Salvatore Viglia

 

Il patto con l’avvocato Salvatore Viglia è stato preciso: niente nomi delle persone coinvolte e non solo per una questione di privacy ma perché nessuno è interessato a farsi conoscere. Le buone azioni non hanno bisogno di pubblicità. E se siamo riusciti a farci raccontare questa sua esperienza professionale è solo perché Viglia, insieme ad altri avvocati impegnati nel sociale, è interessato a lanciare un forte messaggio sia all’Ordine professionale che ai nostri organi legislativi. Ma andiamo per ordine.

 

Avvocato Viglia, come sono andate le cose.

 

Tutto è cominciato in un pomeriggio del 2008. Stavo lavorando nel mio studio quando ricevetti una telefonata niente di meno che dalla Repubblica Centrafricana. Dall’altro capo del telefono c’era la rappresentante di una Onlus operante in questo martoriato Paese. “Mi hanno suggerito”, disse, “il suo nome come persona sensibile e competente. La prego, mi aiuti”. Il problema consisteva nel fatto che al suo fidanzato, un giovane del posto, non veniva data per motivi burocratici (diciamo così), l’autorizzazione a uscire dal Paese per visitare l’Italia. Insomma, una delle tante problematiche che spesso rendono estremamente complessi i rapporti con i cittadini residenti in Paesi afflitti da guerre e profondi contrasti sociali. Per risolvere il caso ho dovuto coinvolgere un Parlamentare italiano della Commissione esteri, l’Ambasciata italiana di Yaoundé nel Cameroon (competente anche per la Repubblica Centrafricana) e l’Ambasciata francese. Alla fine tutta la questione si è risolta in maniera positiva. Ma, per quanto complicato, questo episodio di per se non sarebbe stato certamente meritevole di essere raccontato.

 

Ma è servito da spunto per un altro caso, questa volta decisamente serio.

 

Esattamente. Qualche anno dopo, nel 2011, la stessa responsabile dell’ONLUS mi chiamò per chiedermi un aiuto disperato per una ragazzina di tre anni che per errore aveva bevuto dell’acido muriatico con tutte le conseguenze immaginabili. Il problema era di trovare velocemente una struttura ospedaliera in grado di far fronte in maniera efficace all’emergenza, nonché di ottenere tutte le autorizzazioni per il trasporto del paziente e dei familiari. E’ stata una folle corsa contro il tempo, contro la burocrazia, contro le difficoltà di ogni tipo.

 

Per fortuna grazie all’Ospedale pediatrico Gaslini di Genova, alla grande disponibilità di tutta l’equipe medica, alla sollecitudine di alcuni funzionari del Ministero degli esteri, siamo riusciti nel miracolo di salvare la bambina. Personalmente ho seguito con grande impegno e profonda preoccupazione l’intera vicenda, immedesimandomi profondamente nel dolore anche dei genitori: la bambina aveva esattamente la stessa età di mio figlio. Per questo motivo, nonostante tutte le insistenze della ONLUS, che già si era caricata delle spese di trasporto, non volli alcun compenso.

 

Ma poi avvenne il caso più assurdo e drammatico allo stesso tempo.

 

Pochi mesi dopo venni contattato per la terza volta. Cos’era successo? Un fatto barbarico. Un’insegnate per punire un ragazzino di tredici anni lo aveva appeso con la testa in giù. Purtroppo la corda si è spezzata e il bambino è caduto tragicamente con gravi danni per la colonna vertebrale. Ancora una volta c’era da fare l’impossibile. Ancora una volta siamo riusciti a trovare un Ospedale disponibilissimo come le Molinette di Torino, medici meravigliosi e tanta disponibilità da parte di funzionari italiani e anche locali. Purtroppo l’esito è stato relativo: il bambino si è salvato ma è rimasto paralizzato. Per me è stato terribile. Sono caduto in una profonda depressione. Quasi mi sentivo responsabile di qualcosa, pur avendo fatto tutto il possibile. Anche in quella circostanza  non volli assolutamente nulla dalla ONLUS ma poi, dopo lunghe insistenze, accettai un regalo simbolico: rifiutarlo sarebbe stato semplicemente scortese.

 

Tutto questo per dire cosa?

 

Ecco, qui andiamo alla vera ragione di questa intervista. Come tutte le professioni anche l’avvocatura offre degli spazi enormi per compiere delle azioni umanitarie a beneficio della società. Fin qui, però, siamo ancora nel campo personalistico. Ognuno si regola secondo coscienza. Però una certa attività umanitaria andrebbe comunque incoraggiata dagli Ordini professionali e anche dal Legislatore. Un esempio concreto? Perché non riconoscere a certe attività o impegni sociali il valore degli odierni corsi di aggiornamento e di formazione, concedendo gli opportuni crediti formativi. Corsi che spesso vengono seguiti distrattamente e per pura formalità. A mio avviso cercare di risolvere dei casi come quelli appena descritti risulta molto più formativo e coinvolgente per tutti, a qualsiasi età ed esperienza maturata.

 

Ma questo è solo un esempio. Se realmente vogliamo costruire un nuovo Stato Sociale allora anche gli Ordini professionali e il Legislatore debbono fare la loro parte. Bisogna trovare degli incentivi a compiere delle azioni umanitarie anche per coloro che non hanno una naturale predisposizione a farlo. Del resto solo compenetrandosi in certe situazione si riesce a crescere veramente sul piano professionale.