Attore di teatro, cinema, televisione e molto attivo anche nel doppiaggio di grandi attori stranieri, Edoardo Siravo, nato a Roma ma originario del Molise, è sicuramente una degli attori più impegnati non solo sul piano lavorativo ma anche nel rilancio dell’immagine del teatro italiano. In televisione è diventato famoso come Commissario Vincenzo Leoni nella soap opera di Canale 5, Vivere, ma soprattutto in teatro ha ottenuto numerosi successi sotto la direzione di nomi del calibro di Luca Ronconi, Luigi Squarzina, Giuseppe Patroni Griffi e tanti altri. Con Siravo abbiamo voluto invece parlare del momento particolarmente difficile che sta attraversando il teatro italiano.

 

Di Rainero Schembri

 

Non v’è dubbio che la crisi economica riguarda tutti. Tuttavia questa crisi ha colpito molto di più il cinema e il teatro rispetto, ad esempio, ai concerti, allo sport e alle mostre. Come spiega questo fatto?

 

Il cinema e, soprattutto, il teatro, sono stati i primi a entrare in crisi già una quindicina di anni fa. Purtroppo si sono dovuti scontrare con un’oligarchia teatral-politico-ministeriale scarsamente sensibile ai problemi del teatro che, tra l’altro, non deriva da consensi elettorali. Il problema è che il teatro è lo specchio della società. E’ la prima espressione artistica a risentire gli effetti negativi di un diffuso degrado sociale e culturale.

 

Non a caso, il teatro ha subito in determinati periodi un oscuramento che coincide con i momenti più bui della nostra nazione, vedi quando trionfa l’oligarchia sulla Repubblica Romana, o, ancora più evidentemente, dopo la controriforma, quando le Compagnie della commedia dell’arte, furono costrette ad emigrare in Francia ed in Europa in genere. In questi Paesi, dove già erano presenti i germi della Democrazia, nacqueo, non a caso, Molière e Shakespeare.

 

Ci può indicare degli esempi concreti riguardanti la debolezza del peso politico del teatro?

 

Il problema è che i soldi non solo sono pochi ma anche mal distribuiti. Mentre la maggior parte dei teatri langue in situazioni catastrofiche, alcune manifestazioni, penso, ad esempio, a Roma Europa Festival o al Festival del Teatro di Napoli non hanno certamente problemi di bilancio. Da non dimenticare, poi, l’inglobamento dell’Enpals, nostro Ente di previdenza sociale, nell’Inps, che con quest’operazione ha rimpinguato le sue casse di un miliardo e mezzo di euro. Di questa cifra sarebbero bastati 50 milioni a dare nuovamente ossigeno vitale al nostro  teatro. E nessuno di noi si è ribellato.

 

Come valuta l’occupazione dello storico teatro Valle di Roma a rischio chiusura?

 

Inizialmente l’ho considerato un atto di grande rilevanza politica. Ora comincio ad avere dei dubbi, anche per la partecipazione di alcuni personaggi che a mio avviso sono interessati soprattutto a sfruttare a proprio vantaggio la situazione. Non ho, poi, capito bene l’impegno di Stefano Rodotà: se fosse diventato Presidente della Repubblica mi sarebbe piaciuto chiedergli se sarebbe stato disponibile ad aprire gratuitamente alcune stanze del Quirinale magari per promuovere il teatro. Insomma, è una situazione sempre più confusa, per non dire altro, e che in ogni caso non può durare all’infinito, soprattutto considerando che gli altri teatri di Roma pagano luce, tasse, affitto, ecc. ecc.

 

Ormai si punta molto sui piccoli teatri, con scarse scenografie e con attori che fanno monologhi. Solo a Roma ci sono una quarantina di questi teatri. Non ritiene che questa soluzione possa rivelarsi alla lunga una scelta suicida?

 

Assolutamente sì. Questa soluzione può andare bene per un breve, forse brevissimo tempo. Ma col tempo la gente si stuferà e a rimetterci sarà il teatro nel suo insieme. Certo, alcuni mediocri che hanno preso il potere, non si sa bene come, riescono ad ottenere ancora danaro per mega produzioni sottopagando gli attori. Tutto questo non ci fa bene, e l’un aspetto e l’altro non potranno che condurre al definitivo allontanamento del pubblico dalle sale.

 

Come giudica l’esperienza del Laboratorio di Esercitazioni Sceniche di Roma, fondato da Gigi Proietti negli anni settanta al Brancaccio, o dell’esperimento effettuato da Vittorio Gassman con ‘La Bottega’, entrambe naufragate?

 

Non mi sembra che abbiamo raggiunto risultati entusiasmanti. E poi non è detto che un grande attore sia anche un grande insegnante. Ad ogni modo, queste due iniziative hanno alimentato una moda e cioè, quella di aprire scuole di teatro. Solo nel Lazio ce ne saranno almeno cinquecento, la maggior parte prive delle minime competenze artistiche, capaci di attirare tantissimi aspiranti attori. Le scuole di Proietti e Gassman furono sicuramente, dal punto di vista professionale, di grande livello, ma furono l’inizio dell’attuale degrado riguardante l’insegnamento del nostro mestiere.

 

Come giudica il livello medio degli autori e degli attori teatrali italiani?

 

Posso assicurare che in Italia ci sono tanti autori e attori molto bravi che purtroppo non riescono ad emergere a causa di quell’oligarchia di cui ho già parlato, e che controlla tutto il panorama culturale italiano.

 

Una domanda tra lo scherzoso e il provocatorio: non ritiene che gli attori teatrali italiani soffrano terribilmente il fascino che in questo momento esercitano i comici in tutta l’Italia?

 

Indubbiamente sì. Ma di questo ha colpa anche la categoria degli attori che non ha saputo curare nel modo giusto la propria immagine. Per la verità oggi siamo surclassati non solo dai comici ma anche dai giocatori di calcio, dai cantanti, dai maghi, ecc. ecc.

 

Lei ha avuto anche un’esperienza politica, aderendo a La Mia Italia, la nuova formazione politica del popolo delle primarie, fondata da Umberto Calabrese, candidandosi alla Presidenza della Provincia di Roma nelle elezioni del 13 – 14 aprile 2008 . Come giudica quell’esperienza?

 

Di politica mi sono sempre interessato e se anche se non sono stato eletto ritengo la ritengo un’esperienza molto positiva sul piano formativo e di rapporti con la gente. Debbo dire, tra l’altro,  che ho registrato anche un discreto successo in termini di voti, e molti artisti mi hanno dato la loro preferenza. Evidentemente fuivotato più per una stima di cui godo nell’ambiente, più che per una popolarità di cui, in questi casi, non importa niente a nessuno.

 

Lei partecipa all’Associazione Forche Caudine, storico circolo dei romani d’origine molisana, ed è direttore dal 2011 della Fondazione Teatro Savoia di Campobasso. Cosa ci può dire rispetto a queste due iniziative?

 

L’Associazione semplicemente soddisfa il mio bisogno di conciliarmi con le origini molisane della mia famiglia. Per quanto riguarda, invece, il Teatro, vorrei tanto fare di più ma i mezzi sono veramente scarsi. Il Teatro appartiene alla Provincia di Campobasso e riconosco che il Presidente della Provincia Rosario Matteis  sta cercando in tutti i modi di darmi una mano. Purtroppo, in Italia, gestire un teatro diventa ogni giorno di più una ‘missione impossibile’.