Si tratta di uno dei più gravi inquinamenti della storia. Parliamo del delitto ambientale compiuto in trent’anni (dal 1964 al 1992) di esplorazione petrolifera nella foresta amazzonica dell’Ecuador (esattamente nelle province settentrionali di Cofàn, Siona, Secoya, Kichwa e Huaorani).  In sostanza, in un territorio pari a circa un milioni e mezzo di ettari, l’americana Texaco (che nel 2001 è stata assorbita dalla Chevron) avrebbe, secondo fonti ecuadoriane, costruito 357 pozzi e 22 stazioni, versando 71 milioni di litri di residui di petrolio e 64 milioni di greggio, finendo per inquinare 2,5 milioni di ettari.

 

La Chevron, al contrario, ritiene di aver completamente risanato il terreno e che l’attuale inquinamento è addebitabile esclusivamente alla Petroecuador, la società pubblica ecuadoriana subentrata nell’esplorazione.  Nel frattempo sono in corso due reciproche vertenze: da un lato le popolazioni danneggiate chiedono un forte indennizzo alla Chevron; dall’altro, la Chevron ha chiamato in giudizio il Governo di Quito per non aver rispettato i patti e per aver sostenuto la causa dei privati che, secondo la compagnia americana, è del tutto infondata. Ed è proprio per aver qualche ultieriore chiarimento su questa intricata vicenda internazionale che abbiamo incontrato a Roma il viceministro degli affari esteri dell’Ecuador Leonardo Arizaga,  l’assistente ministeriale sul tema Chevron Celine Meneses e il nuovo Ambasciatore  dell’Ecuador in Italia, Juan Holguin Flores. Ma ricapitoliamo velocemente l’intera vicenda.

 

Dal 1993 è stato avviato presso la Corte distrettuale di New York un processo a carico della Texaco da parte della popolazione indigena e dagli abitanti della zona (circa 30 mila). Nel 2003, dopo dieci anni di rinvii,  il processo viene trasferito in Ecuador nella città di Nueva Loja. Nel 2011 la Chevron viene condannata a pagare 9 miliardi e 510 milioni di dollari per i danni causati (la compensazione più alta della storia del crimine ambientale). Nel 2011, dopo che un giudice di New York aveva dichiarato inapplicabile negli Stati Uniti la sentenza emessa in Ecuador, la Corte d’Appello degli Stati Uniti obbliga la Chevron a risarcire i danni (sentenza confermata nel 2012 dalla Corte d’appello di Sucumbios che tra l’altro, esigeva dalla Chevron delle scuse alla popolazione).

Altre date importanti:

1972: viene creata la compagnia petrolifera statale CEPE;

1973; il governo ecuadoriano assume la piena autorità di vigilanza e regolamentazione sulle attività del Consorzio;

1976: la CEPE diventa il maggiore azionista del consorzio Taxaco Gulf;

1989: la compagnia Petroecuador subentra alla CEPE;

1992: la Petroecuador assume il controllo totale delle operazioni;

1994: la Texaco inizia un’opera di bonifica e realizza delle opere di compensazione;

1998: il governo equadoriano (Presidente Jamil Mahuad Witt di Democrazia Popolare) dichiara la Texaco libera da qualsiasi impegno nei confronti della Repubblica dell’Ecuador. Da quel momento rimane in piedi la causa privata avviata dalle popolazioni danneggiate.

 

La Chevron non accetta la decisione Corte d’appello di Sucumbios. Anzi, reagisce denunciando lo Stato Ecuadoriano davanti alla Corte Permanente di Arbitrato dell’AIA che nel 2012 dichiara, tra le altre cose, che l’Ecuador ha violato il trattato bilaterale sugli investimenti firmato nel 1993 ed entrato in vigore nel 1997. In base a questo trattato li Stato dell’Ecuador dovrebbe sospendere l’esecuzione di ogni giudizio contro una società statunitense. Paradossalmente, l’Ecuador non solo rischia di non ricevere più alcun indennizzo ma potrebbe essere costretta a pagare, ad esempio, tutte le spese processuali alla Chevron. Con questa mossa la Chevron sta cercando anche di screditare l’Ecuador come partner affidabile, con possibili ripercussioni sui rapporti commerciali con gli Stati Uniti e altri Paesi.

 

Ed è proprio per tutelare il buon nome del Paese che il presidente dell’Ecuador Rafael Correa sta portando avanti un’azione diplomatica su larga scala. “In sostanza”, spiega il ministro degli esteri ecuadoriano Leonardo Arizaga,” l’Ecuador fa presente che la causa contro la Chevron non è stata avviata dallo Stato ma dai privati, una scelta sulla quale il potere esecutivo non può assolutamente  incidere”. Ma vediamo, schematicamente quali sono le posizioni in campo.

Argomentazioni della Chevron.

1 –  La Texaco ha lasciato il Paese nel 1992 compiendo tutte le obbligazioni di risanamento ambientale;

2) – Lo stesso Governo ecuadoriano ha esonerato la Texaco da ogni ulteriore risarcimento;

3)  – Tutti i danni attualmente esistenti sono attribuibili alla PetroEcuador che è subentrata nell’esplorazione petrolifera;

4 – L’Ecuador deve accettare la sentenza dell’AIA avendo, tra l’altro, riconosciuto la Corte nominando uno dei suoi giudici

Argomentazione del governo ecuadoriano.

1)  La Texaco non solo non ha utilizzato le più moderne tecnologie di risanamento (come previsto dal contratto di sfruttamento) ma si è limitato a sotterrare i rifiuti per risparmiare;

2)  L’atto di ‘Nulla a Pretendere’ firmato nel 1998 riguarda solo il Governo e non i privati. Infatti, lo Stato dell’Ecuador non chiede nulla alla Chevron.

3) I danni accertati e per i quali si chiede un indennizzi riguardano zone dove Petroecuador non ha mai operato.

4) La sentenza della Corte dell’AIA si basa su un trattato bilaterale tra gli Stati Uniti e l’Ecuador entrato in vigore nel 1997, cioè, cinque anni dopo la fine degli investimenti della Texaco nel Paese. Inoltre, il potere esecutivo non può incidere su quello giudiziario.

 

Da precisare che la ‘liberatoria’  concessa nel 1998 dall’Ecuador è oggi sottoposta a pesanti critiche e richieste d’ indagini all’interno del Paese. Ad ogni modo, quello che è certo è che in questa complessa vicenda giudiziaria hanno perso tutti. Ha perso il pianeta che è stato profondamente ferito sull’esempio di quello che è avvenuto con la British Petroleum nel Golfo del Messico. Ha perso l’Ecuador, questo piccolo e dinamico Paese sudamericano che si è visto comunque distruggere una consistente parte del suo territorio. Ha perso sicuramente d’immagine il gruppo Texaco-Chevron, la seconda società petrolifera americana e la sesta nel mondo. E, soprattutto, hanno perso le povere comunità amazzoniche, che al posto di un terreno incontaminato ora si ritrovano con un’acqua pesantemente inquinata, pozzi pieni di residui tossici, vistose e diffuse malattie della pelle, cancro e altri danni irreversibili certificati da diverse società ed esperti internazionali.