I primi due decenni del XXI secolo hanno visto accendere in varie parti del mondo una serie di focolai e rivolte popolari intese a modificare radicalmente le condizioni sociali e politiche di diversi Paesi. Ad esempio, nell’ex Unione Sovietica abbiamo assistito alle cosiddette Rivoluzioni colorate: parliamo, quindi, della rivoluzione dei Bulldozer (Serbia 2000); la rivoluzione delle Rose (Georgia 2003); la rivoluzione Arancione (Ucraina 2004); la rivoluzione dei Tulipani (Kirghizstan 2005).

 

Oltre a queste quattro rivoluzioni vi sono stati altri tentativi rivoluzionari che però sono abortiti sul nascere: in Azerbaijan (2005), in Mongolia (2005) e soprattutto in Bielorussia con il movimento Zubr e la cosiddetta ‘Rivoluzione dei Jeans’. Attualmente assistiamo al drammatico e pericoloso confronto nell’est ucraino, con una forte contrapposizione tra l’Europa e gli Stati Uniti da una parte e la Russia dall’altra. In Europa, soprattutto a seguito della crisi economica del   2007 – 2008, hanno preso corpo diverse aspirazioni secessionistiche che hanno portato, tra l’altro, al referendum sull’indipendenza della Scozia e ai tentativi separatisti della Catalogna e dei Paesi Baschi.

 

Si è cercato, in sostanza, di ripetere ciò che era avvenuto nel 1993 nella ex Cecoslovacchia la quale pacificamente riuscì a dividersi in Repubblica Ceca e Slovacchia. Attualmente sul tappeto c’è il dramma Grecia, Paese che si trova ai limiti del collasso economico e non solo per colpe proprie. Da non sottovalutare poi la progressiva disaffezione di molti cittadini per l’Unione Europea, nonché la volontà di abbandonare l’Euro. Scelte che rappresenterebbe la fine di un grande sogno nato sulle ceneri di due tremende guerre mondiali.

 

Anche in Africa e Asia si sono verificate diverse sommosse, catalogate in parte come la primavera araba e che hanno coinvolto numerosi Paesi tra cui la Siria, la Libia, l’Egitto, la Tunisia, lo Yemen, l’Algeria, l’Iraq, il Bahrein, la Giordania e Gibuti, mentre ci sono stati moti minori in Mauritania, Arabia Saudita, Oman, Sudan, Somalia, Marocco e Kuwait. In questo contesto è esploso il fanatismo ed estremismo religioso, di cui l’Isis è solo una delle espressioni più drammatiche, pericolose e irrazionali.

 

In America Latina nel corso degli ultimi anni si è assistito a una grande svolta ideologica ed economica con il tentativo di un consistente gruppo di Paesi (Venezuela, Bolivia, Ecuador, Brasile, Argentina, Uruguay, Nicaragua e altri) di affrancarsi dalle rigide regole del Fondo Monetario Internazionale e dal dominio delle grandi imprese multinazionali che in molti casi rendevano quasi impossibile ogni sviluppo in chiave sociale. Questa svolta è stata anche presentata come un tentativo di creare il nuovo socialismo del XXI secolo.

 

La maggior parte di questi sommovimenti (molti dei quali fomentati e pilotati da Paesi esteri), alla fine si è rivelata fallimentare, anche se ha fatto cadere diverse teste di dittatori e tiranni. Quest’instabilità generale ha facilitato il diffondersi del terrorismo internazionale e alimentato la conflittualità con la parte più radicale del mondo musulmano, a testimonianza di una cattiva gestione dello stato di sofferenza patita dalla componente più povera della popolazione.

 

Del resto, il passaggio da una pacifica protesta a una rivolta violenta è quasi sempre il frutto di una miopia e incapacità delle forze politiche a intervenire in tempo, onde evitare di portare i cittadini alla disperazione.

 

Purtroppo, in questa difficile fase storica moltissima gente, anche in Italia, si è venuta a trovare, da un momento all’altro, in gravissime condizioni sociali ed economiche. Quindi, se si vuole evitare di correre il rischio di innescare una reazione violenta e incontrollata occorre procedere subito sulla strada di una grande ‘rivoluzione pacifica’.

 

Una rivoluzione basata su due pilastri fondamentali: l’attivazione di un profondo e radicale cambiamento di mentalità (con il conseguente recupero di una serie di valori perduti) e la costruzione di un Nuovo Stato Sociale capace di soddisfare le esigenze più elementari della popolazione. Sono due pilastri strettamente collegati. Senza un profondo cambio di mentalità, senza una diffusa sensibilità nei riguardi delle cose essenziali della vita, diventa quasi impossibile creare un Nuovo Stato Sociale. E se non risolviamo i problemi della parte più debole della popolazione sarà anche molto difficile tenere in piedi senza forti scossoni l’intera architettura dello Stato. Non ci può essere, infatti, un benessere duraturo basato sulla sofferenza altrui.

 

Ma chi può compiere questa rivoluzione tanto radicale quanto pacifica?

 

Tutti coloro che hanno una particolare sensibilità verso i problemi di giustizia sociale, che credono nella forza della persuasione, che amano Gandhi e la resistenza passiva, che non giustificano in nessun modo la violenza che può solo generare altra violenza, che antepongono a tutto sentimenti apparentemente semplici ma determinanti, come l’amicizia, la lealtà, l’amore e il rispetto per il prossimo.

 

Queste persone si trovano in tutti gli ordini sociali, in tutte le culture e in tutte confessioni religiose. Si tratta di unire queste persone in nome di un ideale superiore che potremmo anche chiamare socialista. Ciò significa usare il termine socialismo nella sua concezione più nobile, che non ha nulla a che vedere con chi in passato ha usato il pensiero socialista per fini ignobili e personalistici.

 

Nella sua visione più ampia il socialismo non è il frutto solo dei grandi pensatori dell’ottocento ma trova le sue radici spirituali e filosofiche nell’antica Grecia, nel cristianesimo, in tutti coloro che sotto diverse bandiere e nel corso dei secoli hanno lottato e dato anche la vita per una società migliore e più giusta.

 

 Rainero Schembri, giornalista

 

Nota: In precedenza è stato pubblicato:

(1) UN IMPEGNO ORMAI IMPROROGABILE –  http://puntocontinenti.it/?p=7462

 

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