Rappresenta sicuramente un punto di riferimento per tutti coloro che intendono avviare rapporti più stretti con l’America Latina. Parliamo di Luigi Maccotta, Direttore Generale del Ministero degli Affari Esteri per l’America centrale e meridionale. In precedenza è stato Ambasciatore dell’Italia a Caracas. Nato a Parigi il 19 febbraio 1953, Maccotta si è laureato in Scienze Politiche presso l’Università di Roma nel 1978, entrando nella carriera diplomatica nel 1981. Tra gli incarichi ricoperti nella carriera, dopo essere stato assegnato al Servizio Stampa e alla Direzione Generale Affari Economici, dal 1984 al 1989 è a Tel Aviv, quindi a Berna e nel 1991 a Tokyo. Rientrato a Roma presso la Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo, nel 1998 è a Washington. Nuovamente alla Farnesina, presta servizio alla Direzione Generale per i Paesi del Mediterraneo e del Medio Oriente, dove nel 2004 assume l’incarico di Coordinatore della ‘Task Force Iraq’. Nello stesso anno viene nominato Ministro Plenipotenziario. E’ stato, infine, anche Vice Direttore Generale per i Paesi dell’Africa sub-sahariana alla Farnesina.

 

Di Rainero Schembri

L’America Latina è oggi una delle aree geografiche in maggiore crescita e sviluppo nel mondo, con un aumento del Pil mediamente del 6%. Eppure l’Europa e anche l’Italia sembrano dimenticarsi di questo grande Continente. Come mai?

Intanto occorre ricordare che l’Europa rimane uno dei principali partner commerciali dell’America Latina. Detto ciò, è vero che negli ultimi decenni l’attenzione verso questo Continente è diminuita. Le cause e gli eventi politici che hanno determinato questa situazione sono molteplici. Pensiamo al crollo del muro di Berlino, alla grande apertura verso l’est europeo, all’ampliamento dell’Unione Europea, alla guerra dell’Iraq, ecc. ecc.

D’accordo, ma rimane il fatto che è un vero peccato abbandonare un Continente a noi molto vicino storicamente e culturalmente.

Non v’è dubbio. Soprattutto se consideriamo i forti vincoli determinati, tra l’altro, dai flussi emigratori. Oggi in America Latina, come tutti sanno, vivono milioni di europei e oriundi europei, soprattutto italiani, spagnoli, portoghesi. E poi c’è una grande affinità culturale e di stile di vita. Mentre i latinoamericani hanno, poi, obiettivamente difficoltà di dialogo con, ad esempio, i cinesi e altri Paesi asiatici, tutto diventa più semplice quando debbono trattare con gli europei. In questo caso il rapporto diventa naturale e spontaneo ma ciò non toglie che sia necessario alimentarlo e curarlo. Non vi sono rendite di posizione nel globalismo.

A proposito di oriundi, molti italiani all’estero ritengono che l’Italia spesso si sia comportata più da matrigna che da madre. Hanno ragione?

A volte si ha la sensazione che serpeggi tra le collettività una sindrome dell’abbandono, una sorta di risentimento per aver dovuto lasciare l’Italia soprattutto tra quelli che sono stati costretti ad espatriare per motivi economici. Per bilanciare questi sentimenti e in fondo per cattiva coscienza si è posta grande cura nel fornire servizi alle collettività tramite una rete consolare capillare e con una legge generosa per il diritto di voto all’estero, una grande attenzione ai rapporti con gli organi rappresentativi. A mio avviso il rapporto tra Italia e collettività ha bisogno di essere posto su basi nuove, più moderne e più sane. Le collettività dovrebbero entrare a far parte del sistema-paese a pieno titolo, diventare motore di rapporti economici, scientifici, culturali, porsi al servizio non di se stessa ma dei rapporti tra il paese di origine e quello di accoglienza e favorire la collaborazione tra i due.

A proposito d’iniziative non ritiene che sia giunto il momento di realizzare una più ampia ricerca sul contributo che tanti italiani hanno dato alla storia dell’America Latina?

Concordo perfettamente. Purtroppo a mala pena si sa quello che ha fatto Garibaldi in Brasile e in Uruguay mentre il contributo degli italiani nell’arte, nella storia, nella cultura e anche nella politica è stato ben più vasto. Andrebbe lanciata una grande ricerca all’insegna dell’apporto degli italiani all’America Latina con uno studio a 360 gradi che raccolga e ordini tutte le storie personali, locali, conosciute o da scoprire. Dovrebbe essere secondo me una priorità culturale per esaltare l’Italianità nel mondo. Del materiale già esiste si tratta di sistemarlo.

Ma cosa è necessario fare affinché avvenga una vera inversione di tendenza nei rapporti con l’America Latina?

La cosa più importante, a mio avviso, è che si consolidi una percezione moderna dell’America Latina. Non abbiamo più a che fare con Paesi poveri, arretrati, che hanno bisogno di aiuto e assistenza. Al contrario, sono Stati ormai ampiamente sviluppati, economicamente in piena espansione, con alcuni settori all’avanguardia tecnologicamente, classi dirigenti motivate e preparate, una classe media ottimista e in espansione. Sono Stati che si trovano al nostro livello, e desiderano giustamente rapporti paritari. In molti casi sono proprio loro che ci possono aiutare a uscire da questa crisi morale prima ancora che finanziaria. Questa è forse la premessa per ogni dialogo proficuo tra le parti. Le possibilità ci sono e sono notevoli, sia l’IILA che il sistema di conferenze Italia-America Latina sono sforzi nella direzione del partenariato tra uguali che evocavo prima: ma bisogna avvicinarsi a quei mercati con la consapevolezza di dover trattare con partner evoluti e paritari. Naturalmente occorre anche dare un’adeguata assistenza alle nostre imprese: non si giustifica, ad esempio, la quasi totale assenza delle banche italiane in America Latina. Assisto, invece, con grande soddisfazione alla crescita degli scambi a livello universitario.

A proposito di opportunità quali sono i settori e i Paesi che in questo momento offrono le migliori occasioni per le imprese italiane?

I settori sono tantissimi. Penso alle infrastrutture, alle energie rinnovabili, ai trasporti, al tessile, al turismo, allo sfruttamento delle materie prime e soprattutto all’agroalimentare. In America Latina il mito della piccola e media impresa italiana è ancora fortissimo. Lo stesso vale per la tecnologia e il design del Made in Italy. La formula per cooperare è semplice: aiutare quei paesi a consolidare la loro crescita, a diversificare la base produttiva, ad acquisire know how e tecnologia, a costruire distretti industriali attraverso accordi con le nostre imprese, i nostri centri di ricerca, le nostre eccellenze accademiche. Si tratta di generare una forte e significativa forza d’urto che metta in risalto l’esistente ed il potenziale. Così è stato per l’anno dell’Italia celebrato in Brasile. Nel 2013 l’esperienza verrà ripetuta in Cile.

Sul fronte dei Paesi, oltre al Cile suggerisco di guardare con attenzione anche nazioni che in questo momento stanno registrando un particolare risveglio, come la Colombia, il Perù, il Messico, l’Uruguay ecc. L’America Latina non si limita ai grandi paesi dove le nostre collettività sono più numerose, ma è una realtà che va declinata al plurale e dove ci sono ovunque possibilità di intervento, penso, per fare un esempio, al tema delle energie rinnovabili in America Centrale.

A proposito di accordi, si arriverà un giorno alla firma del grande accordo intercontinentale di Associazione UE- Mercosur? E cosa ci può dire per quanto riguarda l’Accordo UE-America Centrale?

Per quanto riguarda quest’ultimo accordo non ci sono particolari problemi, presto dovrebbe andare in porto. Molto più complesso si presenta l’accordo Mercosur-UE. In questo caso ci sono forti resistenze da entrambe le parti, in particolare dagli agricoltori europei e da alcuni comparti industriali latinoamericani. Ed è un vero peccato perché questo importante accordo potrebbe determinare effetti molto positivi a medio e lungo termine per le popolazioni di entrambe le aree. Comunque rimango ottimista. In ogni caso va sottolineato il ruolo dell’Italia che si è sempre dimostrata decisamente impegnata a sciogliere i vari nodi sul tappeto: ruolo che ci viene riconosciuto un po’ da tutti. In ultima analisi conta il dialogo intercontinentale tra Europa ed America Latina, attraverso i suoi molteplici, dinamici e a tratti confusi tentativi d’ integrazione che donavano una forte volontà di contare nel mondo. Occorre così evitare l’affermarsi delle tentazioni nazionaliste e protezioniste di cui purtroppo notiamo alcuni preoccupanti segnali.