La liberalizzazione delle professioni inserita nella manovra finanziaria è stata subito stralciata per l’opposizione degli avvocati parlamentari che, con molto spirito corporativo e scarso senso dello Stato, hanno minacciato di non votare la manovra, con le prevedibili conseguenze sulla tenuta del Governo e sull’economia del Paese, se non fosse stato ritirato l’emendamento. Il quale, nella versione approvata della manovra, è stato ridotto ad un “il Governo formulerà alle categorie interessate proposte di riforma in materia di liberalizzazione dei servizi e delle attività economiche” e ad un richiamo all’art. 33, V° comma della Costituzione che prevede un esame di Stato per alcune attività ma non cita affatto gli ordini.
Continua così ad esserci un pezzo del Paese che fa sacrifici e una parte che, nonostante la grave crisi economica, rivendicando una sua specificità ed al di un, molto discutibile, ruolo pubblico, fa prevalere logiche corporative. La grave crisi economica che avrebbe consentito di fare quelle riforme “serie” del sistema professionale che perfino la Grecia, in pieno default, è riuscita a realizzare, è stata sprecata. Ma, purtroppo, in Italia la ricerca del consenso supera tutti i limiti anche quello della decenza. L’Europa, che abbiamo ritenuto in grado di darci delle regole e di costringerci a rispettarle, formula solo progetti senza avere la forza di imporne agli stati membri l’attuazione. Le Direttive restano dichiarazioni di principio, ignorate ed eluse, la giurisprudenza della Corte di Giustizia, tenuta in scarsa considerazione mentre i singoli Stati contrabbandano la difesa dei privilegi locali con la tutela di vaghi ed indefiniti interessi generali.
Il mondo giuridico è quello che meglio rappresenta le difficoltà del processo di armonizzazione anche perché è il crocevia in cui si incontrano e si scontrano culture, interessi e assetti di potere. In esso si annidano consolidate rendite di posizioni che frenano la realizzazione del mercato unico. Le restrizioni impediscono al mercato interno di funzionare e privano tanto le imprese che i cittadini europei della possibilità di scegliere tra una più vasta e migliore gamma di servizi a prezzi contenuti.
Il modello comunitario di professione forense, ad esempio, è ancora tutto da definire ma con un’unica certezza: la precisa ed acquisita equiparazione della professione legale all’attività d’impresa: le certezze europee, però, possono essere ignorate dai Paesi membri. L’Europa, nata per integrare le economie dei Paesi membri e fondata sul principio di concorrenza e di libertà di mercato, continua a dilatarsi senza avere ancora deciso dove andare. La paura dei lavoratori della vecchia Europa della concorrenza dei colleghi della nuova e il rischio di “dumping sociale” ha sepolto un progetto di direttiva (Bolkenstein), che avrebbe impresso una forte accelerazione al processo di unificazione. La “competitività rispettosa del modello sociale europeo” consiste nell’affidare ai politici locali il controllo dei servizi professionali spesso usati come merce di scambio nel mercato elettorale.
Forse ha ragione Alberto Alesina (economista italiano e professore all’Università Harvard a Cambridge) quando afferma che l’Europa, grande potenza del XXI° secolo e contrappeso degli Stati Uniti, non esiste più”. Forse non è mai esistita, forse “è rimasta sotto le macerie provocate dalla caduta del muro di Berlino o è stata uccisa dalla bulimìa da allargamento.

Riccardo Cappello
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