Prima di cominciare il mio commento vorrei precisare subito che non sono un esperto o critico di musica lirica ma solo un semplice appassionato di Opera che già all’età di dieci anni andava in estasi quando sentiva cantare gente come Giuseppe Di Stefano, Maria Callas, Franco Corelli, Renata Tebaldi, Mario del Monaco e altri divini. Ricordo che anche all’epoca c’erano scenografie spettacolari e coinvolgenti ma nessuno si permetteva di trasformare la sofisticata Traviata in una panettiera (con tutto il rispetto), il Trovatore in un condottiero asburgico o la Carmen in una ballerina della Bella epoche. Oggi, invece, è consentito tutto. I veri protagonisti del melodramma italiano non sono più i vari Verdi, Puccini o Bellini, ma i registi fantasiosi che spaziano a volontà, senza alcun rispetto per la storia e per l’ambientazione voluta dagli autori.

La consacrazione di questo indirizzo si è assistito venerdì 16 giugno all’Arena di Verona. Ma cosa hanno detto e scritto molti dei nostri critici ed esperti: che si è trattato di uno spettacolo caratterizzato da una scenografia meravigliosa e avveniristica. È vero, è stato così. Solo che mi domando cosa c’entra quella scenografia altamente tecnologica con la vera Aida?

Il bravissimo comunicatore Alberto Angela ha spiegato ai telespettatori raggruppati in mondovisione che il regista ha evitato con cura di mettere in scena le armi. Per caso gli egizi hanno vinto gli etiopi con i lustrini esibiti nella marcia trionfale? Il Ministro della cultura Gennaro Sangiuliano ha magnificato la capacità della serata di valorizzare l’italianità. Per caso si riferiva al passaggio in cielo delle frecce tricolori o la scelta di far indossare al coro una tunica tricolore?

L’italianità certamente non si è espressa attraverso i cantanti. Tutti i ruoli principali sono stati coperti da cantanti russi, a cominciare dalla grande Anna Netrebko (che, però, inizia a perdere colpi), dal suo marito Yusif Eyvazof (pallido interprete del condottiero Radames), Olesy Pterova (Amneris) e Roman Burdenko (Amonasro). L’unico a difendere il tricolore (si fa per dire) è stato Michele Pertusi (Ramfis). E pensare che è stata proprio la Netrebko a rifiutarsi qualche tempo fa a cantare alla Scala nell’Adriana Lecouvreur perché infastidita dalle polemiche che la indicavano come vicina a Putin e pupilla del direttore d’orchestra Valerij Gergiev, da sempre sostenitore dell’attuale presidente russo. Per caso la Netrebko ha cambiato gusti politici?

Intendiamoci, sono tutti cantanti di alto livello ma è possibile che sempre di più si riducono gli spazi per i cantanti lirici italiani? Non è che nella lirica sta avvenendo lo stesso fenomeno che da diversi anni travolge il calcio italiano, dove tutte le squadre sono letteralmente rimpolpate da stranieri a tutto danno della nazionale?

È ovvio che qui nessuno predica una sorta di protezionismo lirico. Come si fa, infatti, a contestare cantanti come lo spagnolo Carreras o il peruviano Juan Diego Flores, solo per fare qualche esempio. Ma una cosa avere una grande attrazione in scena. Un’altra è quella di chiudere sistematicamente le porte ai giovani cantanti lirici italiani, tra i quali ci sono alcuni di grande levatura.

Ma torniamo alla nostra Aida del regista Stefano Poda. È stata sicurante un entusiasmante colossal, che tranquillamente avrebbe potuto inaugurare i mondiali di calcio o le olimpiadi, ma che con l’Aida di Verdi ha avuto poco a che fare. Adatta a  Broadway non lo era certamente all’interno del più famoso teatro storico all’aperto del Mondo. Probabilmente il suo creatore (42 d.C.), l’Imperatore Claudio, quella sera si è rivoltato nella tomba.

Il problema è che spesso gli italiani non sanno difendere quello che di più bello riescono a fare. La lirica è, infatti, una delle più straordinarie espressioni artistiche italiani. Gli altri Paesi sono indubbiamente più attenti. Riuscite, ad esempio, a immaginarvi una trasposizione del teatro greco antico sulle rive del Tamigi, anni sessanta? O del teatro giapponese a Harlem?  

Al Corriere della Sera il regista Poda ha dichiarato: “Bisogna uscire dal nostro mondo operistico che rischia di diventare una riserva indiana, ma senza uscire dalla nostra dimensione teatrale”. Io direi che il modo migliore per salvare la lirica sarebbe forse quello di rinchiudere in una riserva indiana proprio tutti questi registi così talentuosi e fantasiosi che stanno letteralmente snaturando la lirica italiana”.

Comunque, prima di elaborare questo commento mi sono consultato con alcuni grandi cantanti e direttori d’orchestra, miei amici da diversi anni. Volevo solo capire se non ero diventato anch’io uno di quei vecchietti che amano ripetere noiosamente “ai tempi miei…”.  Mi hanno risposto che oggi quello che conta è lo spettacolo, è la possibilità di vendere il prodotto in mondo visione, di stare al passo con la tecnologia”. Non mi hanno del tutto convinto.

In ogni caso, il mio augurio è che tutti coloro che si stanno stancando di queste scenografie avveniristiche (che andrebbero forse riservate solo alle opere contemporanee) abbiano la forza di far sentire la loro voce. Nel frattempo, mi consolo a riascoltare su Youtube ‘Celeste Aida’ cantata dal divino Giuseppe Di Stefano (Pippo per gli amici). Per la cronaca il link è: https://www.youtube.com/watch?v=QcKbWTKBuNw Buon ascolto.