Di Rainero Schembri

Se c’è un Paese che ha imparato la lezione della storia e ha saputo uscire nel 1994 da una delle più tragiche crisi economiche (paragonabile a quella argentina del 2001) è stato il Messico. Tanto è vero che oggi il Paese (112 milioni di abitanti) viene di diritto collocato tra i venti grandi del mondo, con una crescita media negli ultimi anni del 4%,  un reddito pro capite di circa 14,5 mila dollari, un debito pubblico del 2,3% del Pil e un’industria fortemente competitiva in settori come l’automobile  (una macchina su sei venduta negli Stati Uniti è prodotta in Messico), aerospaziale, cemento, petrolchimico, telecomunicazioni, informatica e industria alimentare.

 

Visitato ogni anno da oltre 22 milioni di turisti (grazie alle sue bellezze naturali e alla sua storia millenaria), il Messico viene considerato un Paese aperto, giovane (l’età media è di 27 anni), solido (con riserve che superano i 150 miliardi di dollari), a bassa tassazione e aperto al mondo.  Presieduto da Felipe Calderon (eletto nel 2006 il suo mandato scadrà quest’anno), il Messico dal 2000 ha siglato un importante accordo di libero scambio con l’Europa che ha già comportato importanti benefici anche per l’Italia.  Di questa nuova realtà, anche nei suoi lati meno positivi, abbiamo parlato con l’Ambasciatore del Messico in Italia (dall’estate del 2011) Miguel Ruiz Cabanas Izquierdo.

 

Nato a Città del Messico e Laureato in Relazioni Internazionali Ruiz Cabanas è un diplomatico di carriera ed è stato in precedenza Ambasciatore a Tokio, oltre che rappresentante del Messico presso l’Organizzazione degli Stati Americani. Cabanas ha maturato anche una vasta esperienza nella lotta al narcotraffico nell’ambito delle Nazioni Unite. All’interno del Ministero degli Affari esteri messicano ha ricoperto incarichi di grande prestigio e responsabilità. Docente di Relazioni Internazionali, Ruiz Cabanas oltre a svolgere un’intensa attività di conferenziere collabora anche con numerose  riviste specializzate in relazioni Internazionali.

 

Oltre ai colori della bandiera, ci sono diverse analogie positive tra l’Italia e il Messico. Ma ci sono anche alcune negative. Ad esempio, l’immagine legata all’attività delle mafie e ai gruppi criminali. Lei che all’Onu ha maturato una personale esperienza nella lotta alla criminalità cosa ne pensa?

E’ una realtà con la quale entrambi i Paesi debbono fare i conti. Purtroppo non siamo gli unici. Di mafie potenti si parla anche in Cina, in Giappone, negli Stati Uniti, in Colombia e in tanti altri Paesi. Quello che è certo è che sia l’Italia che il Messico la stanno combattendo seriamente. Io ho avuto modo di conoscere e collaborare con Giovanni Falcone. Un uomo straordinario. Posso dire che abbiamo imparato molto dai suoi metodi e dal suo modo di affrontare questa piaga che distrugge le economie dei Paesi. Anche se le realtà sono molto diverse, il Messico ha guardato con grande attenzione a quello che è stato fatto in Italia su questo terreno.

 

Un’altra analogia riguarda le enormi differenze tra il nord e il sud. Ancora oggi il Chiapas è una realtà completamente diversa rispetto al nord del Paese. Cosa state facendo per riequilibrare questa situazione?

 

E’ vero, anche questo problema è molto simile nei due Paesi e in entrambi i casi lo squilibrio sociale ed economico ha radici storiche profonde. Ma come l’Italia anche in Messico tutte le forze politiche sono ormai perfettamente consapevoli che lo sviluppo dell’intera Nazione non può prescindere da una crescita costante e significativa della parte più povera del Paese. Negli ultimi anni si è fatto molto per il Chiapas, soprattutto nel campo delle infrastrutture, dell’educazione e del turismo. Ma ancora non è sufficiente. Occorre fare molto di più.

 

Passiamo all’economia. Non ritiene che l’intercambio commerciale tra Italia e Messico ancora non abbia espresso tutte le potenzialità offerte dai due mercati?

 

Certamente si potrebbe fare molto di più però le cose non sono neanche così negative. Innanzitutto ricordiamo che l’Italia è il terzo partner commerciale del Messico in ambito UE, mentre siamo il secondo partner dell’Italia in America Latina. Nel 2011 l’interscambio tra i due Paesi, grazie anche all’accordo firmato dal Messico con l’Unione Europea è cresciuto del 40,6% rispetto al 2009, superando i 6.500 miliardi dollari. Altro dato interessante: sempre nel 2011 gli investimenti italiani in Messico hanno coinvolto 1.400 società. Tra questi figurano nomi quali il Gruppo Techint-Tenaris, Enel Green Power, Barilla, Brembo, Assicurazioni Generali e la Ferrero. In campo automobilistico registriamo la presenza di Fiat e Pirelli.

 

Concretamente in quali settori ci sono oggi le maggiori possibilità di collaborazione tra imprese italiane e messicane?

 

In questo momento il Messico esporta in Italia essenzialmente petrolio, oro, grano duro, alcuni tipi di acido e PVC, mentre importa prevalentemente macchinari e apparecchiature, prodotti derivati dalla raffinazione del petrolio e prodotti metallurgi. Credo che ci siano ancora ampie possibilità, ad esempio, per quanto riguarda le parti di ricambio, il settore aerospaziale, le energie rinnovabili, i macchinari agricoli, il settore calzaturiero. Importante, comunque, è che arrivino i grandi gruppi che automaticamente trascinano con sé anche le piccole e medie imprese. Questo sarà anche il mio impegno principale a Roma. Presto organizzeremo un grande business council con le imprese italiane: quello sarà il momento giusto per presentare e rilanciare i rapporti commerciali tra i due Paesi. A questo proposito vorrei aggiungere un’altra cosa.

 

Prego.

 

Tra messicani e italiani c’è una grande affinità e simpatia. I messicani in genere adorano l’Italia, la sua gente, la sua storia, la sua cultura, le sue bellezze naturali, il suo modo di vivere. Anche gli italiani quando tornano dal Messico sono affascinati dal nostro Paese. Si tratta ora di sfruttare meglio questa simpatia reciproca incrementando anche gli scambi commerciali e i rapporti economici.

 

 

Molti ritengono che il Messico sia ancora troppo legato agli Stati Uniti a seguito anche dell’accordo NAFTA e che questo sia una delle ragioni che rallentano lo sviluppo dei rapporti con l’Europa. Lei cosa ne pensa?

Ma non credo proprio. Non c’è dubbio che gli Stati Uniti rappresentino sempre il principale partner commerciale del Messico ma è una cosa del tutto naturale. Non dimentichiamo che tra i due Paesi scorre la più lunga frontiera del mondo. Io credo, al contrario, che i nostri rapporti con gli Stati Uniti siano un fattore estremamente positivo: non a caso molte imprese europee s’insediano nel Messico per poi esportare in America.

 

A proposito di frontiere, è’ noto che le rimesse dei lavoratori messicani all’estero sono aumentate di anno in anno, arrivando a rappresentare il 3% del PIL e un’importante fonte di valuta estera per il Paese, accanto ai proventi delle esportazioni di petrolio e del turismo. Lei non pensa che il Messico sarà veramente una potenza mondiale solo il giorno in cui nessun messicano sarà più costretto a lasciare il suo bellissimo Paese?

 

Anche questa situazione sta cambiando radicalmente. Nell’ultimo anno sono stati più i messicani che sono tornati in patria che quelli che sono emigrati. Tanto è vero che negli Stati Uniti sono molto preoccupati: se domani tutti gli agricoltori messicani che lavorano negli USA dovessero rientrare l’agricoltura americana subirebbe un collasso. Comunque, non c’è dubbio che vorremmo arrivare a una situazione per cui uscire dal Messico sia per tutti i lavoratori una scelta e non una costrizione.

 

In conclusione, i messicani come vedono la crisi europea e italiana?

 

Anche se in questo momento l’America Latina sta attraversando un’intensa fase di sviluppo, tutti guardiamo a quello che avviene in Europa con una certa apprensione. Nell’era della globalizzazione sarebbe un errore tremendo pensare di potersi isolare o evitare il contagio. Alo stesso tempo, però, siamo anche ottimisti sul futuro dell’Europa che ha tutte le risorse per uscire dalla crisi. Ciò vale anche per l’Italia che vanta una grandissima tradizione soprattutto a livello di piccole e medie imprese. Agli industriali italiani consiglierei di guardare con più attenzione ad alcuni Paesi come il Messico: forse potrebbero trovare da noi la soluzione di alcuni dei loro problemi. In sostanza, che il nostro diventi anche un ‘amore d’interesse’, nel senso più buono del termine.