Sono 276 pagine ricche di notizie, grafici e dati statistici sulle partecipazioni delle aziende italiane all’estero e su quelle estere in Italia. Parliamo del volume ‘Italia Multinazionale 2014 curato dai professori Sergio Mariotti del Politecnico di Milano e Marco Mutinelli dell’Università di Brescia (editore Rubbettino, costo 24 euro), presentato all’ICE, l’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane. Al Seminario ha partecipato anche Sandro De Poli, Presidente e AD di General Electric Italia.

 

Nell’edizione di quest’anno dello studio è stata inserita un’ampia riflessione sulla capacità dell’Italia di attrarre le multinazionali estere e sui fattori attraverso cui passa il recupero di competitività del Paese. Non mancano poi alcune lineee guida per l’implementazione di una ‘politica specifica’ di attrazione, con riguardo sia al campo d’azione in cui si collocano i possibili interventi, sia alle leve strategiche da utilizzare.

 

Purtroppo, come ha rilevato il Presidente dell’Ice Riccardo Maria Monti, sul piano dell’internazionalizzazione l’Italia ancora deve compiere diversi passi molto significativi. “Nonostante”, si legge nel rapporto, “una ripresa dei flussi di IDE (Investimento diretto estero, ndr.) in uscita e in entrata nel 2013, il grado di internazionalizzazione, sia attiva che passiva del Paese continua a essere significativamente inferiore a quello dei suoi maggiori partner europei. Secondo gli ultimi dati disponibili (UNCTAD 2014), nel 2013 il rapporto percentuale tra lo stock degli IDE in uscita e il prodotto interno lordo era pari per l’Italia al 28,9 %, valore inferiore a quello della Germania (47%) e Spagna (47,3%), nonché alla media dell’intera Europa (47,1%)”.

 

Prosegue il rapporto: “Anche sul lato degli investimenti dall’estero la posizione dell’Italia è modesta, come riflesso della persistente bassa attrattività internazionale del Paese. Il rapporto tra lo strock dell’IDE in entrata e il Pil (19,5% nel 2013) rimane significativamente inferiore alle medie mondiali (34,3%), europea (36,4%) e UE-27 (49,4%), nonché a quello dei principali competitors europei (Regno Unito, 63,3%), Spagna (52,7%), Francia (39,5%), Germania (23,4%)”. Conseguenza: la quota dell’Italia è scesa da una media del 3,5% del totale mondiale nel periodo precrisi al 2,1% del periodo più recente.

 

Per fortuna non mancano anche i dati positivi. Ad esempio, accanto alla buona tenuta all’estero delle grandi imprese aumenta la presenza italiana in Nord America e cresce il coinvolgimento delle nostre piccole imprese nei processi di internazionalizzazione produttiva. In ogni caso rendere l’Italia più attrattiva per gli investitori esteri rimane sempre uno dei grandi obiettivi da raggiungere e chiesto con insistenza dal  mondo delle imprese alla politica.