Nato a Catania nel 1941, Beppe Costa (pseudonimo di Concetto Costa) viene considerato uno dei più eclettici e impegnati personaggi della cultura italiana. Infatti, oltre ad essere un poeta e scrittore, ha maturato una lunga esperienza anche come editore e libraio. Dopo aver fondato nel 1976 la casa editrice Pellicanolibri, nel 1992, a seguito della chiusura della casa editrice ha inaugurato a Roma una libreria con lo stesso nome, diventata col tempo un preciso punto di riferimento e dibattito, nonostante abbia la sede all’estrema periferia dell città.

 

Tra i suoi libri di maggiore successo possiamo citare Romanzo siciliano. Ha collaborato con diversi giornali siciliani intervistando grandi personaggi della cultura mondiale come Alberto Moravia e Leopold Sedar Senghor. Vincitore di molti prestigiosi premi, Costa ha mantenuto nel corso degli anni numerose amicizie, tra cui Dario Bellezza, Enzo Janacci, Leo Ferré, Mario Salis. Con quest’ultimo ha collaborato anche all’edizione italiana del Teranova Festival. Nel 2014 una sua antologia di poesie è stata tradotta e pubblicata in Israele in lingua ebraica, israeliana e inglese, in occasione della 15ª edizione del Nissan Festival. In quella circostanza è stato premiato per la poesia e per l’impegno alla diffusione della stessa. A fine maggio dello stesso anno l’editore Gilgamesh ha pubblicato “La terra (non è) il cielo!”, che è stato presentato nel corso di un breve tour in Lombardia.

 

Sia come editore che come libraio Costa si è sempre distinto nella promozione di artisti schivi, scomodi o emarginati. In questa intervista ha accettato di soffermarsi sul ruolo che la cultura (in  particolare la scuola) può svolgere sul piano della rinascita di un nuovo e più equilibrato Stato sociale.

 

Finché è rimasta in vita, quale è stata la filosofia di fondo  che ha animato la casa editrice Pellicanolibri?  

 

Il compito fondamentale, negli anni delle pubblicazioni, era quello di segnalare autori importanti spesso non visti da grandi editori: così abbiamo scoperto Arrabal, Jodorowsky, Vazquez Montalban e tanti altri. Oggi, come Libreria continuiamo nella stessa direzione. Difficile compito perché si scontra con tutto ciò che i grandi mezzi di diffusione impongono a quegli scarsi lettori che il nostro paese ha sempre avuto. Segnalare però è il nostro compito e, malgrado tutto, per una certa parte, riusciamo a consigliare e guidare, tanto che molti entrando ci chiedono (come davanti al banco di una macelleria): “cosa mi da oggi?” Così nel nostro quartiere riusciamo a diffondere anche libri altrove impensabili.

 

La casa editrice nasce a Catania, poi si è trasferita a Roma diventando in seguito una libreria della periferia di Roma condotta da suo figlio Dante. Cosa resta di questo percorso?

 

Naturalmente mi sono trovato a disagio cercando di fare cultura sia in Sicilia che a Roma. Ho dovuto smettere di fare l’editore e, quando abbiamo avuto la certezza di potercela fare, almeno con la libreria, Dante, mio figlio che, in mezzo ai libri è cresciuto più di me, ne ha preso le redini. Il risultato è stato vincente. Io forse avrei desistito questa lunga battaglia contro l’ignoranza ovvero la mia pretesa che tutti potessero notare ciò che facevo.

 

Alcuni miei cari amici non ci sono più come Dario Bellezza, Alberto Moravia, Goliarda Sapienza, Arnoldo Foà, Léo Ferré, altri che sono in vita, fra scrittori, poeti e musicisti, sono per me motivo di orgoglio perché apprezzano ciò che faccio e così anche per loro continuo a programmare degli incontri. Il quartiere è un po’ sordo a simili eventi mentre per i tanti che arrivano da più lontano, Roma e altre regioni, si tratta di esperienze uniche; così le definiscono.

 

All’inizio del suo mandato il Presidente del Consiglio Matteo Renzi aveva messo l’accento sull’importanza fondamentale della scuola, dell’istruzione e della formazione professionale. Secondo lei riuscirà il Governo a mettere in pratica questo buon proposito?

 

Da molti anni la scuola crolla sia nei programmi che nelle strutture! Non si investe e le uniche novità evidenti sono state le riduzioni di ore di latino e di italiano a vantaggio della matematica (denaro, economia) e l’eliminazione dell’arte, l’assenza della musica e di una materia presente in tutti i paesi: la poesia. Non quella da imparare a memoria, ma scuola di vita e pensiero. Renzi farà ancora peggio. Quindi la quasi sparizione dei licei classici e scientifici diventati un miscuglio di altri indirizzi.

 

Lei ritiene giusto che una priorità assoluta per cambiare la società sia quella di prevedere una scuola pubblica gratuita a tutti i livelli, dalle elementari all’Università, lasciando poi al mercato il compito di selezionare i più meritevoli?

 

In questo caso, abbiamo una tradizione, mentre in tutta Europa e negli USA a scuola si paga tutto e solo una minima parte è assistita economicamente dallo Stato. Ma qui da noi sono stati fatti diversi tentativi, anche con i buoni libro, ma nel paese di furbetti e carte false alla fine ne usufruiscono i più abbienti. I poveri, per tradizione, non sanno imbrogliare troppo le carte. Sarebbe un sogno, come in qualche paese del nord Europa che, dalla nascita alla laurea, la spesa è a carico totale dello Stato. Ma in quei paesi le tasse le pagano tutti.

 

In che misura le nuove tecnologie, dai tablet alle video conferenze potranno agevolare l’introduzione di un nuovo sistema scolastico molto più accessibile ai figli della parte più povera della popolazione?

 

In generale i mezzi elettronici sarebbero ben più utili se fossero indicati ‘anche’ come strumento aggiunto di informazione e documentazione, non un mero regalo di natale o mezzo per controllare i propri figli. Quindi, torniamo nuovamente alla scuola che dovrebbe non solo avere questi strumenti per sé, ma che dovrebbe informare sull’uso corretto e sulle grandi potenziali di apprendimento che essi potrebbero avere. Oltre naturalmente a essere anche strumento di svago.

 

Purtroppo, poi, nel particolare abbiamo una popolazione che abbandona la scuola, in molte zone anche per l’impossibilità di mantenere i propri figli allo studio. Non abituati al libro di ogni genere non immagino che possa diventare strumento di apprendimento aggiuntivo. Semmai peggiorare e degradare quel minimo di sapere appreso in qualche modo nei primi anni di scuola.

 

Lei condivide l’idea che occorre potenziare notevolmente l’educazione civica nelle scuole, trasformandola in una vera e propria materia di studio (soggetta anche a bocciature) per modificare sensibilmente e positivamente i rapporti sociali?

 

Forse fino a 20 anni fa anche la televisione tendeva a pubblicizzare le buone maniere e l’educazione, oggi contribuisce all’opposto, partendo dai linguaggi dei politici e di quasi tutti i programmi di intrattenimento. La volgarità e l’assenza di un minimo di educazione imperano. In effetti come materia esiste ancora in alcuni tipi di istituti, demandata a volte al professore di storia ma quasi mai viene insegnata. La cosa più banale è che i giovani non fanno differenza fra il Presidente della Repubblica e quello del Consiglio talvolta confuso anche con un presidente di squadra di calcio che, a proposito, sembra l’unica materia di cui siano informati gli italiani, giovani o adulti che siano.

 

Lei ritiene possibile e giusto tentare di ricostruire in Italia un Nuovo Stato Sociale da estendere poi all’Europa?

 

Forse sarebbe il caso di imitare qualche paese europeo come la Svezia o la Norvegia che attribuiscono a entrambi i genitori la possibilità di educare i figli, assentandosi dal lavoro senza perdere lo stipendio per sei mesi ciascuno, a turno; ritenendo, come avviene da noi, che la sola scuola non sia sufficiente.

 

Occorre avere delle Università e scuole a tempo pieno. Naturalmente in Inghilterra tutto questo si paga e molto, poco più a nord invece si dà la possibilità a tutti di istruirsi e se poi, viene ritenuto poco adatto, l’elemento verrà indirizzato verso un lavoro che possa essergli più congeniale. Tutto questo nel nostro paese è impossibile, per mancanza di onestà e per il degrado, che da anni ha preso il sopravvento. Così come sperare di avere un lavoro senza alcuna raccomandazione.