Ha intenzione di fare della sua storia una questione europea, se non mondiale. E dal suo punto di vista ha tutte le ragioni per farlo. Parliamo di Carlo Parlanti, 47 anni, cittadino italiano (e quindi europeo) che si è fatto sette anni e mezzo di galera negli Stati Uniti perché accusato da una sua ex di averla picchiata e stuprata. Ma Parlanti si è sempre dichiarato innocente anche quando gli hanno offerto di patteggiare: “confessi e torni a casa”. Ma lui ha tenuto duro. “Non potevo”, dice, “confessare un crimine che non avevo commesso”. E così ha pagato un prezzo durissimo: oltre alla privazione della libertà, ha perso il lavoro, ha una situazione sentimentale devastata, ha causato sofferenze immense agli anziani genitori, ha consumato l’intero patrimonio familiare e di amici per pagare le parcelle degli avvocati. “Il tutto”, dice, “grazie a un processo farsa, fatto con prove fasulle, con comportamenti superficiali se non criminali di avvocati, medici e giudici”.

Comunque, prima di andare avanti, appare opportuno riepilogare, in estrema sintesi, come si sono svolti i fatti. Siamo nel 1996 e Parlanti, grande esperto di informatica si trasferisce a Monterey negli Stati Uniti con un contratto di un’importante società americana. Nel 2001 entra nella cerchia delle sue conoscenze Rebecca McKay White con la quale nasce un breve flirt. Almeno per Parlanti, mentre per la donna è un amore folle.  Sempre per motivi di lavoro dopo alcuni mesi decide di rientrare in Italia. Ma la White non accetta, si dispera, fa di tutto per trattenerlo. Parlanti invece non cambia idea.

Al suo rientro intraprende una serie di attività con grande successo che lo portano a viaggiare di continuo in Europa. Passano quattro anni ed ecco che nel 2004 a Dusseldorf viene arrestato a seguito di un mandato di cattura internazionale emesso negli Stati Uniti. Dopo undici mesi le autorità tedesche decidono di estradarlo in America dove viene processato e condannato a nove anni di prigione (ridotti a sette e mezzo per buona condotta) per sequestro di persona, percosse e stupro. Prima, però, gli viene offerta la possibilità di patteggiare: in sostanza, se riconosce la sua colpa può tornare a casa in pochi mesi. Ma Parlanti rifiuta categoricamente. Conclusione: espia l’intera pena. Tornerà in Italia solo nel febbraio del 2012.

Parlanti, la prima domanda viene spontanea: alla luce dei fatti accaduti, non sarebbe stato meglio patteggiare. In ogni caso, lo rifarebbe anche oggi?

Senza dubbio. Non avrei mai potuto riconoscere un crimine che non ho commesso. Non lo permetteva la mia coscienza. Sapevo molto bene i rischi che correvo. Ma se avessi ammesso il falso, la mia vita sarebbe stata macchiata per sempre. Tutti, a cominciare dai miei genitori, mi hanno consigliato di farlo. Però tutti sanno che solo una persona veramente innocente ha la forza di respingere lo scambio della propria libertà con un’ammissione fasulla. Ma fasullo è stato l’intero processo. Quello che oggi posso ammettere è che ingenuamente avevo creduto di poter dimostrare la mia innocenza. Ma non è stato possibile. Cercherò, invece, di dimostrarlo in tutte le sedi internazionali. Lo faccio per i tanti innocenti che si trovano nelle galere, non solo in quelle americane, e per riconoscenza all’associazione Prigionieri del silenzio guidata da Katia Anedda (info@prigionieridelsilenzio.it) che mi ha aiutato in tutti questi anni.

Che sentimenti prova per la White?

Stranamente quasi la compatisco. E’ una donna con grandi problemi psichici. La mia rabbia è, invece, tutta rivolta verso le istituzioni, i giudici, i medici, gli avvocati che con tanta negligenza, per usare un eufemismo, hanno distrutto la vita di un uomo. Io oggi non ho più niente. Ho perso sette anni della mia vita. Ho perso il lavoro. Involontariamente ho depauperato l’intero patrimonio familiare. Ho perso un forte legame sentimentale. I miei genitori anziani hanno sofferto tantissimo. L’unica cosa che mi è rimasta è la voglia di combattere, di cancellare questa infamia.

Ma lei è in grado di provare questa ingiustizia?

Sul mio caso già sono usciti due libri: “Timeline dei Crimini Medici” e “Stupro? Processi perversi. Il caso Parlanti”. Tutto ciò che testimonio nel corso di conferenze, incontri e dibattiti, è documentato, nero su bianco, con fotografie, testimonianze, verbali. Mi sono, infatti, imposto di non dire nulla che io non sia in grado di provare. Quanto alle sofferenze, alle sensazioni, ai soprusi e violenze di cui sono stato vittima, fanno solo parte del mio bagaglio personale che porterò con me per tutta la vita ma che sul piano generale, sul piano del diritto internazionale, hanno poca rilevanza.

Ci può, in estrema sintesi, elencare alcune delle ‘assurdità’ che hanno caratterizzato la sua vicenda.

Cominciamo dall’estradizione dalla Germania che è avvenuta praticamente sulla base della semplice denuncia della White nella quale c’èra già un falso clamoroso. Lei ha dichiarato che in Italia sono stato processato e condannato per violenza. Fatto inventato di sana pianta: non sono mai stato condannato e la mia fedina penale riporta la dicitura NULLA. Eppure, nonostante questa clamorosa bugia le autorità tedesche hanno ritenuto, dietro pressioni americane, di estradarmi ugualmente.

Passiamo al processo negli Stati Uniti. Come si è svolto?

Per cominciare, può sembrare incredibile, ma non sono mai stato interrogato. In compenso alla White è stato possibile presentare una serie di prove fasulle senza alcun contradditorio. Ha presentato delle foto col volto tumefatto ma nel rapporto steso dalla polizia il giorno della denuncia c’è scritto che lei non presentava alcun segno di violenza. Inoltre, dalle foto emerge che non si trattava della casa da lei indicata e dove abbiamo abitato per un brevissimo lasso di tempo. Inoltre, lei ha presentato dei referti medici non firmati. I referti medici firmati e che le attribuiscono lesioni al volto sono, per assurdo, datati dopo che la polizia la aveva fotografata senza lesioni: un palese falso.

Ma la polizia al momento della denuncia non ha fatto eseguire un esame medico sulla White?

No e questa è un’altra perla del processo. La polizia ha chiesto alla White di procurarsi autonomamente un referto medico che lei è riuscito ad avere solo dopo qualche giorno. Da sottolineare, inoltre, che la White era divorziata da circa dieci anni e pare che abbia avuto un matrimonio burrascoso finito con accuse di violenze contro l’ex marito. Quindi, non è da escludere che le violenze evidenziate nelle foto le abbia prodotte proprio l’ex marito. Comunque, la cosa più grave è che la polizia ha omesso, o li ha dimenticati nel cassetto, una serie di prove a mio favore.

Ma i suoi avvocati non sono stati capaci di mostrare in aula queste assurdità?

Ho avuto tre avvocati americani che in comune hanno dimostrato una sola cosa: una ferrea volontà di spillarmi più soldi possibile senza fare quasi niente. Due di essi si sono anche rivelati degli incompetenti. Tutte le prove a mio favore le ho dovute trovare da solo grazie agli amici che mi hanno aiutato dall’esterno. Il primo avvocato non è riuscito a tirarmi fuori neanche su cauzione, grazie alla sua incompetenza.

Ma sono stati almeno interrogati dei testimoni.

Certamente. La White, nel periodo che è stato a casa mia, è riuscito a rubare dal mio computer l’intero indirizzario delle ragazze che avevo conosciuto e frequentato negli Stati Uniti (lo ha persino ammesso durante il processo). Le ha contattate tutte, una per uno, perfino in Italia. Una di loro, che probabilmente si sentiva abbandonata come la White, si è presentata al processo: ebbene, non ha confermato di aver mai subito stupri o violenza fisica ma mi ha dipinto come una persona aggressiva. Per quanto riguarda i miei testimoni, sia americani che italiani, tutti, uomini e donne, hanno parlato solo bene di me.

E il Procuratore?

Pur ammettendo che la White si era contraddetta varie volte e mancavano delle vere prove, ha basato tutta la sua arringa nel descrivermi come un tipico Casanova italiano, che conquista e abbandona le donne senza pietà. Poi ha fatto parlare in aula una esperta di violenza domestica, molto conosciuta nelle aule dei tribunali americani, che ha illustrato alla giuria tutti i meccanismi psicologici e fisici che avvengono in genere nella coppia quando l’uomo è un violento e la partner ne è succube. A parte il fatto che non mi identifico proprio in questo personaggio, rimane il fatto che lei ha parlato sul piano generale. Se giuridicamente questa relazione generica aveva uno scarso valore, sul piano specifico, ha comunque avuto l’effetto di influenzare la giuria popolare.

Senta Parlanti, ma come spiega lei quest’assurdità complessiva?

L’errore, a mio avviso, sta alla base del sistema processuale americano. Mi spiego. Negli Stati Uniti se avviene un delitto le indagini sono approfondite e non mollano la presa finché non hanno trovato il colpevole. Viceversa, quando, c’è una precisa denuncia, cercano di chiudere il fatto nel tempo più breve possibile, anche per una questione di costi. Questo spiega perché per ben tre volte mi hanno proposto di patteggiare. Volevano semplicemente chiudere la pratica. Inoltre volevano mettersi al riparo da ogni possibile critica.

Se avessi ammesso la falsa accusa non avrei mai più potuto denunciare la polizia di essere stata negligente e di aver occultato le prove o gli avvocati di aver tenuto un comportamento vergognoso, per non parlare della giuria che ha condannato un uomo senza prove certe e sulla base di una denuncia fatta da una persone più volte caduta in clamorose contraddizioni.

Ma voglio aggiungere un’altra cosa. Probabilmente i fatti si sarebbero svolti in una maniera ben diversa se fossi stato americano. Tutti sarebbero stati più attenti. Temo che la tragica superficialità con la quale sono stato trattato si deva anche al fatto di essere stato straniero, per non dire italiano.

Che tutela ha avuto dalle autorità italiane?

Pochissima, diciamo il minimo indispensabile. Oggi qualcosa sta cambiando profondamente. Sono stato ascoltato da una commissione parlamentare. Al ministero degli affari esteri stanno esaminando il caso ed eventuali passi da compiere. Ma io mi rivolgerò anche all’Unione Europea e, se necessario, all’Onu. Non mi sento, infatti, solo un cittadino italiano ma anche cittadino europeo. Non è possibile che un Paese come la Germania abbia concesso con tanta facilità l’estradizione di un cittadino europeo. Sappiamo bene che a parti invertite, gli americani non avrebbero mai estradato in Europa un presunto Casanova americano.

E quando dico Onu lo dico semplicemente perché sono stanco di sentire persone sciacquarsi la bocca con i cosiddetti Diritti universali dell’uomo. Io, per non aver confessato una colpa non commessa, ho visto distruggere la mia vita. Come me milioni di cittadini del mondo marciscono ingiustamente nelle varie galere. Ma la maggior parte di essi è molto più sfortunata, perché non ha il mio grado d’istruzione, non conosce le lingue, non dispone di patrimoni per difendersi, non ha fuori dal carcere tanti amici capaci di sostenerli. E’ a milioni di questi prigionieri del silenzio che dedicherò d’ora in poi il mio impegno.

 

Nota: il libro “Stupro? Processi perversi. Il Caso Parlanti” è stato curato da Vincenzo Maria Mastronardi, Walter Mastroeni ed Ascanio Trojani per la Armando Editore.

Per il libro “Timeline dei Crimini Medici” consultare:

http://www.prigionieridelsilenzio.it/pubblicazioni.html