Radio e Televisioni) riprendiamo l’articolo di Luca Borgomeo (ex Presidente dell’Associazione) incentrato sulle diverse incongruenze caratterizzanti l’Auditel, società nata per raccogliere e pubblicare dati sull’ascolto televisivo italiano. Borgomeo è anche membro della Commissione Media e Minori preso il Ministero delle Imprese e del Made in Italy.

Accompagnato dal solito strascico di polemiche, si è finalmente chiuso il 73° festival di Sanremo, una volta festival della canzone italiana, oggi una rassegna della pubblicità, stimata, in questa edizione – per difetto – in oltre 50 milioni di euro e “inflitta” ai telespettatori per oltre quattro ore nelle 5 serate.

Sul Festival l’Aiart ,e non solo l’Aiart, ha espresso giudizi negativi e preoccupati per tanti aspetti contrastanti con il comune sentire delle famiglie italiane e, a volte, con le basilari regole  di rispetto della dignità dei telespettatori. Certo, in quel gran contenitore, infarcito fino alla noia di spot pubblicitari, in oltre 20 ore di trasmissioni, non sono mancati momenti significativi, interessanti, di buona tv. Basta citare lo straordinario monologo di Benigni sull’art.21 della Costituzione, reso ancor più rilevante dalla presenza del Presidente della Repubblica.            

Con questo breve articolo intendo soffermarmi su un aspetto molto importante di questo Sanremo 2023: gli ascolti. L’Auditel ha comunicato che gli ascolti hanno raggiunto il tetto di 14.213.000 (media ponderale delle 5 serate 10.784.000). Lo  share  (cosiddetto gradimento) 61,56% (media ponderale 62,96%). Numeri rilevanti, molto rilevanti.

Ma questi numeri sono veri, effettivi, credibili?

La risposta è un NO secco e motivato. Senza alcun pregiudizio e guidati dal buon senso, domandiamoci se è possibile “credere” che quasi 15 milioni di italiani (in pratica 1 su 4) abbiano “visto” Sanremo. Se il dato fosse reale, avremmo visto le città deserte, senza traffico, blocco dei servizi, bar, ristoranti, locali chiusi ecc. Niente di tutto questo. E, poi, avete provato a chiedere ad amici, colleghi di lavoro, conoscenti se hanno visto il Festival.                

Ma, ovviamente, questi argomenti non posso smentire i “numeri” dell’Auditel. Hanno, tuttavia, un loro significato perché il vero, quando non è per niente verosimile, fa dubitare.  I “numeri” dell’Auditel non sono REALI, sono VIRTUALI. Sono il frutto di un lavoro di raccolta e elaborazione dati che suscitano notevoli perplessità ed hanno indotto eminenti studiosi di statistica a dichiarare che i dati non sono affidabili. La statistica è una scienza esatta, ma a condizione che i dati “raccolti” siano assolutamente certi e validi.

Il sistema di rilevazione dati dell’Auditel (circa 12.000 famiglie dispongono di un meter (un piccolo strumento fornito dall’Auditel) che dovrebbero azionare) si è rilevato del tutto inadeguato, contribuendo ad alimentare una crescente sfiducia nei dati Auditel, che, dietro lo scudo del rispetto della privacy, non comunica né il nome delle famiglie, né il luogo, né i criteri di scelta delle famiglie, né il tipo di rapporto e di collaborazione. Niente. Tutto top secret.                

Questi “numeri”, tanto discussi, hanno tuttavia accresciuto notevolmente il potere incontrastato, direi assoluto dell’Auditel – sostenuto dal duopolio Mediaset-Rai –  nel dividere la torta multimiliardaria della pubblicità televisiva. L’Auditel, costituita nel 1984, è una società PRIVATA, di proprietà RAI (33%), Emittenti (leggi Mediaset e Confindustria(33%) e Unione Pubblicitari(33%). Nessuna presenza pubblica. Si può obiettare che la Rai non è “privata”, ma pubblica. No, assolutamente. Si può sostenere che la Rai sia “pubblica ”soltanto perché i cittadini pagano l’esosa tassa del canone. In effetti la RAI è un ibrido e riesce a sommare gli aspetti negativi del “pubblico” (asservimento ai partiti, burocrazia e inefficienza, spreco delle risorse e negativa gestione della pletora dei dipendenti) con quelli del “privato”(scarsa attenzione ai temi sociali, esasperata ottimizzazione dei profitti ecc)  Senza poi, dimenticare che la Rai (che opera nel settore dell’informazione, della cultura e dello spettacolo) aderisce – pagando i contributi associativi – alla Confindustria.

L’Auditel , azienda privata, opera senza alcun effettivo controllo pubblico, anche se sul  suo sito ufficiale – indica l ‘AGCOM come ente che esercita il controllo. In che modo, come, dove, quando ?                                            

Ma il suo ruolo non si esercita soltanto in modo assoluto nel campo della pubblicità televisiva (i “numeri” servono a calcolare l’importo delle inserzioni), ma anche nell’influenzare ed orientare la programmazione televisiva; un programma “bocciato” dai numeri va chiuso; un altro, promosso dai numeri, viene riproposto. E che dire di carriere professionali e artistiche “stroncate” dai  numeri !

Questo “strapotere” dell’Auditel deve far riflettere e preoccupare per gli effetti non solo sull’intero comparto della comunicazione, ma su quelli più generali di un’intera comunità democratica. L’elenco di “giudizi” non proprio lusinghieri sull’Auditel e sul suo operato, di moltissime persone di

indubbia autorevolezza e indiscusso prestigio è lunghissimo. Non è possibile riportarli tutti. Mi limito soltanto a citarne alcuni.

Saverio Vertone, “un’incognita numerica”, Enzo Biagi, “uno specchio deformato”, Alberto Zuliani, già Presidente ISTAT, “i dati non sono attendibili”, Giovanni Sartori, “una sorgente di perversione”, “un sistema nefasto”, Aldo Grasso “il sistema auditel, un meccanismo troppo complicato per risultare veritiero”, Enzo Siciliano, ”lo share è un’assurda astrazione, Biagio Agnes, “va cambiato il modo di misurare gli ascolti”. E potrei continuare a lungo. Mi fermo non senza citare Massimo Gramellini: “L’ipotesi, è sola un’ipotesi, che l’Auditel, questa massoneria dell’etere che sposta miliardi di pubblicità, sia in realtà, una bufala colossale”, commento fatto su La Stampa riguardante il caso clamoroso dell’Auditel che registrò un ascolto di 3 milioni di spettatori per un programma, in diretta da Lecce, Katia e Mara, che a causa di un improvviso temporale , fu interrotto. 3 milioni di spettatori di…niente.!!

 Ma, al di là del tema dell’affidabilità dei dati Auditel, è lecito domandarsi:

  1. E’  credibile un sistema nel quale controllati e controllori, giudicati e giudici, vigilati e vigilanti sono espressione di un unico centro di potere?
  2. E’ accettabile che gli “ascolti” (cioè i televisori accesi), architrave del sistema, siano materia di esclusiva competenza di privati?
  3. E’ accettabile che Governo, Parlamento, Istituzioni, utenti non abbiano alcuna voce in capitolo?
  4. E’ accettabile che in un Paese democratico ci sia in un settore, così importante e vitale per la democrazia, com’è la comunicazione, una sorta di dittatura nella gestione dei dati di ascolto, che muove, indirizza e gestisce miliardi di euro di pubblicità? 

Sono, invero, domande retoriche. L’Auditel tira diritto, non risponde alla marea di critiche e, imperterrita continua a dare i numeri. Addirittura, per nulla sfiorata dai rilievi sulla scarsa attendibilità dei dati di ascolto (virtuali, non reali) intende ampliare  – con il TotalAudiende – la raccolta dati con quella dei social, con tv e device connessi.!

Che fare? Rassegnarsi e subire o continuare a contestare le scelte e a sollecitare un deciso intervento del potere politico che – qualunque sia il suo orientamento – non può ignorare la gravità del problema e non intervenire nell’interesse dell’intera comunità. Per l’Aiart non ci sono dubbi o esitazioni. Occorre continuare, intensificando l’azione di contestazione dello straordinario potere mediatico-politico-economico dell’Auditel che può contare non solo del sostegno delle emittenti tv ma anche della grande stampa, quasi del tutto schierata, e in alcuni casi prona, al potere Mediaset-Rai-Confindustria televisione.

Della serie, Non disturbare il manovratore  e Chi tocca i fili  muore!