Classe 1972, residente a Tivoli (vicino Roma), dottorato in matematica alla Portland State University USA, ex assistente ricercatore al Laboratorio nazionale di Argonne (USA) e presso il Dipartimento di energia degli Stati Uniti (Università di Chicago), nonché ricercatore di matematica applicata alla fisica-chimica in Germania al Max Planck (Stoccarda), Manuel Santoro è tornato in Italia nel Luglio del 2008 e, sin dalla sua permanenza in Germania, è stato Responsabile dell’Organizzazione del movimento politico “Radicali di Sinistra”.

Nel 2010 è stato tra i fondatori del movimento politico “Libertà ed Eguaglianza” di cui è stato coordinatore nazionale sino alla confluenza del gruppo nella Lega dei Socialisti, nel Giugno del 2011. Iscritto al Partito Socialista Italiano, è ora membro del Direttivo nazionale della Lega dei Socialisti. Anche se, come vedremo più avanti, a Santoro non piace il termine rottamatore, non v’è dubbio che in questo momento sta tentando un’operazione di rottura e rilancio a tutto campo all’interno del Partito Socialista Italiano, attualmente guidato da Riccardo Nencini.

Per Santoro, in sostanza, si tratta dell’ultima possibilità storica di non decretare la morte definitiva della rappresentanza socialista. E per raggiungere questo scopo intende puntare decisamente su un crescente numero di giovani (in massima parte quarantenni) intenzionati a rilanciare in chiave moderna i ‘vecchi ideali socialisti’, insieme ai ‘vecchi socialisti’ rimasti giovani nella volontà di non arrendersi alla progressiva degenerazione e dissolvenza del partito. Ma ecco cosa Santoro ha detto a Euronews.

In questo momento storico sembra che tutte le ideologie siano morte e, quindi, anche una gloriosa come quella socialista. Se è così che senso ha rispolverare il nome di un vecchio partito che, tra l’altro è finito in maniera ingloriosa? Non teme di rivolgersi solo a una minuscola compagine di nostalgici senza alcune presa sui giovani?

 

L’ideale socialista è sempre esistito, esiste ed esisterà sempre. Certo, è un ideale ormai spoglio di una vera progettualità fatta di speranze, idee e militanza, intorno alla quale si possano raccogliere energie nuove. Quello che manca, oggi, è un degno rappresentante dell’ideale socialista nella politica e nella società e, penso, sia arrivato il momento di riprendere un filo interrotto, una ragione d’essere che vede nella povera gente, nelle ingiustizie sociali, nelle ineguaglianze, le ragioni dell’esistenza e della lotta di un partito socialista.

 

Il partito socialista odierno è del tutto insufficiente a rappresentare queste istanze di riscatto sociale visto il suo graduale scivolamento verso un centrismo in salsa democratica che vive solo di laicità e diritti civili, avendo dimenticato totalmente la sua funzione propositiva e propulsiva della ricerca di nuovi processi economici e sociali. Un nuovo soggetto politico socialista dovrebbe, finalmente, “portare avanti tutti quelli che sono nati indietro”. Se riuscissimo a riproporre un minimo di nuova progettualità socialista, con i suoi reali valori politici ed umani, riusciremmo senza dubbio a coinvolgere tantissimi giovani i quali non cercano altro che una sponda, un rifugio entro il quale rigenerare anima e mente, rielaborando un nuovo modello di convivenza civile che metta in dubbio l’assetto socio-economico attuale, orami brutalizzato e brutalizzante.

 

Nel mondo i vecchi partiti della sinistra prendevano spunto del concetto di lotta di classe per elaborare le loro teorie politiche con alcuni importanti distinguo: i comunisti auspicavano la dittatura proletaria (anche se il Pci, per la verità, su questo terreno si è distinto da quasi tutti gli altri partiti comunisti nel mondo) mentre i socialisti auspicano il raggiungimento del potere per vie democratiche. Oggi nessuno parla più di lotta di classe eppure mai come oggi l’assioma di Marx appare avverarsi: i ricchi diventano sempre più ricchi ma in numero sempre minore mentre i poveri diventano sempre più poveri ma in un numero sempre maggiore. Di fronte a questa realtà come si pone un nuovo partito socialista?

 

Prima di tutto un nuovo partito socialista dovrebbe prendere atto che le crisi susseguitesi nei decenni a causa dell’evolversi di incontrollati cortocircuiti dei processi finanziari hanno prodotto un indebolimento globale delle società sviluppate, dei loro modelli di sviluppo e di welfare. L’effetto complessivo è stato tremendo visto l’annullamento delle prospettive di sostenibilità di lungo periodo dei tessuti produttivi. Oggi, come spesso è successo, l’economia reale paga i danni prodotti dall’imbarbarimento dei processi finanziari complice una politica internazionale che tendenzialmente privilegia l’arricchimento dei più ricchi attraverso l’impoverimento delle società e l’espropriazione della ricchezza collettiva per fini privatistici.

 

Se volessimo fare un’analisi seria dell’ultima crisi iniziata nel 2008 capiremmo come sia in atto un cambiamento di sistema profondo che lentamente modificherà i processi economici, sociali e comportamentali globali. Penso che possiamo essere tutti d’accordo nel dire che l’impatto di questa crisi sul tessuto produttivo e sull’economia reale sia l’effetto di una voluta e ricercata autoregolamentazione del sistema finanziario e bancario multinazionale, le cui politiche egoistiche vengono calate a livello nazionale attraverso lo strumento e l’avvallo della politica.

 

Penso che oggi ci sia un’incapacità certa della politica nazionale, europea ed internazionale, di contrapporre un modello di progresso sostenibile alternativo.  Di certo, il nodo principale da risolvere oggi è l’incapacità di chi si richiama alla cultura e all’azione socialista di delineare un percorso di rottura rispetto a schermi pensati decenni fa dalle forze conservatrici del pianeta. Forze che, in politica, riprendono i dettami della grande finanza e dei grandi istituti bancari, ormai globalizzati e transazionali nei processi, in grado di autoregolarsi oltrepassando le deboli regole nazionali e internazionali.

 

Un nuovo partito socialista, quindi, è necessario oggi più che mai in quanto sarebbe l’unico mezzo per riacquisire dignità, coraggio e solidarietà per rompere le catene del degrado sociale ed umano del nostro presente e futuro.

 

E’ nota la sua forte critica all’attuale incapacità del Partito Socialista di distinguersi sulla scena nazionale. Del resto la maggior parte della gente neanche sa che esiste, almeno sulla carta, un Partito Socialista Italiano. Possiamo dire che lei si propone come una specie di Renzi del Partito Socialista, cioè, un rottamatore intenzionato a ricominciare tutto da zero?

 

Così com’è strutturato oggi, il partito socialista è destinato a estinguersi. Non amo il termine “rottamatore” ma sono convinto della necessità di ricostruire una nuova soggettività socialista. Il partito socialista attuale continuerà ad esistere come soggetto di rappresentanza, con un nome, un simbolo, ma niente più. E’ evidente, quindi, che non ci sarà bisogno di rottamarlo in quanto tutte le sue energie vitali saranno presto azzerate all’interno dell’accordo con il PD.

 

Sarà necessario dare un’alternativa a tutte quelle potenzialità umane deluse dall’attuale dirigenza socialista e, penso, lo si possa fare iniziando a ragionare sulla costruzione di un altro partito socialista in Italia. Un partito che raccolga l’eredità ideale dello storico PSI e lo rilanci con una visione aggiornata al XXI secolo e che contribuisca a una ricomposizione della sinistra italiana e del socialismo in Europa. Riprendiamo il cammino di liberazione della condizione umana dai soprusi e dalle ingiustizie sociali portato avanti dalla gloriosa tradizione socialista, perseguendo con forza gli assiomi ideali di libertà e di democrazia, indissolubilmente connessi agli assiomi fondamentali dell’eguaglianza e della giustizia sociale.

 

Come pensa di muoversi politicamente in vista delle prossime elezioni?

 

Sempre nel solco della costruzione di un nuovo soggetto socialista. Penso che le elezioni possano essere un primo banco di prova per capire le forze in campo, chiarire tante ambiguità e verificare la volontà politica di costruire una nuova progettualità socialista. Ad ogni modo, lavorerò per rendere visibile quest’opportunità.

 

Parliamo dei contenuti, che è poi quello che interessa alla gente. Ormai una moltitudine in Italia vive al di sotto della soglia di povertà. Spesso le persone non hanno neanche il minimo indispensabile per mangiare. Ebbene, in quasi tutti i Paesi d’Europa è previsto un sussidio minimo per gli indigenti di qualunque età. Su questo terreno qual’ è la proposta socialista?

Partirei da un ragionamento di sistema. E’ necessario, secondo me, premettere che un’economia nazionale immersa in un meccanismo economico globalizzato, essenzialmente di stampo liberista, rischia, durante crisi di sistema come l’ultima, di vedersi proiettata verso una nuova organizzazione sociale e politica, non prevedibile, caratterizzata essenzialmente dal prosciugamento di diritti e di benessere collettivo. Naturalmente, in tutto questo la nostra classe politica ha responsabilità enormi.

Fatta questa doverosa premessa, la situazione in Italia è grave e non ci sono segnali di miglioramento. I dati dell’Istat sono impietosi. Nel 2011 l’Italia si è ritrovata con più di 8 milioni di poveri, i quali rappresentano quasi il 14% dell’intera popolazione e l’11% delle famiglie. Fa rabbia che quasi 3 milioni di famiglie, composte da due persone, sia al di sotto della soglia di povertà (pari a 1.011,03 euro mensili). Aumenta la povertà di coppie con un figlio, pari al 10,4%; delle famiglie con cinque o più componenti, pari al 28,5%. Le famiglie a rischio povertà sono il 7,6% mentre al Sud la situazione si aggrava visto che una famiglia su quattro è considerata povera.

 

Penso che lo Stato e le istituzioni abbiano il dovere di intervenire celermente con misure atte a calmierare gli effetti nefasti della crisi, soprattutto con l’istituzione di un reddito minimo. Io guardo ai Paesi più evoluti da un punto di vista del welfare e dei servizi e, quindi, penso sia indispensabile il massimo della solidarietà collettiva. E’ vero che tutti i Paesi europei prevedono qualche forma di reddito minimo tranne Italia, Grecia e Bulgaria e, certamente, questo dato non ci fa onore. Pensiamo a uno dei Paesi più all’avanguardia sul reddito minimo. La Norvegia, la quale offre ai suoi cittadini un reddito di esistenza, senza limiti, che garantisce un importo mensile di circa 500 euro.

 

Se noi supponessimo, secondo la proposta di ‘Intelligence Precaria’, di erogare 600 euro mensili per garantire a tutti un reddito di base pari a 7.200 euro all’anno, a tutti indipendentemente dall’età e dallo status, la collettività dovrebbe sopportare un costo annuo di quasi 18 miliardi di euro. Ma tenendo conto che, a oggi, si stima che il costo attuale del welfare sia di 15,5 miliardi di euro annui, il costo extra da sopportare si aggirerebbe intorno ai 5 miliardi di euro annui. 5 miliardi, pari al gettito ricavabile da un’ imposta ordinaria, di certo non pesante, sul patrimonio, incluso quello mobiliare, con aliquota progressiva al di sopra di un milione 200 mila euro.

 

L’ultimo politico in Italia a elaborare un grande piano di edilizia popolare è stato nel 1949 (sic!) Amintore Fanfani. L’attuale situazione vede soprattutto i giovani impossibilitati non solo di comprare una casa ma nemmeno di affittare due stanze per creare una nuova famiglia. Come pensa di affrontare questo problema cruciale?

 

Il problema principale è nello squilibrio evidente tra offerta abitativa e domanda. In particolare, non c’è, in Italia, una offerta abitativa capace di assorbire una domanda che rivendica prezzi moderati. Abbiamo un invenduto rilevante mentre l’emergenza abitativa cresce per i prezzi troppo elevati, per gli effetti che la crisi sta avendo sui redditi e sulla capacità delle famiglie di pagare affitti e mutui bancari, e per l’abbandono da parte dello Stato di una politica di edilizia economica e popolare.

 

Da una stima condotta da Federcasa sembra che le famiglie in attesa di una casa siano circa 583-mila mentre gli alloggi invenduti si aggirino intorno alle 300-mila unità. Certamente lo Stato dovrebbe riprendere una sua centralità propositiva avviando da subito, nel caso questi numeri venissero confermati, la costruzione di abitazioni a prezzi popolari per soddisfare una domanda di circa 280-mila famiglie e, contemporaneamente, avviare politiche di assorbimento dell’invenduto che vadano a soddisfare le esigenze delle famiglie in attesa di una abitazione. Nel suo complesso, lo Stato deve essere garante del benessere dei suoi stessi cittadini e, quindi, avviarsi verso un cambiamento di tipo culturale prima che politico che vede nell’abitazione un diritto.

Nonostante tutti i guai il sistema sanitario italiano rimane uno dei migliori del mondo anche se è diventato il principale fattore di corruzione. Come pensa di impedire che la giusta esigenza di risparmiare ad ogni costo non finisca per incidere drammaticamente sulla parte più debole della popolazione?

 

La tutela alla salute come “diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività” è sancito dall’Articolo 32 della nostra Costituzione e, penso, che tale principio vada osservato e promosso con l’azione costante delle istituzione affinché rientri l’effettivo e progressivo scollamento, tutt’ora in corso, tra norme scritte e norme applicate.

 

A mio avviso l’Italia dovrebbe iniziare a essere uno Stato moderno ed efficiente soprattutto con la modernità e l’efficienza del suo sistema sanitario e con la funzionalità dei suoi servizi essenziali. Il diritto alla salute è di tutti i cittadini. Oggi, però, testimoniamo uno smarrimento politico sul come rendere questo diritto fondamentale una realtà, viste le sue disfunzioni e i suoi costi. L’egoismo e gli interessi personali, oltre all’inadeguatezza delle strutture, sono cancri del sistema sanitario nazionale. Il pensiero neo-liberista sponsorizza un sostanziale programma di privatizzazione degli enti pubblici, sostenendo che i problemi della sanità italiana si possono risolvere solamente con la privatizzazione di molti settori del servizio sanitario. Questo, però, implicherebbe una sanità in balia delle leggi di mercato andando contro i più deboli e i più poveri.

 

In Europa, poi, spendiamo molto meno rispetto ad altri paesi. L’Italia, infatti, spende circa 115 miliardi di euro per la sanità, pari al 7,2 per cento del P.I.L. Non vorrei che si usasse la tesi dell’alto costo della spesa sanitaria pubblica per smantellarla e avviare un processo di privatizzazione del tutto a scapito dei più deboli. Il sistema sanitario deve essere pubblico e le risorse vanno ricercate nelle inefficienze del sistema paese. Dal sommerso, all’evasione, dalla corruzione alla concussione. Basti pensare che solo il sommerso vale tra i 529 e i 540 miliardi di euro. Sarebbe auspicabile una radicale riforma del sistema sanitario nazionale, in senso pubblico, responsabile e razionale, e con la fine immediata della lottizzazione delle Unità Sanitarie Locali da parte dei partiti.

 

Il diritto allo studio non è solo un diritto costituzionalmente garantito ma anche una condizione indispensabile per far crescere economicamente un Paese. Per i socialisti di vecchio stampo era fondamentale garantire l’accesso allo studio, soprattutto ai più meritevoli, fino a livello Universitario. La cosiddetta divisione di classe passava anche tra chi aveva una famiglia in grado di pagare le spese universitarie e tra chi, al massimo, poteva sperare di trovare un lavoro part time capace di supportare queste spese. Lei cosa ne pensa?

 

Sono dell’idea che il diritto allo studio sia tra i diritti fondamentali che consente l’attuazione di altri diritti della persona. Avere la possibilità dell’istruzione, infatti, permette alla collettività di essere consapevole nelle scelte da fare, in modo del tutto autonomo. Naturalmente, reputo che il diritto allo studio non debba avere vincoli calati dall’alto in quanto non è una merce a pagamento ma un diritto che solo una scuola pubblica efficiente, gratuita ed aperta a tutti può perseguire. Reputo che ci si debba muovere verso la valorizzazione del pubblico attraverso l’intervento dello Stato. Lo Stato abbia cura del pubblico. I privati, e solo i privati, delle istituzioni private.

 

Penso, quindi, che la linea di demarcazione tra intervento pubblico e privato debba essere chiara e netta. Sono consapevole del fatto che solo la scuola pubblica possa aprire la nostra società ai cambiamenti, senza recinti identitari separati, nel solco della coesione sociale e verso un approccio multiculturale e multirazziale.

 

Parliamo di giustizia. Oggi il gratuito patrocinio è quasi una burla. Chi non ha soldi e non può permettersi un buon avvocato rischia di andare in galera per aver rubato una mela. Inutile parlare degli altri. Quest’assurdità è un tema che vi interessa?

 

Certo. Dovremmo occuparci di raddrizzare tutte quelle storture che danneggiano i meno abbienti, i più bisognosi. In questo caso, il DPR 115/2002 regolamenta la possibilità che le spese del proprio avvocato siano pagate dallo Stato per chi ha generalmente un reddito inferiore a 10.628,16 euro annui, ma non ripara dalle spese degli avvocati della controparte. Il tema è senza dubbio da approfondire tenendo conto di due fattori che andrebbero valutati attentamente. La qualità della difesa offerta e l’esperienza degli avvocati disponibili.

 

Da un punto di vista più generale, invece, mi preme dire che il nostro Paese è in una situazione giudiziaria disastrata in termini di risorse umane e logistiche. Penso sia non più rinviabile una revisione dei reati e delle relative pene tenendo conto del danno sociale e collettivo prodotto. Per fare un esempio, penso sia necessario perseguire gravi e dolosi falsi di bilancio con pene severe e certe.

 

Infine, ci può dire qual è la sua maggiore ambizione politica?

 

Senza dubbio dare rappresentanza al socialismo in questo Paese. Con un partito socialista smunto di ogni vitalità e distante anni luce dai problemi della gente che soffre, l’inizio di un lavoro serio su una nuova soggettività socialista non è rinviabile. Penso che tale soggettività debba farsi promotore di un processo di sintesi tra i vari filoni del socialismo italiano all’interno di una ricostituita sinistra italiana e di perseguire l’unione di tutti coloro che, pur provenendo da diverse scuole politiche, riconoscono nella difesa dei deboli del mondo e nella lotta al grande capitale ed alla grande finanza la motivazione primaria del fare una politica socialista, prospettando, così, un modello di movimento non dogmatico ma aperto a tutti gli strati della società.

 

Perseguo l’idea della costituzione di un movimento largo, costruito democraticamente, autonomo, che aspiri alla realizzazione di radicali riforme di struttura nella società. Naturalmente, ritengo che non si possa perseguire come fine la democrazia senza praticarla anche all’interno del futuro movimento. La democrazia interna implica la più grande attivazione e partecipazione critica dei partecipanti, e consente la manifestazione di tendenze diverse, elevando il necessario spirito di solidarietà e di collaborazione.