Inutile girarci intorno: il problema dell’immigrazione è destinato a diventare il problema del secolo, in grado di condizionare ogni impostazione e progetto politico, tra cui quello di creare un Nuovo Stato Sociale. Premesso che nessuno ha la ricetta magica per trovare una soluzione soddisfacente e realistica, la cosa più seria, in questa fase di confusione generale, solo può essere quella di alimentare un grande dibattito aperto alle più svariate posizioni e ai più diversi orientamenti politici. Un dibattito che abbiamo deciso con Francesco De Palogiornalista, scrittore e ghostwriter. Oltre ad essere Direttore del mensile Prima di tutto Italiani e fondatore  del magazine Mondogreco, collabora con Il Fatto Quotidiano, Il Giornale, Osservatorio Balcani e Caucaso, Il Calendario del Popolo. Ma De Palo è soprattutto uno dei maggiori esperti della Grecia, un Paese che alla pari dell’Italia, sta affrontando una drammatica situazione lungo i suoi confini con la Turchia. Ma ecco cosa ha dichiarato a Punto Continenti.

Oggi si parla molto del problema dell’immigrazione in Europa pensando alla Libia, al Mediterraneo e all’Italia. E’ vero che esiste un problema molto più grave ai confini tra la Grecia e la Turchia? Ce lo può descrivere?

Sulle coste turche ci sono almeno un milione di migranti pronti a raggiungere l’Europa. Sono frontiere altamente permeabili e la guardia costiera ellenica, da sola, può fare poco. Alcuni di loro già usano rotte alternative al canale di Sicilia. Una di esse è quella balcanica: si muovono di notte come carovane di uomini e donne lungo le ferrovie attraversando tutta la Grecia verso Fyrom e solcando i Balcani, con destinazione Germania e Svezia. Di giorno dormono nei boschi o in vecchie fabbriche. Il fenomeno, ignorato dai grandi media, è stato attenzionato solo da Medici Senza Frontiere che vi ha dedicato un apposito piano di sostegno. Non chiedono la carta di identità di questi disperati, ma offrono loro acqua, cibo e medicinali. Sono loro il nuovo propellente umano per la malavita in cerca di business alternativi a cui l’Ue non fa neanche il solletico.

Come la Grecia sta cercando di risolvere questo problema?

Non può farlo, semplicemente perché è presa dalla trattativa con i creditori internazionali. E perché registra un più 300% di immigrazione clandestina in molte isole dove, a causa della crisi, non ci sono neanche più i presìdi medici essenziali e dove la guardia costiera non sa quale emergenza affrontare per prima. Secondo alcuni testimoni vi sarebbero, a nord, delle isole usate come cimitero di immigrati. Alcuni operatori delle forze dell’ordine non ricevono lo stipendio, non hanno mezzi e nessuna certezza sul proprio futuro, pur rischiando la vita ogni notte. Una contingenza che va solo a vantaggio dei mercanti di uomini che continuano a fare affari d’oro. Ricordo che a dicembre scorso, quando andò a fuoco il traghetto Norman Atlantic a largo di Corfù, poche ore dopo venne abbandonato dagli scafisti un cargo con centinaia di clandestini a bordo. I furfanti scapparono solo perché in quel fazzoletto di mare si erano concentrati i mezzi navali di soccorso e, in un modo o nell’altro, sarebbero stati scoperti anche loro. Provenivano dalla Turchia e stranamente fino a quel momento nessuno li aveva intercettati. Assurdo.

Come valuta la decisione della Grecia di chiudere tutti i CIE (Centri d’identificazione ed espulsione) e di alzare un muro sui confini con la Turchia?
I confini tra Turchia e Bulgaria e quelli tra Turchia e Grecia sono i più permeabili d’Europa anche grazie ad un sostanziale immobilismo diffuso. La Grecia non ha alzato un muro, ma una recinzione sul confine turco, anche per via del disinteresse turco verso questi flussi: in questo modo il traffico di rifugiati (siriani, afghani, iraqeni) si è spostato verso la Bulgaria. Recentemente è stata la Bulgaria ad erigere a sua volta una recinzione sul confine con la Turchia, come scritto un mese fa dal New York Times, mentre i media italiani si occupavano solo dell’italicum. Antropologicamente non mi piace l’idea del muro, preferisco quella dei ponti. Ma prendo atto che oggi l’agorà di un’Europa aperta non è sostenibile da queste istituzioni: impreparate, arruffone e in perenne ritardo rispetto a fatti, come la massiccia emigrazione, che si sono già verificati e incanalati verso una strutturazione uniforme.
Quanto alla decisione greca di voler chiudere i CIE, ricordo che i lager sono un’immagine devastante, anche se quando gli emigranti italiani un secolo fa arrivavano ad Ellis Island trovavano ad accoglierli un sistema efficiente di identificazione e di quarantena. Che nessuno si è mai sognato di etichettare come razzista.

Secondo lei, concretamente, come andrebbe affrontata la questione?

Se l’Europa avesse una politica comune di difesa e sicurezza un pezzo di strada sarebbe già stata percorsa, invece si cerca sempre una soluzione affannosa quando i buoi sono già scappati. Il nodo non è Mare Nostrum o Triton, non serve solo affrontare la contingenza con uomini, mezzi e risorse. Piuttosto va ripensata la strategia europea verso un Mediterraneo costantemente ignorato. Questi flussi sono il frutto della vacatio politica, di macroscopici errori di gestione delle primavere arabe, della guerra in Afghanistan e in Iraq, del caso siriano. E la Libia è ancora in attesa di esplodere completamente se si continuerà ad affidare ruoli sensibili a rispettabilissimi burocrati, come l’inviato dell’ONU Bernardino Leon, che però non conoscono a fondo il problema. E fino ad oggi non hanno contribuito a risolverlo, come dimostra il piano ad hoc respinto dalle tribù libiche che scorazzano nel post Gheddafi.

L’Europa non può chiudere entrambi gli occhi difronte a decisioni geopolitiche e poi scoprirsi inerme quando la conseguenza di quelle scelte si materializza come uno tsunami umano sulle nostre coste. Non è una questione di quote o ripartizioni, ma di strategie per immaginare che Mediterraneo ci sarà nel 2030. L’Italia, nonostante sia un molo naturale messo lì in quel grande lago salato che è il mare nostrum, ha ancora una volta scelto di non scegliere: come un qualsiasi Don Abbondio. Vorrei sapere cosa pensa ad esempio il nostro Premier dell’Isis, del nuovo ruolo “energetico” della Turchia, del binomio Mosca-Pechino, dell’isolamento della Tunisia, della pulizia etnica subìta dai cristiani in Medio Oriente, dei nuovi trattati americani con Ue e Asia e del rapporto con i Brics. Lì si gioca la partita, non altrove.

Come giudica il dibattito che si sta sviluppando in Italia sull’argomento?

Futile, populista e controproducente. Troppo facile e assolutamente pericoloso urlare contro il diverso e mettere da parte senso di responsabilità e lungimiranza politica. Altrettanto semplicistico sarebbe aprire scriteriatamente le frontiere all’universo mondo, come propone demagogicamente la sinistra. Il guaio della politica italiana 2.0 è che pensa solo a quanti mi piace otterrebbe da questa o quella dichiarazione. Mentre, nella vita reale, il peso di questa ecatombe lo pagano in solitario i lampedusani, lasciati soli ad accogliere, chi ci rimette la vita e le centinaia di volontari che svolgono un lavoro esemplare. Il risultato? Non può che essere il lancio delle uova come plastica raffigurazione di un tessuto sociale in necrosi, con nuovi eroi che passano il pomeriggio nei talk show, ed elettori sempre più stanchi di politici lobotomizzati. L’ente europeo preposto al tema, il Frontex, ha sede a Varsavia mentre invece, anche simbolicamente, dovrebbe essere spostato a Lampedusa.

La grave crisi economica che sta attraversando l’Europa ha rimesso sul tappeto la necessità di creare un Nuovo Stato Sociale. Secondo lei è possibile conciliare nei prossimi anni questo obiettivo con l’arrivo di una massa enorme di immigrati?

Un nuovo stato sociale è un obbligo per l’Europa immaginata dai padri fondatori Spinelli, Adenauer, De Gasperi, Schuman ma accanto a doveri per tutti, cittadini e istituzioni. Il problema è che oggi non abbiamo più né quegli statisti né quel continente. Le sfide sono altre: la globalizzazione che ha fatto irruzione in casa nostra senza chiedere il permesso, il ceto medio che si impoverisce e le imprese che chiudono anche per tasse che aumentano ad ogni nuovo esecutivo (rosso o nero che sia), il disinteresse verso il tema dell’Eurasia che invece è preponderante dappertutto, fatta eccezione per l’Italia dove si parla solo di italicum ed elezioni regionali. Il Quantitative Easing realizzato dal numero uno della Bce Mario Draghi, almeno nelle intenzioni, avrebbe voluto essere uno stimolo ma di fatto ha escluso chi sta peggio, come la Grecia. Questa è la solidarietà europea?

Nel 1953 venti stati europei (comprese Italia e Grecia) dissero sì al taglio del debito tedesco, impedendo il default di Berlino e gettando le basi per la successiva riunificazione. Il salario minimo garantito che impera sui media è un’altra soluzione di pancia che non risolve il problema: si accetta mentalmente di pagare qualcuno per non lavorare? L’unica speranza è di riaccendere il motore del mercato, rimettendo in pista una politica industriale seria che, fatta eccezione per la Fiat di Marchionne, per il resto è data per dispersa. Senza prodotti non c’è lavoro, senza lavoro non c’è welfare, senza welfare e senza lavoro non c’è dignità. Il tutto mentre una serie di posizioni lavorative sono misteriosamente carenti perché inoccupate.

Nel 2011 lei ha scritto il racconto ‘Onde-diario di un immigrato’ affrontando la problematica dello ‘ius soli’, cioè, della concessione della cittadinanza legata al luogo di nascita. Qual’è esattamente la sua posizione in merito?

Chi nasce in Italia imparando l’italiano, vi cresce, vi conclude almeno un ciclo di studi è italiano, anche se di padre americano o senegalese. Non lo dico io ma la logica. Credo sarebbe un errore però sia svendere la cittadinanza, tipico atteggiamento del buonismo ideologico che negli ultimi trent’anni ha ammalato l’Italia, sia invocare le ruspe per i campi rom, posto che rimangono una vergogna solo italiana, perché sotto la torre Eiffel non lo permetterebbero neanche gli integralisti dell’accoglienza. La cittadinanza è un diritto ma anche una conquista: si immagini una nuova e moderna commissione che valuti le richieste, pesi l’italianità del richiedente e agisca senza paraocchi ideologici o convenienze politiche, ma semplicemente per il bene dell’Italia e dei possibili nuovi italiani, come la rete G2, cioè, le seconde generazioni. Soprattutto, occorre che della materia se ne occupi gente seria e preparata, non chi per caso si trova nelle mani la delega all’immigrazione per via di equilibri da manuale Cencelli. Così come quando hanno fatto ministro delle riforme un anti italiano che faceva il chirurgo maxillo facciale, che poi ha prodotto – fisiologicamente – il Porcellum.

  Francesco De Palo