Fabio Morbidelli

Gli avvenimenti che hanno sconquassato la vita del prestigioso Teatro dell’Opera di Roma sono ormai di dominio pubblico. In estrema sintesi possiamo ricordare che il caso è esploso quest’estate quando venne dichiarato lo stato di agitazione e lo sciopero improvviso dei musicisti e coristi in occasione della rappresentazione della ‘Bohème’ che venne riproposta al pianoforte per due sere (la seconda a ingresso libero). Un nuovo colpo di scena è avvenuto 21 settembre scorso quando il mitico Direttore d’orchestra Riccardo Muti si è dimesso dal teatro con una lettera di spiegazioni che nella sostanza spiegò quasi nulla. “Non ci sono le condizioni”, scrisse il maestro, “per garantire la serenità necessaria al buon esito delle rappresentazioni”.

 

Forti di questa lettera, il Sindaco di Roma Ignazio Marino, in accordo con il sovrintendente Carlo Fuortes, licenziarono in blocco 182 artisti, tra corali e orchestrali (il provvedimento diventerà esecutivo a partire dal 1 gennaio del 2015). A loro venne, in compenso, offerta la possibilità di tornare a lavorare al ‘Costanzi’ (com’è conosciuto il Teatro dell’Opera di Roma) ma con contratti da esterni e a tempo determinato. Per il Sindaco, l’alternativa sarebbe la chiusura, visto che c’è un buco di bilancio di quasi 30 milioni di euro. In sostanza questo resterebbe l’unico modo per salvare il lavoro degli altri 280 dipendenti, tra amministrativi e dirigenti. Una decisione che in un primo momento riscosse un largo consenso tra la gente, alimentato anche da una campagna di stampa che in molti casi descrisse i musicisti e coristi di Roma come dei privilegiati incuranti della crisi economica generale. Ma è veramente così?

 

Per saperlo abbiamo interpellato il maestro Fabio Morbidelli (‘controfagotto’ con obbligo del ‘fagotto’), sposato , oggi disoccupato.

 

Lei si sente un privilegiato?

 

Io sono entrato nel 1992 al Teatro dell’Opera di Roma vincendo un durissimo concorso internazionale. Noi guadagniamo circa 2000 euro al mese che comprendono, come ‘voci interne’ alla retribuzione indicata, alcune indennità per vestiti, strumenti, mensa. Personalmente utilizzo per lavorare circa 70.000 euro di strumenti che ho acquistato a mie spese. Conduco una vita normalissima. Oggi, all’età di cinquant’anni, mi trovo da un giorno all’altro per strada e con una moglie incinta. Mi dica lei se sono un privilegiato. La verità è che siamo solo un vaso di coccio tra vasi di ferro, che sono i poteri politici e anche una certa stampa allineata su posizioni governative.

 

Allora cerchiamo di analizzare alcuni di questi ‘presunti’ privilegi. E’ vero che il vostro contratto prevede solo 28 ore lavorative settimanali? Obiettivamente non le sembrano un po’ pochine?

 

Ecco questa è una delle tante mistificazioni. In aggiunta alle ore retribuite ci sono tutte le ore che ognuno di noi deve assolutamente passare per studiare le parti a casa e per mantenersi in esercizio. Mi creda, se si vuole fare seriamente questo lavoro, l’impegno dedicato allo studio è notevole. E’ così in tutte le orchestre importanti del mondo.

 

Comunque ha fatto un certo effetto sapere che per una tournée in Giappone avete preteso 190 euro al giorno per pranzo e cena. Non le sembra esagerato?

 

Preteso? Posso assicurare sulla parola che non abbiamo preteso proprio nulla. E’ stata l’Amministrazione del teatro, allora gestita da Catello De Martino, a farci questa proposta. Ci dispiace tantissimo che questa mistificazione venga oggi usata strumentalmente contro di noi. Tanto è vero che quando si è prospettata la trasferta a Salisburgo con una diaria molto inferiore nessuno ha protestato.

 

Comunque, il buco nel bilancio c’è, ed è consistente. Voi avete avuto in passato contributi dal Comune di Roma per 20 milioni di Euro mentre il teatro di Milano ne ha ricevuto solo 7. Per un Comune con le finanze disastrate come Roma è un impegno insostenibile. Non crede?

 

Innanzitutto, la causa di questo buco non siamo certamente noi che guadagniamo sicuramente molto meno dei colleghi di analoghe istituzioni europee. Tutti i teatri italiani, noi compresi, ricevono un finanziamento per legge dal Fondo Unico dello Spettacolo. Purtroppo, a differenza degli altri,  il nostro bilancio ha una forte componente che dipende dal finanziamento comunale che ‘non è per legge’ e che quindi ci rende assolutamente dipendenti da semplici ‘delibere’ del Sindaco e che ha quindi su di noi potere di ‘vita o di morte’. In ogni caso, ripeto, non siamo certamente noi la causa del buco di bilancio.

 

Però molti sostengono che l’esternalizzazione è un modo moderno ed economico di gestire i teatri.

 

Lo sostiene chi non capisce o non vuol capire come lavora un’orchestra o un coro. Per raggiungere certi livelli occorre stabilità e amalgama, fattori che si raggiungono solo dopo tanti anni di prove fatte insieme. Non a caso tutti i ‘grandi teatri’ hanno delle orchestre e cori stabili.

 

Tuttavia gli altri teatri hanno una programmazione molto più lunga e questo forse giustifica l’esistenza di orchestre stabili.

 

Ma non siamo mica noi che scegliamo la programmazione, le opere, i balletti, gli allestimenti, il numero delle repliche, ecc. ecc. Detto ciò affermo con decisione che con l’attuale contratto potremmo eseguire, senza un euro di straordinario, molti più spettacoli… forse anche quattro volte di più. Anzi, lo auspico. In ogni caso, se non si fanno più recite e repliche la cosa non dipende da noi.

 

Cosa risponde a chi sostiene che le orchestre stabili impediscono il ricambio delle giovani generazioni.

 

Che non è assolutamente vero. Negli ultimi anni per volontà del maestro Muti sono stati fatti concorsi internazionali severissimi (con la presenza del Maestro in commissione) che hanno consentito l’assunzione di circa 20 nuovi giovani. Oggi, a poche mesi dall’assunzione, sono tutti licenziati.

 

A proposito, come giudica la lettera di dimissioni di Muti?

 

Anche qui vorrei precisare che, a differenza di quanto è stato scritto dagli organi di stampa, abbiamo sempre avuto un ottimo rapporto con il Maestro Muti che pubblicamente, fino a poche settimane fa, ci ha sempre definito come una delle orchestre e coro migliori al mondo. A nostro avviso Muti è andata via semplicemente perché il teatro, per ragioni finanziarie, non era in grado di offrire quello che Muti desiderava e auspicava: cioè, quello di fare del Teatro dell’Opera di Roma uno dei migliori del mondo. L’unico rammarico è che il Maestro non sia stato molto chiaro nella sua lettera alimentando, in questo modo, alcune maliziose interpretazioni.

 

Torniamo all’esternalizzazione. L’idea di creare un consorzio per lavorare da esterno con il teatro non vi piace proprio?

 

Ritengo che sia una strada impraticabile. Basti ricordare cos’è avvenuto recentemente con l’Orchestra Sinfonica di Roma. Anche in quel caso si è parlato di costituzione di una cooperativa. Risultato: tutti a spasso. Se a ciò aggiungiamo lo smantellamento del corpo di ballo del Teatro di Roma, ridotto a una decina di elementi stabili, temo che sia imminente lo smantellamento definitivo del teatro o un suo completo declassamento.

 

Resta il fatto che la legge Bray del 2013, nell’istituire un fondo per aiutare le fondazioni lirico-sinfoniche in difficoltà, prevedeva che nel caso che non si fosse raggiunto il pareggio di bilancio scattasse la liquidazione coatta amministrativa. Il Teatro dell’Opera di Roma ha fatto ricorso a questo fondo sulla base di un piano industriale approvato dai sindacati. Quindi conoscevate il rischio che stavate correndo.

 

E’ vero, il piano industriale è stato approvato da alcuni sindacati e non da altri. Comunque era un piano generico che non parlava di livelli occupazionali. Si è trattato, in sostanza, di un accordo quasi in bianco. Davanti al rifiuto di presentare un piano dettagliato, come avvenuto in altri teatri, sono cominciate le agitazioni che hanno portato allo sciopero per le rappresentazioni della Bohéme. In ogni caso la legge Bray non prevede nel percorso di risanamento il licenziamento delle componenti artistiche. Il teatro ha aderito alla legge Bray, ma non la rispetta.

 

Però deve ammettere che almeno sul piano dell’immagine questo sciopero è stato un errore, che vi ha messo contro una parte dell’opinione pubblica.

 

Se è stato un errore non lo so. Faccio, comunque, notare che lo sciopero è stato comunicato al pubblico solo la sera della rappresentazione, nonostante fosse stato annunciato nei termini corretti di legge.

 

Ma se l’esternalizzazione e costituzione di una cooperativa non va bene che soluzione proponete?

 

Premesso che non siamo assolutamente dei privilegiati e che ci rendiamo perfettamente conto della difficile realtà vissuta da Roma e dall’intero Paese, siamo più che disponibili a fare dei sacrifici e a cercare una soluzione accettabile per tutti. Personalmente ritengo che questi problemi non si possano risolvere con la ‘pistola puntata’ del licenziamento. Licenziare tutto il coro e l’orchestra, che sono il cuore della produzione. non è solo un assurdo giuridico, che difficilmente troverà accoglienza nelle aule dei tribunali, ma anche assurdo dal punto di vista etico. Detto in parole povere, è nell’interesse di tutti trovare una soluzione che da un lato preveda il ritiro dei licenziamenti collettivi e dall’altro la disponibilità di tutti quelli che lavorano in teatro, dirigenti compresi, a elaborare un vero piano di risanamento efficace e duraturo. Questo se non vogliamo avere a Roma, capitale mondiale del Paese della lirica, un teatro di serie B.