Foto: la Presidente dell’ONLUS Katia Anedda insieme all’ex ministro degli esteri Giulio Maria Terzi autore della prefazione di un interessante libro sull’argomento.

 

Katia Anedda è sicuramente una donna piena di energia che ha fatto dell’impegno di assistere i detenuti italiani all’estero una missione di vita. Lo strumento utilizzato è la Onlus ‘Prigionieri del Silenzio’ che già dice tutto: sono oltre 3 mila gli italiani detenuti (molti dei quali innocenti) praticamente abbandonati, sia in patria che all’estero. Si tratta di un problema sociale drammatico. Per affrontarlo ci siamo rivolti direttamente a questa combattente silenziosa.

 

Com’è nata e come è organizzata la vostra associazione? 

 

Prigionieri del Silenzio è stata fondata nel 2008 da persone che in qualche modo erano colpite direttamente o indirettamente da casi di detenzione all’estero. Uno dei casi principali per cui è nata l’idea di Prigionieri del Silenzio, è stato il caso Parlanti, un italiano ingiustamente incarcerato negli Stati Uniti a cui io ero legata sentimentalmente. L’obiettivo era di dare quell’aiuto e indicazione dettata dalla mia esperienza e da quella di altri fondatori in condizioni simili che noi non avevano avuto e che probabilmente sarebbe stata opportuna al fine di gestire meglio la nostra condizione.

 

I motivi che ci hanno spinto a dare vita a questa associazione, oggi ONLUS, sono evidenti: gli italiani detenuti all’estero spesso, sono sottoposti a condizioni di vita lesive dei più elementari diritti dell’uomo e assolutamente non compatibili con l’obiettivo della riabilitazione a cui la pena deve essere finalizzata, mancano idonei strumenti di assistenza, con la conseguenza che sovente i detenuti all’estero non ricevono neppure le cure mediche del caso, né un’appropriata difesa legale: l’Italia, infatti, non prevede, in questi casi, l’istituto del ”gratuito patrocinio” ed anche gli aiuti che possono essere concessi dai Consolati italiani sono solo facoltativi. Tutto ciò causa condizioni di detenzione veramente inique e, prima ancora, una tutela legale debole, quando non inesistente, che comporta, in taluni casi, condanne ingiuste. Senza parlare delle famiglie dei detenuti, che si trovano ad affrontare problemi immensi con le loro sole forze.

 

Siamo volontari che dedicano il loro tempo, quando possono e come possono. Nel direttivo dell’associazione siamo in 5 donne, (presidente, vicepresidente, segretario, due consiglieri) come prevede il nostro statuto visualizzabile sul sito internet www.prigionieridelsilenzio.com. Componenti dell’associazione sono anche tre supporter (tra cui Carlo Parlanti) con la carica di probiviro e diversi soci ordinari e onorari in giro per il mondo che, come dicevo prima ci aiutano come possono, con la divulgazione delle nostre news, con traduzioni di documentazione, collaborando ad eventuali eventi e tante altre cose.

 

Come si presenta il quadro dei detenuti italiani all’estero? 

 

All’indirizzo http://www.esteri.it/mae/it/sala_stampa/pubblicazioni/annuario_statistico/ possono essere visualizzati i dati aggiornati e ufficializzati dal MAE, nella pagina 162 si ritrovano tutte le informazioni dettagliate sugli italiani detenuti all’estero che al dicembre del 2014 erano 3 309 divisi come da tabella riportata.

 

Che tipo di assistenza fornite a questi detenuti?

 

Come gia detto precedentemente forniamo aiuto alle famiglie indicando cosa meglio potrebbero fare e come farla, la dove è richiesto promuoviamo raccolte fondi, quando ci sono gli estremi e la necessità. Traduciamo documenti, agevoliamo i rapporti con le rappresentanze diplomatiche sul posto. Tutto quanto prevede l’articolo 4 del nostro statuto reperibile al link: www.prigionieridelsilenzio.it

 

Come giudica l’impegno, in questo campo, delle autorità diplomatiche italiane?

 

E’ necessario ricordare che Consolati e Ambasciate, sono fatte di persone ed ogni persona è diversa da l’altra. Tra gli obiettivi dei consolati è inclusa l’assistenza ai connazionali detenuti all’estero, alcuni consolati lo fanno correttamente e con grande impegno e altri avrebbero molto da migliorare. E’ pur vero che il nostro governo anziché agevolare le ambasciate a fare e fare sempre meglio è, invece orientato, negli ultimi anni, a togliere risorse.

 

Quali sono i vostri obiettivi futuri?

 

Il nostro obiettivo principale è continuare a fare e fare sempre meglio. Negli ultimi mesi con la collaborazione dello staff e di Sara D’Amario, giovane scrittrice, abbiamo scritto un libro intitolato “I Prigionieri del Sielenzio” che vanta la magistrale prefazione dell’ex ministro degli esteri Giulio Maria Terzi di Sant’Agata e che riporta alcune delle storie che abbiamo seguito, toccando tutto il globo per poter dare una visibilità completa sulle dinamiche. Il nostro scopo è poter fare realizzare ai nostri connazionali che quella della detenzione all’estero è una realtà spesso più vicina di quanto potremmo immaginare e che è necessario fare qualcosa anche nel proprio piccolo per poter fermare questo che oramai è diventato un problema sociale. Quelli sfidanti li riporto cosi come li abbiamo pubblicato sul nostro sito internet:

 

1) La riesamina del Protocollo di Strasburgo che al momento e’ generico e la dove si intende come e’ stato specificato nel caso di qualche anno fa di Beniamino Cipriani, arrestato in USA a rischio di pena di morte, clausole aggiuntive, sarebbe necessario specificare chiaramente che può essere personalizzato a seconda delle esigenze del caso e del Paese di condanna.

 

Un unità (o più unità) all’interno dei consolati o l’ambasciata (a seconda del numero della popolazione italiana sul posto) esperta in tema giuridico penale del paese che possa fungere da consulente e affiancare gli eventuali avvocati del posto predisponendo a secondo delle possibilità del concittadino e del caso, aiuti economici. In sostanza un italiano detenuto all’estero o con un processo penale all’estero dovrebbe avere le stesse identiche possibilità di difesa che avrebbe nel suo paese, compreso l’appoggio dei famigliari e qualsiasi supporto logistico e tecnico che avrebbe in Italia con le sue possibilità

 

2) Sarebbe necessario un team in Italia esperto in materie giuridiche e sociali, in continuo contatto con il referente sul posto addetto ad informare e aiutare la famiglia residente in Italia in quanto a informazioni sul proprio caro detenuto e agevolare i contatti con esso prevedendo anche l’ausilio e la collaborazione con un ONLUS quale potrebbe essere Prigionieri del Silenzio per collaborazioni di eventi atti all’informazione e al reperimento di fondi per l’aiuto economico dei meno abbienti.

 

3) Infine e’ auspicabile da parte del governo un azione di informazione sui paesi esteri, in quanto a regole, criticità e quant’altro, tenendo anche conto dei casi di detenzione conosciuti sino ad ora.