Di Rainero Schembri

L’Ambasciatrice Aida Luz Santos De Escobar non è una diplomatica di carriera ma un’avvocatessa di livello internazionale, particolarmente impegnata con i problemi legati alla pubblica sicurezza e alla criminalità giovanile: cioè, uno delle questioni più gravi che attanagliano El Salvador, il piccolo ma suggestivo Paese dell’America Centrale che negli anni ottanta è stato flagellato dalla terribile guerra civile che ha devastato la società salvadoregna lasciando, tra l’altro, molto ragazzini allo sbando.

 

Nel 2009 la Santos Escobar è stata nominata Presidente del Consiglio Nazionale di Pubblica Sicurezza e per due anni è stata anche Vice Presidente del Comitato Consultivo e di Orientamento del Centro Internazionale per la Prevenzione della criminalità con sede a Montreal in Canada. Promotrice di diversi progetti di prevenzione della violenza sociale (uno di essi è stato cofinanziato dall’Unione Europea), abile conferenziera e autrice di numerose pubblicazioni, la nuova Ambasciatrice in Italia (è arrivata a Roma nel novembre del 2011) è dotata di una forte personalità con spiccate capacità comunicative: ciò ha indotto il giovane Presidente di El Salvador Maurico Funes (che è stato anche un noto giornalista e, quindi, profondo conoscitore dell’importanza della comunicazione) ad affidarle questa volta un compito molto diverso, quello di informare e trasmettere verso l’esterno il grande sforzo di rilancio economico e sociale che il Paese sta compiendo in questo momento a tutti i livelli.

 

Ambasciatrice, recentemente avete festeggiato il ventesimo anno della firma della dichiarazione di pace dopo 12 anni di guerra civile che ha provocato oltre 80 mila morti. Fino a che punto il Paese è riuscito a superare il trauma umano, economico e sociale di questa tragedia?

 

Direi una bugia se affermassi che tutto è passato. Dodici anni di guerra civile che hanno causato la morte di migliaia di salvadoregni non si cancellano in pochi anni, ci vogliono generazioni, soprattutto quando i precedenti governi non hanno lavorato per una cultura di pace e per questo ancora si avvertono le conseguenze della guerra.

 

Uno dei problemi che conosco molto bene, per motivi professionali, riguarda le gang e le cosche malavitose. Molti dei giovani coinvolti hanno perso prematuramente i loro genitori, sia perché essi sono emigrati, sia perché sono stati assassinati. Di conseguenza migliaia di bambini si sono trovati in uno stato di totale abbandono, altri sono spariti e i governi non si sono preoccupati di recuperarli con politiche sociali capaci di farli crescere normalmente, privando loro dell’istruzione, della salute, del lavoro, della formazione. Sono rimasti completamente orfani senza avere l’indispensabile per un essere umano: l’amore filiale, l’attenzione e, perché no, anche il controllo. Cioè, il controllo su tutto ciò che continuavano a fare. Molti giovani hanno vissuto in luoghi degradati, privi delle cose essenziali, molti sono riusciti a sopravvivere ma con un grande odio verso la società che li ha emarginati.

 

Queste bande oggi rappresentano un grande problema non solo all’interno del Paese. Il fenomeno ha attraversato le frontiere, si è trasformato in una questione transnazionale. Questo è solo uno dei tanti problemi che l’attuale governo deve affrontare e risolvere. E non perché prima non esisteva, ma perché il problema è cresciuto senza che si prestasse la dovuta attenzione, varando politiche repressive piuttosto che preventive e dimenticando le politiche sociali verso i settori più vulnerabili.

 

Il 15 marzo del 2009 per la prima volta la sinistra, con l’attuale Presidente Mauricio Funes, è andato al potere con il partito Frente Farabundo Martì, nome che rievoca un grande rivoluzionario salvadoregno. Cos’ è concretamente cambiato nel Paese?

 

Dal mio punto di vista sono cambiate due cose fondamentali. La prima è che con questo governo è stato avviato un sincero e profondo processo di pacificazione. Un processo molto complesso dal punto di vista politico, economico, sociale e anche psicologico. La seconda grande novità è che per la prima volta è diventata priorità governativa la lotta alla povertà e per l’inclusione sociale che non è cosa semplice ma richiede molti investimenti. Dare ai poveri il necessario per svilupparsi significa necessariamente fare affidamento alla solidarietà di coloro che hanno di più.

 

Il Presidente ha deciso di varare misure economiche e politiche a beneficio dei meno abbienti, dei più vulnerabili, con un notevole impegno personale. Alcuni importanti risultati già sono stati raggiunti ma rimane ancora molto da fare e non è facile quando permangono forti resistenze da parte di ambienti che si oppongono a questi cambiamenti.

 

E’ noto che il Presidente Funes nel cercare una riconciliazione nazionale ha anche chiesto il perdono alle tante vittime della violazione dei diritti umani.  Eppure il capo dell’opposizione Armando Calderòn Sol ha sostenuto che lo Stato non deve chiedere perdono. Secondo lei l’ha fatto per motivi elettoralistici o perché il Paese ancora non si è completamente riconciliato?

 

Il Presidente Funes aveva detto quello che si doveva fare sin dal momento in cui sono stati firmati gli accordi di pace. Sfortunatamente molto persone non sono state capaci di comprendere il significato del perdono esternato alle vittime dal Presidente in nome dello Stato. Il suo comportamento è stato a mio avviso un gesto di umiltà, di coscienza sociale, di riconciliazione, di giustizia verso tutti i salvadoregni che hanno sofferto, indipendentemente dall’appartenenza politica o classe sociale. La nostra storia è stata triste e non abbiamo ancora finito di piangerla e di sentire i suoi effetti negativi. Ma come possiamo non continuare a piangere se ancora viviamo le conseguenze di questa guerra, se vediamo che nella vita quotidiana le importanti istituzioni nate a seguito degli accordi di pace invece di rafforzarsi col tempo si sono deteriorate.

 

Alcune persone hanno interpretato il gesto del Presidente come una strumentalizzazione politica, altri per malafede l’hanno compreso male, altri senza dubbio non hanno un vero interesse nella riconciliazione nazionale. Le persone che criticano solo dimostrano la durezza dei loro cuori e l’incapacità di commuoversi per il dolore altrui. L’ex Presidente Calderon ha avuto il tempo per passare alla storia di El Salvador come un uomo dotato di grande sensibilità umana, poteva essere  lui a chiedere il perdono quando le ferite ancora sanguinavano. Non averlo fatto, secondo il mio parere, è stata una vera occasione persa.

 

La chiesa cattolica ha svolto un ruolo molto importante durante la guerra civile. Pensiamo solo all’uccisione del cardinale Oscar Romero che sosteneva i più poveri. In quel periodo è nata in America Latina la cosiddetta Teologia della liberazione. Qual è oggi l’impegno della chiesa nel processo di ricostruzione del Paese?

 

La chiesa cattolica ha sempre svolto un ruolo importante e utile per il Paese. L’ha svolto durante la guerra civile e lo continua a svolgere ora. Anche se la chiesa cattolica è l’unica ad avere un riconoscimento costituzionale, nel nostro Paese esiste un’ampia libertà di culto e ciò ha comportato che anche le altre chiese hanno contribuito alla ricostruzione dello Stato.

 

Senza dubbio riconosco che una parte della chiesa durante il periodo della guerra si è mantenuta lontana e distratta rispetto agli avvenimenti e al dolore sofferto dalla popolazione a causa dei massacri. Tuttavia, la maggior parte di essa è sempre rimasta vicina alla gente più povera, partecipando attivamente al processo di pacificazione sociale. La chiesa fa e deve continuare a fare ciò che da essa ci si aspetta, cioè, proteggere gli strati più deboli della popolazione, senza cercare di intervenire o condizionare le decisioni del Governo. Una chiesa che vigila e protegge i più vulnerabili renderebbe, sono sicura, ancora oggi orgoglioso monsignor Romero per tutto quello che la chiesa cattolica fa per chi ha più bisogno e per il rispetto dei diritti umani. Sono stati questi, infatti, gli ideali per i quali lui ha combattuto e che l’hanno portato alla morte.

 

Pur essendo di sinistra, il Presidente Funes ha mantenuto una certa distanza da altri Paesi di sinistra come il Nicaragua e il Venezuela non aderendo, ad esempio, alla proposta del leader venezuelano Ugo Chavez per la creazione dell’Alternativa Bolivariana delle Americhe (ALBA) o al cosiddetto Socialismo del secolo XXI. Perché?

 

Il Presidente Funes sin dall’inizio del suo mandato ha espresso la volontà di improntare le politiche di Governo in sintonia con le necessità dei salvadoregni, senza permettere l’ingerenza di altri Paesi pur nel rispetto delle loro politiche. In sostanza, lavora essenzialmente a risolvere i problemi dei salvadoregni. Ricostruire non è certamente un compito facile per il Presidente. Ci sono tanti problemi sul tappeto e le iniziative da intraprendere richiedono molta attenzione. Rimane, quindi, difficile dedicarsi attivamente a certe questioni internazionali, soprattutto se caratterizzate da una forte connotazione ideologica.

 

In ogni caso, una prova del suo intento di stabilire buone relazioni con tutti i Paesi del mondo è rappresentata dal fatto che sin dall’inizio il suo Governo ha stabilito relazioni con Cuba. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, anche se non si può scordare l’influenza che l’America ha esercitato durante il conflitto armato, non va trascurato il fatto che in quel Paese risiedono circa 2,5 milioni di salvadoregni che con le loro rimesse (che ammontano a 3,6 milioni di dollari l’anno) aiutano a sollevare le condizioni del nostro Paese. Tutto ciò dimostra quanto per questo Governo sia importante innanzitutto migliorare le condizioni dei salvadoregni fuori e dentro il Paese, piuttosto che restare ancorati al passato o a immischiarsi nelle politiche di altri Stati. Occorre, poi, riconoscere che la nostra attuale politica estera riscontra un apprezzamento internazionale: El Salvador viene considerato, infatti, come uno dei Paesi promotori del rispetto dei diritti umani e dell’integrazione Regionale.

 

Come spiega che ultimamente ci siano state, a livello locale, delle sconfitte elettorali per il Presidente?

 

Il Presidente non è stato sconfitto ma continua a essere valutato molto bene, sia sul piano nazionale che internazionale. Quello che è avvenuto nel corso delle recenti elezioni, dal mio punto di vista è un segnale che non basta proseguire sulla strada delle politiche economiche, sociali e di sicurezza ma bisogna sostenere tutti i settori. Occorre, ad esempio, aiutare la classe media e bisogna fare in modo che i poveri entrino in questa classe, che si rafforzino e che intraprendano delle attività remunerative. Occorre, inoltre, esigere da coloro che detengono di più a collaborare e a contribuire con gli sforzi del governo, pagando ciò che legalmente spetta a loro in termini d’imposte. Occorre, infine, combattere integralmente la corruzione e applicare la giustizia in termini di uguaglianza.

 

I salvadoregni si devono ritrovare, dobbiamo dimostrare al mondo la nostra solidarietà e capacità di intraprendere, dobbiamo evitare di tornare a un passato nel quale il Paese si trovava nelle mani di poche famiglie mentre tante altre erano completamente emarginate e sfruttate.

 

A questo Governo tocca governare con un’opposizione particolarmente dura, ortodossa, molto radicale. Inoltre, ci sono settori e imprese private importanti che invece di aiutare a sviluppare il Paese preferiscono far leva su alcuni mezzi di comunicazione per disprezzare le attività del Governo e per mantenere la popolazione all’oscuro delle cose buone che si stanno facendo. Queste imprese non si rendono neanche conto che così facendo finiscono per autodanneggiarsi.

 

Come vede i rapporti economici e commerciali tra l’Italia ed El Salvador e in quali settori ci potrebbero essere le migliori prospettive di collaborazione?

 

I rapporti sono molto buoni. Il Governo italiano ha espresso la sua volontà di continuare a cooperare con El Salvador, soprattutto in campo economico, scientifico, culturale e della sicurezza, nonché nel processo d’integrazione regionale.

 

Recentemente ho incontrato alcuni imprenditori italiani e ho avuto modo di riscontrare che esiste un clima favorevole per attirare gli investimenti. Anche se El Salvador è un Paese piccolo, ha una grande esperienza nell’ambito dei trattati di libero commercio con gli altri Stati. Inoltre, ci sono motivi importanti per investire, come quello di trovare un ambiente economico e sociale stabile, prospettive internazionali, apertura commerciale, una localizzazione geografica strategica e vaste opportunità d’investimento. Da non dimenticare, poi, che recentemente l’America Centrale ha sottoscritto un accordo d’Associazione con l’Unione Europea che comporterà vantaggi a tutti.

 

Per El Salvador, l’Italia è un partner strategico ed è il quinto Paese con il maggior numero di salvadoregni sul territorio. I settori che, tra gli altri, presentano le migliori occasioni d’affari sono: tessile per abbigliamento, aeronautica, elettronica, dispositivi medici, servizi imprenditoriali a distanza, servizi per la salute, turismo, agroindustria, logistica, infrastrutture e lavorazione delle scarpe.

 

Secondo alcuni imprenditori italiani interpellati, i maggiori problemi riguardanti gli investimenti in El Salvador riguardano l’elevata criminalità e l’incertezza giuridica, soprattutto per quanto riguarda gli investimenti stranieri. Lei cosa risponde?

 

La lotta alla criminalità è una delle priorità di questo Governo. Per la prima volta nella storia di El Salvador viene attuata una politica di sicurezza basata sull’integrazione delle strategie fondamentali nella lotta al crimine. Strategie che, se applicate correttamente, possono ottenere risultati molto soddisfacenti. Tutto ciò richiede, sul terreno pratico, una continua evoluzione dei piani e dei progetti, considerando che non esistono formule perfette e che i problemi che generano la criminalità hanno spesso origini differenti.

 

Sappiamo perfettamente che per attrarre gli investimenti esteri dobbiamo offrire garanzie sia sul piano della sicurezza personale che della certezza giuridica. A questo proposito, va ricordato che El Salvador conta su un eccellente sistema giuridico, che gli investimenti diretti esteri nel 2011 sono ammontati a 8.141 milioni di dollari (il 35,3% del Pil) e che ora il livello di sicurezza è aumentato. Negli ultimi mesi è stato possibile evitare il pericolo di essere assassinati a più di trecento persone, mentre gli omicidi quotidiani che di cui si ha notizia avvengono di solito in ambienti fortemente  emarginati.

 

Molti imprenditori viaggiano costantemente a El Salvador e trovano un clima completamente diverso da quello percepito attraverso i mezzi di comunicazione, allo stesso modo alcuni imprenditori salvadoregni, nonostante le critiche che fanno, continuano a investire in El Salvador, pur potendolo fare in altri Paesi. Lo sforzo di tutti gli Ambasciatori salvadoregni è esattamente quello di far vedere al mondo che si sta creando un nuovo Paese, un nuovo El Salvador, che merita di essere seguito con grande attenzione.

 

Lei sa che il calcio in Italia è seguito con enorme passione. Ci può spiegare, in poche parole, com’è stato possibile che nel 1969 si arrivasse a una breve guerra tra El Salvador e l’Honduras a causa di una partita eliminatoria per i campionati mondiali di calcio?

 

L’incontro di calcio è stato solo il pretesto per far scoppiare una guerra assurda durata 100 ore. Il problema non era il risultato della partita che, come ho detto, è stata semplicemente il detonatore di un problema molto più grande vissuto a quell’epoca tra El Salvador e Honduras legato, se non ricordo male, all’espulsione e allo sfratto di migliaia di contadini salvadoregni che lavoravano le terre honduregne.

I salvadoregni si caratterizzano in tutti i Paesi dell’America centrale per essere grandi lavoratori e ciò non sempre piace a chi preferisce riposare. Comunque, storicamente Honduras ed El Salvador sono i Paesi con il più forte senso di fratellanza nell’America centrale e tra fratelli possono anche succedere litigi e discussioni. In ogni caso questo incidente ormai fa parte del passato. Ora entrambi i Paesi collaborano reciprocamente per fare emergere l’intera America Centrale destinata a diventare uno dei poli di sviluppo economico più interessante.