Stefano Schembri

 

Di Stefano Schembri

Per l’ex primo ministro dell’Ucraina (2007-2010) Julia Tymosenko, il 2014 è stato un anno di svolta, sia in positivo che in negativo.  Di positivo c’è stata la decisione del Parlamento (il 21 febbraio scorso) di approvare con 321 voti a favore su 322 votanti, la legge di depenalizzazione del reato di corruzione per il quale la Tymošenko era stata condannata a sette anni di carcere. Il giorno dopo, a seguito di una violenta rivolta popolare e una consistente ribellione a  Kiev, è stato destituito il presidente Janukovic  e consentito alla Tymošenko di uscire di prigione.  Fin qui le note positive. Il contraltare è rappresentato dal fatto che i gravi avvenimenti che hanno sconvolto l’Ucraina hanno decretato anche l’uscita di scena della Tymosenko. Almeno in questa fase politica.

Della prigioni della Tymosenko, che già era stata primo ministro per nove mesi nel 2005, si è occupata anche la Corte Europea dei diritti dell’Uomo. A questo proposito mi fa piacere ricordare che il 28 agosto del 2013, durante il mio stage formativo presso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ho avuto la possibilità’ di assistere all’udienza in merito al ricorso presentato dalla Tymoshenko (in prigione ormai da un anno) contro il governo ucraino. Presente all’udienza fra il pubblico c’era anche la figlia Eugenia, molto attiva in tutti i procedimenti giuridici che hanno visto coinvolta la madre. Alla Tymoshenko, protagonista della “Rivoluzione Arancione Ucraina” del 2005, era stata inflitta una lunga pena per via di un presunto accordo mediante il quale avrebbe svenduto il combustibile ucraino alla Russia, imponendo la sua decisione alla società energetica Naftogaz, senza l’autorizzazione del governo da lei stessa capeggiato.

 

Il ricorso che la  Tymoshenko aveva effettuato nei confronti della Corte di Strasburgo, tuttavia, non riguardava la legittimità o meno del suo arresto, quanto le condizioni penitenziare in cui si ritrovava. A detta del suo avvocato, Serhiy Vlasenko, l’ex primo ministro ucraino viveva in condizioni disumane, senza la possibilità di bere l’acqua necessaria al proprio organismo, con un accesso alle docce ridotto, con le luci della cella accese 24h su 24, ma soprattutto era vittima di violenze che le hanno causato degli ematomi ben visibili lungo le braccia. Vlasenko lamentava inoltre il fatto di non avere la possibilità di scegliere per la propria assistita un medico di fiducia (com’è invece garantito per legge ai detenuti ucraini), ma di dover accettare il medico proposto dall’istituto penitenziario, che ad avviso della Tymoshenko, non le starebbe dando le cure esatte.

 

Per loro parte, invece, gli avvocati del governo, presenti alla Corte, hanno negato qualsiasi ipotesi di violenza sostenendo che la Tymoshenko si sia procurata gli ematomi da sola, e garantendo che le prigioni in cui si è trovata le hanno sempre fornito acqua a sufficienza, possibilità’ di accesso alle docce e di chiudere o accendere la luce a suo piacimento. Come sappiamo, i sette 7 giudici della Corte, presieduti dal magistrato lussemburghese Dean Spielmann, hanno finito per dare ragione alla ‘passionaria’ originaria di Dnipropetrovsk. Ma ci è voluto una mezza rivoluzione popolare per farla uscire di prigione.