Maria Grazia Patella

Nell’ambito della nostra inchiesta sul futuro della lirica abbiamo intervistato Maria Grazia Patella (nel riquadro), vera animatrice di ‘Opera in Piazza’ a Oderzo (TV): una delle manifestazioni più interessanti nell’ambito dei teatri di provincia.

Di Rainero Schembri

Opera in Piazza di Oderzo (località a due passi da Treviso) è ormai una vera istituzione nel panorama dei Festival  lirici italiani. Oltre alle rappresentazioni operistiche, fatte all’aperto d’estate e al chiuso d’ inverno, l’Associazione Oder promotrice del Festival opitergino, nel corso dell’anno organizza  anche spettacoli di balletto, concerti sacri, lirici, sinfonici, nonché incontri musicali di promozione sia in Italia che all’estero : tutti avvenimenti sempre ad altissimo livello. Considerate le grandi difficoltà economiche attraversate dal Paese molti giudicano quest’esperienza un vero miracolo che, tra l’altro, ha contribuito anche a far conoscere e a promuovere turisticamente questa simpatica e accogliente località. Ed è per questo che nell’ambito della nostra inchiesta sul futuro della lirica è stato ritenuto interessante intervistare Maria Grazia Patella, la vera animatrice di questa manifestazione, insieme al marito e tenore di livello internazionale Miro Solman.

Cosa significa e quanto costa oggi in Italia organizzare uno spettacolo lirico  in una piccola località come Oderzo?

Significa sicuramente un notevolissimo dispendio di energie soprattutto per quanto riguarda gli spettacoli allestiti all’aperto nelle piazze  e che necessitano di essere preparate per l’evento con palcoscenici, tribune e poltroncine per la platea, strutture per montare luci e audio, per recinzione delle piazze ecc. Tutto questo viene ogni anno preparato e smontato con un grande  impegno  di mezzi e persone. Si devono peraltro affrontare rischi economici notevoli: rischi soggetti anche ai capricci metereologici.

Quest’anno, ad esempio, abbiamo dovuto spostare di un giorno lo spettacolo programmato per il 13 luglio a causa del maltempo. E ciò ha comportato  automaticamente un notevole aggravio di costi in termini di spese alberghiere,  soggiorni e rimborsi per  gli operatori. In generale si può, comunque, dire che  quest’attività offre anche notevoli soddisfazioni: sul piano dei rapporti personali con  artisti, personaggi,  pubblico italiano e straniero. Noi di Opera in Piazza  siamo stati i pionieri di questo tipo di spettacoli all’aperto, che ha poi trovato emulazione e diffusione  in diverse altre località. Ma oltre ad aver dato il via a un enorme interesse verso la cultura musicale-in particolare operistica nel Nord-Est, ci inorgoglisce il fatto che abbiamo offerto a molti di giovani la possibilità di mettersi in gioco, lavorare al nostro fianco e  quindi  di fare un’esperienza concreta per entrare nel mondo dello spettacolo.

In che misura la vendita dei biglietti copre le spese di organizzazione?

Il bilancio complessivo dell’intera stagione è di circa 200 mila euro. Per il 60% viene coperto dalla vendita dei biglietti che in media costano venti euro. Circa il 7% è coperto dalle Istituzioni, cioè, dal Comune, dalla Provincia e soprattutto dalla Regione. Poi ci sono i privati che in teoria dovrebbero coprire il restante ma che in questo momento di grave crisi economica si trovano obiettivamente in notevole difficoltà. Purtroppo le spese sono ingenti. Pensiamo solo ai costi di allestimento di palchi e tribune che ammontano al 12% delle spese generali .Ogni anno le strutture  vanno montate e smantellate per costruire un grande teatro all’aperto .Ci sono, poi, i costi delle  scenografie posizionate  su un  boccascena di circa 30 metri, i costi della  pubblicità, quelli  per il personale, gli artisti, i vari services, ecc.

Come siete strutturati dal punto di vista organizzativo e amministrativo?

Siamo un ‘Associazione senza scopi di lucro. I nostri soci sono prevalentemente imprenditori, avvocati, professionisti, artisti, artigiani e operai, tutti grandi amanti della lirica. Intorno a noi gravitano circa 200 persone. Il loro contributo può essere di natura economica o di agevolazione nell’offerta di servizi. Alcuni artisti, poi, collaborano partecipando a serate e spettacoli promozionali in Italia e all’estero. In parole povere, ognuno dà quello che può dare e questo vale anche per molti cittadini di Oderzo che volontariamente ci aiutano a  risolvere i vari problemi che si presentano nel corso dei lavori.

Voi collaborate da molti anni con il teatro di Maribor della Slovenia. Ci può descrivere come si articola questa collaborazione?

Si tratta di una collaborazione molto intensa. Tutto è nato grazie al fatto che mio marito da moltissimi anni è il primo tenore del teatro di Maribor. E quindi è nata una forte sinergia tra le due realtà: il Festival di Oderzo e un’importante istituzione culturale dello Stato di Slovenia. Noi, tra l’altro, siamo stati i primi a portare in Italia un teatro dell’est europeo che all’epoca era ancora sotto il regime comunista. Desidero, però, rilevare che se Maribor ha dato sicuramente molto a Oderzo, anche noi abbiamo contribuito a offrire al Teatro sloveno una bellissima vetrina con grande pubblico e critica  internazionale.

A  mio marito è stata conferita la cittadinanza onoraria e tutta la direzione del teatro ha sempre manifestato una grande simpatia per la nostra iniziativa. Da parte nostra riconosciamo l’altra professionalità e l’amore che tutte le maestranze slovene hanno messo a disposizione del Festival opitergino. Anche in questo, comunque, siamo stati dei pionieri. Nel corso degli anni altri teatri italiani hanno iniziato a collaborare con i teatri dell’Europa dell’est.

Esiste, invece, una qualche forma di collaborazione tra i grandi e i piccoli teatri italiani?

Purtroppo non mi risulta, salvo qualche caso sporadico. Nel caso nostro si è stabilito un rapporto amichevole con l’Arena di Verona e tutto è nato quando il sindaco Flavio Tosi è venuto a trovarci e a conoscerci nella sua veste di Presidente della Fondazione Arena di Verona. Ebbene, è stato lui a offrirci la possibilità di sfruttare gratuitamente alcune strutture scenografiche e costumi del teatro senza chiedere nulla in cambio. Sia chiaro, non faccio alcuna promozione politica ma trovo anche giusto che si dia ‘a Cesare quello che è di Cesare’, visto che in Italia sono rarissimi i politici sensibili e disponibili a dare una mano alla cultura.

Quale futuro immagina per Opera in Piazza?

Ma cosa vuole che le dica. Può immaginare facilmente quanto per noi sia difficile portare avanti quest’organizzazione in un momento di così grave crisi economica. La nostra è diventata ormai una missione, un servizio alla collettività. Opera in Piazza col tempo ha creato anche un notevole indotto. Ogni anno sono migliaia gli stranieri e gli italiani di altre Regioni che vengono a vistarci e quindi ad alloggiare negli alberghi e a consumare dei pasti nei ristoranti e anche a fare piccoli acquisti nei negozi. Purtroppo, però, anche i missionari invecchiano. Spero che dopo tanti anni di sacrifici non finisca tutto con l’uscita di scena di mio marito e di quella mia.

Come mai suo figlio, che risulta essere dotato di una voce bellissima non vuole cantare e nemmeno  organizzare spettacoli in Italia?

Si tratta certamente  di una sua scelta che noi genitori semplicemente rispettiamo. Lui ha visto e partecipato a tutti i nostri sforzi e sofferenze che hanno accompagnato la nascita e lo sviluppo di Opera in Piazza. Per un lungo periodo è stato anche in Cina dove, oltre alla lingua, ha maturato tante altre interessanti esperienze. Proprio  a Pechino ha incontrato  il grande tenore Nicola Marinucci, amico del papa’ ,  che parlando di  canto ha dimostrato grande perplessità per il futuro della lirica. Credo che quelle considerazioni abbiano  avuto un’influenza decisiva su di lui.

Ma lei che futuro vede per la lirica italiana?

Temo che solo gli stranieri salveranno la lirica. Chiunque vada all’estero, soprattutto in alcuni Paesi asiatici, può testimoniare con quanto amore la gente s’avvicina alla lirica. E non da oggi. Molti anni fa mio marito andò a cantare nella povera Bulgaria ancora sotto la dittatura. Quando tornò mi disse: “Lì non hanno i soldi per mangiare ma per la cultura sì”. Purtroppo in Italia c’è chi dice che di cultura non si mangia. E allora di che stiamo parlando?  Non si tratta, comunque, solo di un problema economico ma anche culturale. I giovani non vengono educati alla musica classica e alla lirica. Il disinteresse è generale. All’estero ancora si guarda con grandissima ammirazione alla lirica italiana mentre nella Patria di Verdi, Puccini, Rossini, Mascagni e tanti altri, la lirica non è nemmeno più un optional. Chiaramente la crisi, in tutto questo, ha la sua influenza.

Per concludere, la sua manifestazione si richiama al grande tenore Giuseppe Di Stefano. Com’è nato questo legame e come pensa di coltivare il ricordo di uno dei più amati cantanti lirici di tutti i tempi?

L’ultima apparizione pubblica dell’amico Pippo è avvenuta nel 2004 proprio a Oderzo durante un nostro spettacolo. Dopodiché partì con la moglie per il Kenya dove subì in casa una vile aggressione da parte di un gruppo di banditi. Dopo una lunga agonia è spirato nel 2008. Da quel momento abbiamo deciso con la moglie tedesca Monika Curth di promuovere insieme il ricordo di questo grande tenore. A lui, oltre a intitolargli il Festival che dal 2008 si chiama “Opera in Piazza Giuseppe Di Stefano, abbiamo dedicato un mosaico che viene esposto presso l’ingresso principale e dove gli appassionati amano fare una foto ricordo, nonché un busto in bronzo  che viene consegnato ai vincitori del Premio Giuseppe Di Stefano. Tra i premiati l’ex sovrintendente alla Scala di Milano, Carlo Fontana, e Adua Veroni, prima moglie di Luciano Pavarotti, grandissimo personaggio del mondo della lirica. Ad ogni modo, in ogni nostro spettacolo teniamo sempre vivo il ricordo del nostro amato Pippo