Alberto Aggio

 

 Nel corso di un recente e interessante convegno sulla situazione del Brasile (svoltosi a Roma all’Istituto della Enciclopedia Italiana-Treccani) e condotto da Donato di Santo, ha destato una particolare attenzione l’intervento del professore brasiliano Alberto Aggio davanti a numerosi Ambasciatori, politici e studiosi di questo grande Paese latino americano.  In contrasto con l’intervento dell’Ambasciatore brasiliano Ricardo Neiva Tavares (che Punto Continenti ha pubblicato per intero – http://puntocontinenti.it/?p=8598) Aggio ha descritto una realtà molto diversa del suo Paese e quindi ci è sembrato particolarmente interessante andare a intervistarlo.

 

 Professore di Storia Contemporanea nello Stato di San Paolo del Brasile, Aggio ha compiuto studi e seminari a Valencia in Spagna e all’Università di Roma 3, oltre a insegnare all’Università di Santiago del Cile e di Compostela in Spagna. Collaboratore del prestigioso giornale di San Paolo ‘O Estado de Sao Paolo’ Aggio scrive per numerosi giornali e riviste in molti Paesi. Inoltre è autore di diversi libri di successo tra cui ‘Democrazia e socialismo: l’esperienza cilena’, ‘Fronte popolare’, ‘Radicalismo e rivoluzione passiva in Cile’, ‘Una nuova cultura politica’, ‘Gramsci e la vitalità di un pensiero’, ‘Politica e società in Brasile’, ‘Pensare il Secolo XX’, ‘Gramsci nel suo tempo’. Il suo libro più recente è ‘Un posto nel mondo – Saggio di storia politica latino-americana’. Attualmente collabora con il Sito Gramsci e il Brasile (www.gramsci.org) ed è membro della redazione della rivista ‘Politica Democratica’ edita dalla Fondazione Astrojildo Pereira.  

 

In questo momento il Brasile si trova in una situazione economica difficile. Ciò dipende soprattutto dalla congiuntura internazionale o anche da fattori interni?

 

La crisi brasiliana non deriva direttamente dalla crisi economica internazionale. Essa dipende da scelte sbagliate realizzate nel corso del primo mandato della Presidente Dilma Rousseff. Queste decisioni hanno inciso sulla gestione finanziaria del Governo generando un forte deficit e rendendo complicato il finanziamento di progetti pubblici infrastrutturali e la stessa gestione della macchina governativa.

 

Dopo la vittoria elettorale nell’ottobre del 2014, Dilma ha dovuto cambiare rotta e adottare misure che non erano inserite nel suo programma o nei discorsi effettuati in campagna elettorale, con tagli in diverse aree, tra cui la Sanità e l’Istruzione. Ciò si è rivelato abbastanza condizionante e ha colpito l’immagine e la popolarità della Presidente. A causa di questo inganno elettorale è diminuita la sua popolarità e la credibilità. La crisi ha, quindi, radici interne. La crisi politica ha avuto ripercussioni sul piano economico e nel 2015 la recessione è arrivata al 3% del Pil, mentre si prevede un 2% per il 2016. Altri Paesi Latino americani, come ad esempio il Cile, il Perù e la Colombia, non si trovano nella situazione del Brasile.

 

I giornali parlano molto di impeachment contro la Presidente Dilma Roussef del Partito dei Lavoratori (PT) per aver utilizzato impropriamente fondi bancari per programmi sociali. Secondo lei il pericolo di una destituzione esiste concretamente?

 

E’ in corso tutta una battaglia politica per le strade e in Parlamento che tra le altre cose chiede l’impeachment della Presidente. E’ possibile che questa richiesta vada avanti o no. Molto dipende da come la battaglia si svilupperà. C’è tuttavia un equivoco nella domanda: Dilma non ha usato le risorse delle banche pubbliche per finanziare programmi sociali. Già è stato dimostrato che non fu così. Queste risorse sono state usate per investimenti in società private che beneficiano di linee di credito dalle banche pubbliche. Ciò evidenzia uno squilibrio nell’utilizzo  delle risorse pubbliche nonché una scelta discutibile sul piano giuridico.

 

In questi giorni Dilma riesce a mantenersi a gala grazie alla fedeltà in Parlamento del suo alleato il Partito del Movimento Democratico Brasiliano (PMDB). Questo partito esprime il vice Presidente della Repubblica Michel Temer, che sarebbe il diretto beneficiario nel caso della proclamazione di impedimento della Presidente. Ma il partito sa anche che la situazione economica e finanziaria del Paese è compromessa e che non può assumere il potere in assenza di una reale alternativa. Per questo il PMDB non rompe con il PT, passando all’opposizione. Di conseguenza l’impeachment rimane in sospeso. D’ora in poi il Paese avrà una serie di Governi tampone, con cambiamenti di Ministri che cercano di evitare l’impedimento e recuperare qualche credibilità, con l’obiettivo di sopravvivere fino al 2018, quando sperano di tornare al potere con Lula.

 

Molti sostengono che la caduta della Roussef generebbe un vero caos politico. Già oggi ci sono 28 partiti in Parlamento che hanno grandi difficoltà ad accordarsi. Come si uscirà da questa situazione?

 

Non credo che una eventuale caduta di Dilma provocherebbe un caos politico. L’Istituto dell’impeachment fa parte della Costituzione del 1988 ed è stata utilizzata contro il Presidente Collor de Melo. Il problema è politico nel senso che si tratta di capire fino a che punto il PT e la sinistra, che si oppone ad esso ma lo sostiene, riuscirà a resistere e in che forma. Non si sta, comunque, alimentando una lotta di classe aperta contro un governo rivoluzionario. I Governi del PT non sono stati e non sono di questa natura. Tanto meno si sta pianificando un golpe. L’impedimento di qualsiasi Presidente del Brasile è parte dell’Ordine Costituzionale vigente, quello che si sta facendo è pienamente legittimo.

 

Dall’altro lato la frantumazione politica è un fatto reale. Comunque, non sono i piccoli partiti a complicare la situazione ma i grandi. La situazione politica è drammatica in ragione del fatto che i grandi orientamenti politici del Paese non riescono a costruire un consenso politico. La causa principale è che non c‘è più alcuna fiducia tra gli imprenditori, la classe media, i lavoratori e altri nel Goveno guidato dalla Dilma e nel PT. E’ un equivoco sostenere che la crisi è determinata dall’opposizione o dalla frammentazione politica. La crisi politica e la perdita di credibilità è stata provocata all’interno del Governo e non al suo esterno.

 

In questo momento Lula, che è l’eminenza grigia del Governo Dilma, ha assunto il comando politico del Paese e cerca di rinsaldare il PT per tutelare il Ministro delle Finanze e la sua proposta di riaggiustamento fiscale, che è l’unico modo per recuperare la credibilità tra gli imprenditori, per evitare l’esplosione dell’inflazione e per fermare la recessione. Più di questo il Governo Dilma non è in grado di fare, oltre a compiere manovre per impedire l’impeachment.

 

A proposito di Lula si parla di un possibile accordo con l’ex  Presidente Enrique Cardoso, cioè, con l’altro grande ‘vecchio’della politica brasiliana. Lo ritiene possibile?

 

E’ un sogno che non si può più avverare. Ritengo del tutto improbabile un accordo tra Lula e Cardoso. Lula da molto tempo ha scelto quale strategia perseguire: fare alleanze e sottomettere gli alleati. Come si dice in Brasile: il PT non cerca alleati ma sudditi. E Cardoso non si presta a questo gioco. Gli alleati del PT si stanno muovendo per mantenere il coltello il più vicino possibile alla gola di Dilma e del PT. Il PMDB ha già annunciato che alle prossime elezioni presidenziali del 2018 avrà un candidato proprio e non starà più con il PT. Di conseguenza il Partito dei Lavoratori è un attore che sta vivendo il suo declino storico.

 

Come vede il futuro del Brasile?

 

E’ molto difficile fare previsioni certe in questi giorni. Il Paese si è sempre compiaciuto di essere il Paese del futuro. Per alcuni anni ha vissuto nell’illusione che il futuro fosse arrivato. L’attuale crisi dimostra che questa convinzione non era vera e che i profeti di ieri si sono sbagliati. L’industria brasiliana è tornata ai valori degli anni quaranta. Il nostro sistema educativo è scadente, alla pari di quello della sanità e della sicurezza. Si è creduto che la modernità coincidesse con l’innalzamento del consumo privato e niente più. Questo è stato l’eden di Lula. Ora, invece, il Paese si rende conto che la realtà è più complessa. Di conseguenza…