Quest’articolo fa parte del libretto ‘NUOVO STATO SOCIALE – Dai Comuni all’Europa’ di Rainero Schembri, edito dal nuovo Partito della Convergenza Socialista, con la prefazione del Segretario Generale Manuel Santoro. Insieme ai capitoli del libretto vengono pubblicati anche altri significativi articoli sull’argomento.

 

Grazie ai giornalisti del Corriere della Sera Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo la parola ‘casta’ è entrata nel gergo politico per indicare un gruppo di persone altamente privilegiate, che godono di stipendi e pensioni strepitose, che evadono le tasse, che possono compiere impunemente qualsiasi sopruso. Persone che per l’appartenenza a certe famiglie, per il potere economico che si sono creati, per i legami con i potentati, praticamente sono diventati degli intoccabili.

 

Purtroppo, insieme a questa casta di privilegiati convive un’altra ‘casta’, ugualmente ‘intoccabile’ ma per motivi esattamente opposti. Parliamo dei cittadini di serie Z, cioè, di quelli che non hanno diritto a nulla, nemmeno a votare. La loro colpa? Non avere una casa, un posto dove abitare, una residenza fissa. I cosiddetti ‘senza tetto’ se non hanno qualche istituzione religiosa o assistenziale disponibile a concedere a loro almeno una residenza fittizia non possono:
a) ottenere prestazioni previdenziali e assistenziali spettanti all’INPS;
b) accedere all’assistenza Sanitaria;
c) presentare domanda per l’accesso all’edilizia popolare;
d) iscrivere i propri figli a scuola;
e) firmare un contratto;
f) aprire una partita Iva;
g) avviare una propria attività;
h) ricevere una scheda elettorale.

 

In sostanza, anche loro sono degli ‘intoccabili’ ma nel senso che nessuno ha interesse a farsi toccare da loro, visto che non consumano, non pagano le tasse (perché non possono e non hanno nulla su cui farsi tassare) e, soprattutto, non votano. Se a queste persone non vengono offerte nemmeno gli strumenti essenziali per uscire da questa situazione allora moralmente siamo tutti un po’ cittadini di serie Z. Prima di andare avanti diamo uno sguardo veloce a ciò che avviene all’estero per quanto riguarda, in particolare, il problema casa.

 

Grecia. Paradossalmente su questo fronte l’Italia sta peggio della Grecia. Spiega l’Ambasciatore greco in Italia Themistoklis Demiris: “Ogni cittadino greco viene iscritto per legge, al momento della sua nascita, negli atti previsti dall’anagrafe. Oltre a questo, eventuali casi di cittadini senza tetto possono aver acceso all’assistenza sanitaria, se ricorrono in un ospedale pubblico in caso di urgenza. Tali cittadini possono anche votare, se sono iscritti nelle liste elettorali. Inoltre, i cittadini senza tetto possono fare la dichiarazione dei redditi e ovviamente possono firmare dei contratti che li vincolano legalmente. Essi possono anche usufruire dei servizi sociali finalizzati ai senza tetto predisposti dai diversi comuni del Paese, oppure dalla Chiesa o altri enti locali. La mancanza di una dimora permanente o di una residenza non costituisce un impedimento per una serie di atti in Grecia”. (1)

 

Francia. “Il diritto di voto di un cittadino”, spiega l’ex Ambasciatore francese in Italia Alain Le Roy, “non può essere leso a causa delle sue condizioni economiche e sociali. La Francia ha affrontato seriamente questo problema, impedendo alla discrezionalità di questo o quel comune di decidere del diritto di voto di un libero cittadino. Dal 1998, le persone senza residenza possono eleggere domicilio presso un centro comunale di azione sociale (CCAS) o qualsiasi organismo accreditato dalla Prefettura del loro Dipartimento. La domiciliazione ha permesso a persone disagiate di ricevere la loro posta e di far valere alcuni diritti, in particolare: il rilascio di un documento d’identità e l’iscrizione alle liste elettorali. Inoltre, possono usufruire delle seguenti prestazioni sociali: reddito di solidarietà attiva, assegno per adulto con handicap, sussidi personalizzati per l’autonomia”. (2)

 

Brasile. Dice l’Ambasciatore del Brasile in Italia Ricardo Neiva Tavares: “Creato nel 2009, il programma Minha Casa, Minha Vida (Mia Casa, Mia Vita), che contempla tanto le aree urbane come le rurali, si pone l’obiettivo di affrontare una delle grandi sfide del Brasile: il deficit abitativo. A tal fine, beneficia le famiglie brasiliane che desiderano acquistare il loro primo immobile e, sul versante rurale, consente l’acquisto di materiale per la costruzione di una casa nuova o la ristrutturazione dell’abitazione. Dal suo inizio”, dice ancora l’Ambasciatore, “il programma ha già acquisito più di 3,2 milioni di abitazioni e ne ha consegnate 1,5 milioni. Presenta, inoltre, importanti risultati nell’ambito economico e nella generazione di posti di lavoro. Stimola la catena produttiva dell’industria dell’edilizia, che è intensiva in mano d’opera. Nel 2012, si stima che il programma abbia avuto un impatto dello 0,8% nel PIL del Paese”. L’Ambasciatore ha poi ricordato che già nel 2013 era stato raggiunto il 75% dell’obiettivo programmato. (3)

 

 

Purtroppo, in questo momento storico in quasi tutti i Paesi il problema casa non riguarda solo i nullatenenti ma strati sempre più ampi della società. Pensiamo solo alle difficoltà e ai disagi a cui vanno incontro le nuove generazioni, desiderose di acquistare una casa per rendersi indipendenti o per creare una famiglia. Un crescente numero di giovani si vede così costretto a vivere a lungo con i genitori, nella consapevolezza di come senza aiuti familiari e con una situazione lavorativa sempre più precaria, sia diventato difficilissimo comprare o affittare una casa. Alla massa di questi giovani vanno poi aggiunti i divorziati (anch’essi in numero crescente) costretti a dormire in automobile, nonché gli anziani e i malati, spesso sballottati in strutture che sono dei veri lager. Visitarli per crederci. Il problema è che in Italia l’ultimo concreto progetto residenziale è stato avviato nel lontano dopo guerra, quando fu lanciato il Piano INA-casa, conosciuto anche come ‘Piano Fanfani’. Un progetto che in 14 anni ha occupato oltre 600.000 lavoratori con la costruzione di ben 350.000 alloggi.

 

 

Dalle parole a fatti possibili. Il problema casa andrebbe probabilmente affrontato tenendo conto che, come già avviene nei Paesi dell’Europa del nord, è possibile fare un largo ricorso e incentivo alle case prefabbricate (per non parlare delle case auto-edificate), che oltre ad essere ecologiche, sicure e ad alto risparmio energetico, costano decisamente meno: circa mille euro al metro quadrato. Naturalmente, come spesso accade in Italia, il vero problema non è di natura tecnica ma di scelta politica: occorre superare (cosa da non poco) le colossali resistenze di coloro che attualmente gravitano intorno all’edilizia.

 

Parliamo naturalmente dei grandi costruttori e palazzinari che non hanno alcun interesse a che s’affermi questo tipo di edilizia. Inoltre, occorre semplificare e rendere disponibile l’acquisto di terreni su cui edificare. Sul piano strettamente economico la questione andrebbe, comunque, affrontata tenendo presente due situazioni molto diverse: a) quella delle persone che non sono proprio povere ma che senza gli aiuti famigliari non ce la farebbero mai ad acquistare o affittare una casa; b) quella delle persone che non dispongono di alcun reddito.

 

Persone con ridotte possibilità economiche. Per i giovani e le persone che hanno una modesta disponibilità economica, una delle soluzioni ipotizzabili, oltre al prefabbricato, potrebbe essere quella di assicurare mutui a tassi estremamente ridotti concessi da un sistema bancario pubblico che, a differenza di quello privato, non dovrà perseguire la massimizzazone dei profitti.

 

Nullatenenti. Premesso che anche in questo caso molto dipenderà dall’introduzione o meno del Reddito di cittadinanza, per i nullatenenti occorre sfruttare soprattutto l’enorme quantità di immobili dismessi: parliamo di case abbandonate, fabbricati inutilizzati, caserme dismesse, ecc. Questi immobili andrebbero trasformati in Residenze sociali dove ogni stanza, come in un albergo, viene affittato dallo Stato. Il costo mensile di questo affitto non dovrebbe superare (alla pari del sostegno alimentare) il 25% del Reddito di cittadinanza, qualunque esso sia.
Queste Residenze sociali dovrebbero trasformarsi in piccole comunità di persone che già si conoscono o che diventano amici, che socializzano tra loro, che sfruttano gli spazi comuni, che si aiutano vicendevolmente.

 

Ogni Residenza eleggerà un responsabile della gestione economica e della manutenzione dell’immobile. Con questo spirito e proposito lo Stato e i comuni dovranno anche agevolare la costruzione di nuove case con tante stanze e servizi comuni. In questo modo si andrebbe, tra l’altro, a favorire la socializzazione e l’uscita dall’isolamento a cui sembrano condannati moltissimi cittadini. L’idea di vivere in una Comune è stata molto praticata verso la fine degli anni sessanta e chi ha avuto la fortuna di fare un’esperienza di questo tipo ne è rimasto spesso positivamente segnato per la vita.

 

Nella Comune ognuno ha i suoi spazi personali e quando si sente solo può andare nello spazio comune (in genere un grande salone) per incontrare e scambiare con altri le proprie sensazioni ed esperienze quotidiane. Anche i bambini in genere si trovano bene e in qualche modo diventano figli di tutti. Certo, affinché questo modo alternativo di vita possa funzionare occorre una buona dose di elasticità mentale e capacità di adattamento. In ogni caso, quando i problemi di convivenza diventano insormontabili, la soluzione più semplice è fare le valigie e trasferirsi in un’altra Comune.
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(1) http://puntocontinenti.it/?p=5503
(2) http://puntocontinenti.it/?p=5492
(3) http://puntocontinenti.it/?p=5499

 

 Rainero Schembri

 

Nota: In precedenza sono stati pubblicati:

(1) UN IMPEGNO ORMAI IMPROROGABILE –  http://puntocontinenti.it/?p=7462

(2) LE INQUIETUDINI DEL XXI SECOLI – http://puntocontinenti.it/?p=7610

(3) GARANTIRE I 6 BISOGNI  ESSENZIALI – http://puntocontinenti.it/?p=7775

(4) LA DURA LOTTA ALLA FAME – http://puntocontinenti.it/?p=8083

(5) I VERI STRAPPI SONO ALTRI – http://puntocontinenti.it/?p=8215

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