“Apparentemente tutti si sono tranquillizzati. Si è riusciti a evitare il licenziamento in blocco di coro e orchestra. E’ stato firmato un accordo pieno di buoni propositi sul piano manageriale e di risanamento dei conti. La verità è che non dobbiamo essere per nulla sereni. Basti ricordare che la legge Bray prevede, tra le altre cose, il pareggio di bilancio delle fondazioni lirico sinfoniche entro due anni. E se non si raggiungera’ questo risultato, alla fine del 2016 il Teatro dell’Opera di Roma rischia il commissariamento e quindi anche la liquidazione coatta”. A parlare è Denise Lupi, scenografa realizzatrice del Teatro, nonché rappresentante sindacale del Libersind – Confsal.

 

Signora Lupi, lei è stata una delle firmatarie dell’accordo sindacale del 17 novembre scorso. Ora che fa, lo rimette in discussione?

 

Assolutamente no. Vorrei solo che non allentassimo l’attenzione. Abbiamo semplicemente evitato in extremis un disastro ma il pericolo è sempre dietro l’angolo. Senza il rispetto rigoroso dell’accordo ritengo che sia molto arduo ottenere  nell’arco di due anni il risanamento e il ripianamento dell’assurdo debito accumulato, che ammonta a circa di 28 milioni di euro.

 

Una parte di questo debito accumulato lo si deve anche alle scenografie e costumi. Quindi siete direttamente chiamati in causa. 

 

Qui va chiarito subito un punto fondamentale. Le scenografie sono diventate così costose perché, nelľ ultimo decennio, si è fatto largo ricorso a scene tutte costruite, molto pesanti, le cui strutture sono necesssariamente realizzate in ferro (da società esterne), con un costo che può arrivare a sfiorare anche i 350 mila euro ad allestimento (a seconda del progetto), piuttosto che realizzare tutto nei nostri Laboratori di Scenografia e Falegnameria, con dipinti su tela o costruzioni in legno che possono costare, incluso tutto, al massimo 60 mila euro. Questa è una scelta che non dipende certamente da noi scenografi.

 

Però, c’è chi sostiene che oggi tutti i grandi teatri del mondo fanno ricorso a scenografie spettacolari.

 

Ma perché lei crede che non si possono fare delle splendide scenografie dipinte? Lo chieda a tutti gli scenografi che progettano con budget limitati, o guardi i bozzetti storici conservati nell’archivio del Teatro dell’Opera di Roma per capire che si possono progettare spettacoli bellissimi, atmosfere meravigliose, grandi spazi prospettici senza ricorrere necessariamente a strutture elefantiache o a utilizzare costruzioni che pesano tonnellate, che a volte possono essere molto pericolose nel montaggio e nello smontaggio e che, occupando tutto il palcoscenico, bloccano ogni possibilità di allestire contemporaneamente altri spettacoli (e che oltretutto hanno un elevatissimo costo di trasporto e immagazzinamento). Io stessa, che sono qui dalľ 85, ho partecipato alla realizzazione di innumerevoli bellissimi spettacoli quasi esclusivamente dipinti su tela e solo parzialmente costruiti, ma solo in legno e quindi realizzati dai nostri Laboratori.

 

La verità è che stiamo mortificando una delle più grandi capacità artistiche italiane che ha le sua fondamenta nelľ invenzione della scena alľ italiana nel rinascimento, che si fonda sulla pittura nella quale siamo maestri. La scuola di scenografia italiana è invidiata in tutto il mondo e a Roma siamo riusciti fino a ora a conservare un Laboratorio di Produzione con grandi professionisti.

 

Ma se è così, perché si è optato per delle soluzioni così costose, soprattutto in un momento di crisi?

 

Forse perché si è cercato di accontentare certe ambizioni di registi e scenografi o direttori preoccupati solo di mettere la propria firma su grandi lavori realizzati con le costruzioni. Non si è cercato di invitarli a inventare progetti diversi e più sostenibili. Tutto ciò senza contare sul fatto che le esternalizzazioni, come sappiamo tutti, possono soddisfare meglio tanti appetiti.

 

In altri termini, lei teme che anche il Teatro delľ Opera possa essere coinvolto nel grande scandalo che in questo momento travolge le massime istituzioni della Capitale?

 

Beh, mi auguro che cosi’ non sia, anche se in molti casi sono state assunte delle decisioni a dir poco discutibili e che hanno portato al disastro finanziario del teatro. D i tutto ciò qualcuno dovrà pur pagare il conto, o no? Per ora gli unici a vedersi ridotti lo stipendio e quindi a contribuire concretamente al risanamento sono i dipendenti che non hanno avuto alcune responsabilità in queste scelte.

 

Ne è proprio sicura? Perché non avete protestato e scioperato quando queste scelte sono state intraprese?

 

Perché ci dicevano che i conti erano a posto, che il teatro poteva permettersi certe scelte. Per quanto riguarda il mio settore, in tutti questi anni sono rimaste inascoltate le proposte del nostro e degli altri sindacati di ridurre le spese di allestimento e di ritornare quanto più possibile alle scene dipinte, al repertorio e alľ alternanza degli spettacoli (che è il metodo più semplice di aprire il sipario almeno quattro volte alla settimana). Si sono voluti perseguire obiettivi diversi. Ed è proprio per questo che invito tutti a non accontentarsi dell’accordo firmato ma di seguire passo dopo passo l’evolversi della situazione, per non ritrovarci fra due anni nelle stesse condizioni, o forse ancora peggio. Dobbiamo stare molto attenti affinché tutte le promesse e i buoni propositi vengano mantenuti.

 

Per quanta riguarda il suo settore specifico, la scenografia, cosa s’aspetta?

 

Che s’intraprenda un percorso di economia sostenibile per i teatri, che si valorizzino le maestranze interne che sono di altissimo profilo professionale, che si utilizzi l’enorme quantita’ di materiale conservato nei magazzini, parliamo di migliaia di scenografie e costumi sottoposti alla naturale usura del tempo, che tutto quello inutilizzato da noi venga dato in affitto, prestato o donato ai teatri più piccoli a rischio chiusura, che per gli allestimenti tutti costruiti e più impegnativi si faccia un esclusivo ricorso alle cooproduzioni in modo da ammortizzare le spese facendo girare lo spettacolo su molti teatri.

 

Inoltre, che si aumenti notevolmente il numero di spettacoli ricorrendo alľalternanza degli spettacoli (riproponendo il repertorio) con scenografie leggere, soprattutto dipinte che, grazie ai 64 tiri esistenti all’opera di Roma, si possono allestire contemporaneamente (a differenza di ciò che avviene con le strutture pesanti per le quali si fanno normalmente solo poche repliche), che ci sia una programmazione almeno triennale che consenta di realizzare gli allestimenti con il necessario anticipo sia sul piano qualitativo che occupazionale, che si lavori alla creazione di un Museo dei Costumi Storici e Arredi/Oggetti d’Opera visitabile a pagamento, che si crei una Scuola di Pittura di Scenografia alľ Italiana in modo che non vada perduto un enorme patrimonio di conoscenze in grado di dare lavoro a molti giovani, sia in Italia che all’estero. Sarà compito nostro fare in modo che tutto ciò non rimanga lettera morta.

 

 Denise Lupi

Nota: le precedenti interviste sul Teatro dellì’Opera di Roma sono state fatte a:

Fabio Morbidelli (http://puntocontinenti.it/?p=6419) – Orchestra

Franco Melis (http://puntocontinenti.it/?p=6588 ) – Coro

Alessandro Tiburzi (http://puntocontinenti.it/?p=6662) – Balletto