Nel momento stesso in cui tutta la grande stampa è concentrata sulla tragedia dell’immigrazione e sulla vergogna dello scandalo Mafia Capitale sta passando quasi in sordina un altro dramma dai risvolti imprevedibili: la chiusura forzata di gran parte delle piccole emittenti radio televisive. Cioè, proprio di quegli organi di stampa che sono più a diretto  contatto con le gente e che meglio riescono a interpretare sul posto gli umori e le esigenze dell’opinione pubblica. In campo a diffendere la libertà di stampa delle emittenze locali è rimasto quasi da solo Antonio Diomede, battagliero presidente della REA, Radio e Televisioni Associate.  Ma sentiamo cosa ha da dire sull’argomento.

 

In un recente comunicato la REA ha parlato di una volontà del governo di rottamare la maggior parte delle piccole e medie radio e televisioni italiane. Come stanno esattamente le cose?

 

Si tratta di un disegno politico che viene da lontano. Addirittura dal 1990 con la legge Mammì che concesse ad un soggetto privato nazionale ben tre frequenze in concorrenza con la RAI e con la piccola e media emittenza locale. La Consulta si accorse di tale abnorme concessione e sentenziò che Rete Quattro dovesse lasciare le frequenze terrestri per trasferirsi sul satellite in modo da lasciare una buona quantità di frequenze libere in nome del pluralismo radiotelevisivo. Quella sentenza è stata ignorata da tutti i governi, destra e sinistra, ed elusa dalla legge Gasparri. La sua mancata attuazione, oggi, comporta che le frequenze disponibili non sono sufficienti per soddisfare tutti e, prime fra tutte, le locali sopportano la conseguenza della rottamazione iniziata dal Governo Berlusconi e confermata dal Governo Renzi.

 

Non le sembra esagerato parlare, come avete fatto nei vostri comunicati, di attentato alle libertà costituzionali?

 

Togliere ad una emittente la frequenza significa impedire il libero esercizio della libertà d’informazione. Nei fatti, sarebbe come chiudere la tipografia di una testata giornalistica

 

Queste chiusure cosa determineranno in termini occupazionali?

 

Il comparto radiotelevisivo privato occupa circa 8.000 addetti oltre all’indotto. Per via di tale sciagurata decisione del Governo già si registrano 2.700 cassa integrati ma entro l’anno, a rottamazione completata, se ne aggiungeranno altri 1.000. Ma non è finita. Entro il 2018 la banda 700 passerà ai telefonici e, conseguentemente, avremo un altro pauroso taglio occupazionale che non sappiamo come arginare.

 

Risulta che il Governo ha messo a disposizione quasi 51 milioni di euro a titolo di indennizzo per le emittenti costretti a chiudere. Le sembrano troppo pochi?

 

Abbiamo calcolato che 51 milioni rappresentano appena il 20% del valore effettivo delle reti che dovranno essere dismesse per legge. Pertanto, per chi rottama, non sarà possibile riconvertire l’attività di editore radioteleviso in alcun altro genere merceologico e produttivo.

 

Attualmente avete fatto un ricorso al TAR. E’ vero che in caso di esito negativo pensate di portare la questione davanti alla Corte Costituzionale ed eventualmente alla Corte di Giustizia Europea di Strasburgo?

 

Confidiamo che il TAR prenda la decisione di rinviare la materia alla Corte costituzionale in quanto, come già detto, la violazione si riferisce alle libertà di  espressione, articolo 21 della Carta e della libertà d’impresa. Tuttavia intendiamo  anche rivolgerci alla Corte di Strasburgo in quanto lo Stato italiano, di fronte allo sviluppo tecnologico, non è stato neutrale ma ha usato due pesi e due misure con le locali privilegiando le reti nazionali che hanno potuto avere frequenze in abbondanza e tutte coordinate in sede internazionale mentre a noi sono state assegnate frequenze non riconosciute dall’Europa e, quindi, soggette a recare interferenze ad altri Paesi che a loro volta reclamano una violazione degli accordi EU

 Antonio Diomede