(Foto sullo sfon del Senato, Riccardo Cappello e la copertina del suo nuovo libro) –

È da una vita che l’avvocato Riccardo Cappello si scaglia contro i poteri forti, contro i favoritismi che regolano la vita politica, contro le varie strozzature organizzate e che obbligano il cittadino a dover far parte di una congrega per poter emergere. In passato ha fatto molto discutere, ad esempio, il suo libro ‘Il Cappio’: in quella circostanza Cappello si era scagliato contro gli ordini professionali che, secondo l’avvocato, sono una delle tante caste che convivono in Italia strozzando l’economia, ostacolando la nascita di un vero mercato e che ubbidiscono alla logica dell’ autoconservazione. Si tratta di strutture che nessun Governo di centro, di sinistra o di destra ha l’interesse o la forza di mettere in discussione. 

Questa volta il volume dal titolo emblematico ‘Una democrazia mafiosa ‘ (con sottotitolo: Quando la democrazia è fondata sull’appartenenza), Cappello si sofferma su una serie di esempi che dimostrano che ormai stiamo vivendo in una finta democrazia. “All’incrocio tra politica ed economia”, spiega, “se cerchi lo Stato trovi la mafia ed è qui che la cosa pubblica diventa cosa nostra”.

Edito da Impressionigrafiche, acquistabile anche su Amazon (205 pagine, 15 euro) , il libro rappresenta sicuramente un pugno nello stomaco per tutti coloro che amano l’argomentare forbito e il politicamente corretto. All’autore abbiamo, quindi, chiesto di descrivere il perno centrale del suo ragionamento e della sua feroce critica all’attuale sistema politico.

La sistematicità della corruzione, l’eterna impunità che tiene al riparo i protagonisti e la gestione del potere nell’Italia odierna presenta inquietanti analogie con la Lombardia manzoniana del ‘600. Come allora la società è strutturata in modo piramidale, la classe dominante è al di sopra delle leggi e pubblico e privato si confondono. Ma, mentre ne il sovrano ne il regime avevano bisogno del consenso, nella neonata repubblica i nuovi feudatari traevano la legittimazione dal consenso e ne restarono vittime.

I primi “eletti”, per ottenere e controllare il consenso, hanno creato un gigantesco reticolo di legami, relazioni e interessi costruito intorno ai partiti che pervadeva a strascico tutti gli strati della società, emarginando quelli fuori dalla tela. Al confino si sostituì l’esclusione sociale ed “alla qualifica di oppositore quella di fesso”. Hanno eliminato dalla vita politica la dialettica democratica attribuendo la rappresentanza degli interessi di ogni categoria di lavoratori e di datori di lavoro ad una sola associazione, sottoposta al controllo dello Stato, ed investita di poteri nei confronti di tutti gli appartenenti alla categoria: un pastore per ogni gregge.

Hanno organizzato il consenso creando cartelli monopolistici nei rispettivi settori di attività.  L’innesto del collettivismo marxista nell’impianto corporativo fascista ha creato un modello di sviluppo che condanna tutti ad un’appartenenza.  Si costruì una società, divisa in classi, in cui ogni individuo occupa un posto prestabilito e sale di un gradino al ritiro o al decesso di chi lo sopravanzava salvaguardando l’inamovibilità del contesto. I partiti invece di realizzare la democrazia, hanno occupato le istituzioni e poiché nessun partito può eliminare gli altri si son messi d’accordo  per spartirsi le risorse pubbliche in proporzione al numero dei voti conquistati nelle tornate elettorali. 

Il consenso rappresenta la percentuale di rendita da impiegare nella spartizione del potere e le elezioni sono il punto di sutura tra interessi delle corporazioni, rappresentanza politica ed economia ed è qui che la cosa pubblica diventa cosa nostra. Nella Costituzione è scritto che il potere legislativo appartiene al popolo che lo esprime attraverso il Parlamento. Invece, il potere è progressivamente passato dal Parlamento al governo, ai partiti, alle segreterie, alle correnti ed ai capi correnti dove si colloca la cuspide della piramide. Proliferano, quindi, una miriade di oligarchie che la politica ha fatto crescere per farne una solida base di potere, ciascuna delle quali pesa in proporzione al numero di elettori che è in grado di portare al seggio. 

Il Paese, quindi, è la sommatoria di tante piramidi, i cui vertici costituiscono una ragnatela con la quale chiunque voglia far politica deve fare i conti. Così la democrazia è diventata oligarchia in cui il potere è concentrato nelle mani di un ristretto numero di soggetti che lo esercitano, secondo i vantaggi che possono trarne.  Al vertice ci sono gli “eletti”, i signorotti manzoniani, legittimati dal voto popolare, che comprano il consenso dando ma, per dare bisogna avere e per aver bisogna conquistare poltrone. Quindi, si impossessano di tutto ciò che può produrre denaro e clientele (posti di lavoro, cariche, concessioni, licenze, finanziamenti) distribuendolo, come fosse proprietà personale, in proporzione all’appoggio elettorale, ricevuto o promesso, ai “protetti” che, applicano un’altra detrazione e distribuiscono quel che resta agli esclusi, in cambio del voto.

I protetti, cioè la borghesia, presidiano le aree strategiche della società e gestiscono pacchetti di voti che possono spostare da un partito all’altro e che, invece di favorire il passaggio alla classe superiore gli elementi di migliori che crescono negli strati inferiori, si è arroccata nella rendita bloccando l’ascensore sociale. L’Italia è, quindi, una pseudo democrazia nella quale il Parlamento è tenuto in ostaggio ed è costretto a fare i conti con numerose oligarchie, con i poteri locali e con la magistratura che può esercitare sugli atti un diritto di veto.

Per governare questo intreccio di poteri al Parlamento,  prigionieri del blocco di voti che lo fa eleggere, resta solo l’arma legislativa che usa come un corpo contundente con la quale esercita un ricatto legalizzato, distribuendo favori e comprando consenso. La situazione è bloccata come quella della Milano del `600. Il Manzoni, per dare un lieto fine alla storia ha fatto intervenire la Provvidenza e la peste. L’Innominato libera Lucia perché “Dio gli ha toccato il cuore”,  Don Rodrigo viene fermato dalla peste che “è stata una scopa; ha spazzato via certi soggetti, che non ce ne liberavamo più ed è passata “come una falce, che pareggia le erbe del prato”.