Ricardo Neiva Tavares

Punto Continenti riporta di seguito l’intervento che l’Ambasciatore del Brasile a Roma, Ricardo Neiva Tavares, ha compiuto nel corso dell’incontro ‘Quale Brasile?’ che si è svolto all’Istituto della Enciclopedia Italiana-Treccani e che è stato condotto da Donato di Santo, promotore degli incontri con l’America Latina. In quella circostanza sono intervenuti anche Michele Valensise (Segretario Generale del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale), Giorgio Malfatti (Segretario Generale dell’Istituto Italo Latino Americano), Roberto Vecchi (Università di Bologna),  Roberto Da Rin (Sole 24 Ore), Paolo Magri (Vice President Esecutivo e Direttore ISPI), Antonella Mori (Università Bocconi), Fabio Porta (Deputato eletto in Sud America), Marina Sereni (Vice Presidente della Camera). Con il suo intervento l’Ambasciatore Tavares ha fatto un’articolata disanima della situazione economica nella quale vive oggi una delle maggiori potenze economiche del mondo.  

 

Le edizioni della rivista The Economist del 2009 e del 2013 con la copertina dedicata al Brasile hanno avuto ampia ripercussione e servono come uno stimolante punto di partenza per una riflessione sul Paese. Nel 2009, la copertina della rivista esprimeva ottimismo sul futuro. Il Brasile decollava e rifletteva la fiducia in un decennio marcato da una vigorosa crescita economica, combinata con il successo delle politiche di inclusione di una porzione significativa della popolazione nel mercato interno. Tale scenario contrastava, agli occhi di alcuni analisti, con la crisi finanziaria internazionale che si abbatteva e aveva origine in altri paesi del mondo. Per la prima volta, dopo molti decenni, i paesi in via di sviluppo non erano i principali fattori responsabili dello scoppio di crisi internazionali. Al contrario, erano in gran parte responsabili del sostentamento dell’economia mondiale.

 

Dopo quattro anni, nel 2013, la copertina della rivista presentava una visione radicalmente diversa da quella. Gli stessi analisti profetizzavano il pessimismo e il caos. Affermavano che l’economia brasiliana ristagnava, che il Governo fronteggiava manifestazioni pubbliche. L’esacerbarsi di lagnanze della popolazione e i costi di vita elevati, associati a servizi pubblici carenti e a corruzione, presentavano, secondo quella visione, sfide insuperabili. Per quegli analisti, il Brasile aveva perduto l’occasione per porre le basi di uno sviluppo economico sostenibile.

 

Con tutto il rispetto per l’Economist, entrambe le immagini della rivista hanno peccato nel conferire enfasi a elementi congiunturali piuttosto che ad aspetti strutturali. In contrapposizione a tale visione, è opportuno offrire una prospettiva più a lungo termine sul Brasile, le sue sfide e le sue prospettive. Nonostante che il Paese stia attraversando un momento di difficoltà, siamo in una situazione più tranquilla e confortevole di molti. L’economia brasiliana è oggi più forte, solida e resistente rispetto a decenni precedenti.

 

Ne sono esempio le consistenti riserve internazionali, di circa US$370 miliardi, maggiori del PIL di vari paesi dell’Unione Europea, che costituiscono un’importante salvaguardia per affrontare le avversità dei cicli economici, come pure per offrire una garanzia contro eventuali attacchi speculativi alla moneta brasiliana. Parte di queste riserve sono attualmente investite in titoli del Governo nordamericano, il che fa del Brasile il quarto maggiore Paese-creditore degli USA, preceduto solo da Cina, Giappone e Regno Unito.

 

C’è stata molta amplificazione sulle presunte debilità dell’economia brasiliana. Tuttavia, per l’agenzia di notizie Bloomberg – una fonte insospettabile -, nel recente episodio di abbassamento del rating del Brasile da parte della S&P, i mercati hanno reagito in maniera eccessiva. La Bloomberg ha ricordato alcuni elementi che sembrano essere stati dimenticati in analisi affrettate, tra cui il fatto che le riserve internazionali del Brasile corrispondono al 217% del debito estero netto.

 

Nonostante il difficile scenario, il debito pubblico netto del Brasile – equivalente al debito lordo meno le riserve internazionali – è in calo. Secondo i più recenti dati disponibili, di agosto, il debito netto rappresenta il 33,7% del PIL brasiliano, un valore di 0,4 punti percentuali inferiore a quello dell’inizio del 2015. Tale rapporto debito/PIL rappresenta una situazione molto confortevole, anche in comparazione con altre grandi economie.

 

È opportuno rilevare, inoltre, che il tasso di disoccupazione in Brasile, nonostante le difficoltà del momento, ha raggiunto, nello scorso mese di settembre, il 7,6%, un numero che ovviamente non è buono, ma che neppure rappresenta un paese prossimo alla catastrofe, soprattutto se comparato anche in questo caso ad altre grandi economie. Inoltre, il tasso d’inflazione, secondo proiezioni del mercato finanziario, indicano una caduta da 9,7% nel 2015 a 6,1% nel 2016, entro la meta fissata dalla Banca Centrale.

 

La resistenza del Brasile agli shock congiunturali deriva anche dalla capacità del settore produttivo nazionale. Una ricerca realizzata dal Centro Studi di Confindustria nel 2014 classifica l’industria brasiliana come la settima maggiore del mondo in produzione, davanti a tutti i paesi europei eccetto la Germania. Il Paese è anche uno dei leader mondiali nella produzione ed esportazione di vari prodotti agro-zootecnici. È il primo produttore ed esportatore di caffè, zucchero, etanolo e succo d’arancia, nel caso di quest’ultimo prodotto con più del 50% del mercato mondiale. Guida, inoltre, la classifica delle vendite all’estero dei prodotti della soia (semi, farina e olio). Tra il 1975 e il 2009, la produzione di latte è triplicata e l’offerta di carne di manzo e pollo, prodotti per la cui esportazione il paese è anche leader, si è moltiplicata rispettivamente per 4 e 22.

 

Parafrasando Mark Twain: Le notizie sulla morte dell’economia brasiliana sono grandemente esagerate. Il principale effetto della svalutazione della moneta brasiliana nel 2015 è stato quello di riequilibrare il settore estero del Paese. Il surplus della bilancia commerciale dovrebbe raggiungere US$13 miliardi nel 2015 e US$25 miliardi nel 2016, il che rappresenterà una svolta dinanzi al deficit commerciale di US$6 miliardi registrato nel 2014.

 

Sulla stessa linea, il deficit di transazioni correnti si dovrebbe ridurre di quasi US$40 miliardi, passando da US$104 miliardi  nel 2014 a circa US$65 miliardi nel 2015. Sul piano interno, la nuova combinazione di minori costi e cambio riaggiustato dovrebbe conferire impulso alla ripresa degli investimenti. Il Brasile continua a essere un’opzione sicura e attraente, con stime di ingressi di US$65 miliardi sotto forma di Investimento Diretto nel Paese nel 2015.  Solo nello scorso mese di settembre, sono entrati nel Paese più di US$6 miliardi, in contrasto con l’aspettativa di alcuni che vi sarebbe stato un calo significativo di investimenti nel Paese.  Il Brasile offre grandi opportunità di affari, conta su un mercato interno di 205 milioni di abitanti, e un ambiente di affari sofisticato e sicuro.

 

Uno dei pilastri della ripresa della crescita economica è il trattamento della questione fiscale. In tal senso, l’economia brasiliana nel 2015 presenta dei paralleli con i cicli di consolidamento del bilancio del 1999-2000 e del 2003-2004 che hanno finito per portare a un nuovo ciclo di crescita economica. Per sei anni, abbiamo cercato di impedire che gli effetti della crisi mondiale, esplosa nel 2008 nel mondo sviluppato, si abbattesse sull’economia e la società brasiliana e si traducesse nella riduzione dell’occupazione e del reddito nel Paese.

 

Abbiamo adottato misure per la riduzione delle imposte, l’ampliamento del credito e lo sviluppo economico, sociale e produttivo del Paese, nell’aspettativa che le condizioni dell’economia mondiale sarebbero tornate a essere favorevoli in un orizzonte di tempo ragionevole. Questo sforzo è giunto ora al limite, tanto per ragioni interne come per contingenze correlate allo scenario esterno. Il lento recupero dell’economia mondiale, l’aspettativa di inizio di una politica di innalzamento degli interessi negli USA, le pressioni deflazionarie nelle economie più mature e la fine del ciclo delle commodities hanno messo in chiaro che le sfide della più grande recessione mondiale dopo gli anni Trenta hanno provocato difficoltà aggiuntive nei paesi in via di sviluppo e in Brasile in particolare.

 

Siamo in un momento di transizione verso un nuovo ciclo di espansione più profondo, più solido e più duraturo. Per questo, la necessità che si adottino azioni in favore del riequilibrio del bilancio fiscale e della riduzione delle spese governative. Lo sforzo fiscale, tuttavia, non significa trascurare la politica di inclusione sociale, adottata a partire dallo scorso decennio, grazie alla quale è stato possibile fare uscire 36 milioni di brasiliani dalla povertà estrema e includerne 40 milioni nella classe media.

 

Le iniziative adottate tendono a correggere le rotte, ridurre l’inflazione, consolidare la stabilità macroeconomica, aumentare la fiducia e garantire la ripresa della crescita su basi sostenibili e durature con distribuzione di reddito, dando inizio a un nuovo ciclo di sviluppo basato su aumento della produttività, generazione di altre opportunità di investimento e crescita di reddito per i cittadini. Le fondamenta dell’economia brasiliana sono molto solide. Il Brasile non è solo un paese del futuro o con un grande potenziale, come a volte si presume in maniera un po’ paternalistica. È un paese del presente, con una delle più grandi economie del mondo e istituzioni solide.

Ricardo Neiva Tavares