Foto: a sinistra il gruppo degli attori; a destra la regista Pola Sarcina.

 

Regista di teatro classico, contemporaneo e di Opera lirica, Paola Sarcina ha diretto una trentina di spettacoli in varie località. Intensa è stata anche la sua attività di promozione e comunicazione della cultura e dello spettacolo presso istituzioni e università in Italia, Germana e Stati Uniti. Dal 2000 ricopre  l’incarico di Presidente  dell’associazione culturale M.Th.I. mentre dal 2001 segue come direttore artistico il  festival internazionale Cerealia.

 

Ora si trova ad affrontare un altro compito decisamente complesso e impegnativo: il  26 febbraio prossimo dirigerà lo spettacolo ‘L’onda di Maometto’ al Teatro Palladium di Roma che appartiene all’Università Roma Tre. Si tratta di un testo scritto da due noti giornalisti, Alberto La Volpe ed Emilio Zanotti, e teatralizzato da Stefania Porrino. Il lavoro prospetta il rapimento, da parte di un gruppo terroristico, di una giornalista televisiva inviata in Pakistan. Un argomento estremamente delicato e attuale. Ma anche una buona occasione per conoscere più da vicino questa regista e attivissima operatrice culturale.  

 

Per cominciare una domanda che viene spontanea: di questi tempi non è pericoloso mettere nel titolo ‘Maometto’, soprattutto in un testo che parla di rapimento e terrorismo?

 

Ho fatto anche io questa domanda ai due autori. Da quello che so, lo spettacolo è stato scritto due anni fa e ha avuto già lo scorso anno una presentazione al pubblico al Teatro Argentina, in forma di reading e in seguito alle Isole Eolie, messo in scena da una compagnia locale. Gli autori non hanno ritenuto che fosse un problema nominare il Profeta nel titolo, visto che la storia si riferisce alla “messa in onda” di un video che fa riferimento proprio al Profeta Maometto. Avendo depositato il testo già molto prima che avvenissero i fatti di Parigi e quelli più recenti in Turchia, non hanno ritenuto però opportuno modificarlo. Quindi abbiamo preso atto delle loro decisioni, sperando anche che il pubblico capisca che lo spettacolo rispetta assolutamente la cultura islamica. Infatti oltre a mettere in discussione il sistema dei media e del loro stare sulla notizia, propone come soluzione per la ricerca di una visione umana comune proprio il dialogo tra le due culture e religioni. Infatti la trattativa per il rapimento viene affidata a due professori di islamistica, un egiziano mussulmano e un italiano cristiano; attraverso il loro dialogo si intende  recuperare quel senso di coesistenza, rispetto e pietà che dovrebbe unirci.

 

Si tratta di un lavoro scritto da due famosi giornalisti e adattato da Stefania Porrino. Come regista quale impronta Lei ha cercato di dare a questo lavoro sicuramente impegnativo e di grande attualità?

 

Mi sono preoccupata di fare in modo che il testo emergesse nel modo più chiaro possibile, senza creare interferenze o artifizi scenici. Dare quindi spazio alla parola e al lavoro interpretativo ed espressivo degli attori. La messa in scena è molto essenziale, anche perché si tratta di un progetto che nasce da un laboratorio teatrale dell’Università Roma Tre, quindi non abbiamo grandi mezzi. Ma in ogni caso l’idea era comunque quella appunto dell’essenzialità. Lo spettacolo è già scritto pensando che i diversi spazi scenici in cui l’azione è suddivisa coesistano sul palcoscenico e si alternino solo grazie a un gioco di luci. Così la mia scelta è stata quella anche di usare pochi arredi scenici che sono realizzati in cartone (materiale che rimanda anche alla fragilità del nostro mondo), grazie alla collaborazione con la Generoso Design. I diversi video che compaiono nello spettacolo sono stati realizzati e assemblati da un giovane regista iraniano, anche lui studente del DAMS di Roma Tre. In ultimo ho deciso di non dare un volto ai terroristi, proprio a contrasto della sovraesposizione mediatica che questi subiscono e che loro stessi creano, avendo oggi una grande capacità di prenotazione sul web, con i video da loro stessi realizzati e diffusi. Per questo le scene ambientate nel covo dove è prigioniera la giornalista, sono costruite secondo la tecnica del teatro delle ombre.

 

Gli attori sono quasi tutti giovanissimi. In che modo e sulla base di quali criteri sono stati selezionati?

 

Sì, gli attori sono tutti giovani tra i 25 e i 30 anni, laureandi del DAMS Roma Tre o di altri corsi di studio della stessa Università. Così come sono studenti del DAMS anche l’assistente alla regia e il regista dei video. Unico attore esterno, anche lui giovane è Mariano Riccio, che ricopre il ruolo del professore egiziano. I giovani sono stati coinvolti dall’Università, come dicevo, nell’ambito delle attività di laboratorio che la stessa Università porta avanti. Io mi sono occupata quindi di assegnare i ruoli in base alle loro specificità fisiche ed espressive. Devo dire che il casting è risultato efficace e ogni personaggio è bel calzante ai giovani interpreti che, in quasi due mesi di prove, hanno mostrato di saper entrare efficacemente nei diversi personaggi e spero potranno dimostrarlo anche al pubblico la sera del 26 febbraio. Per questo ritengo che lo spettacolo meriterebbe di avere altre occasioni di replica; i ragazzi lo meritano di sicuro e il testo anche.

 

Il Teatro Palladium, che appartiene all’Università Roma Tre, si sta prospettando come uno dei pochi Teatri sperimentali rimasti a Roma. Personalmente come vede in prospettiva il rapporto tra il Teatro e il mondo universitario in Italia? 

 

Il Teatro Palladium credo sia un unicum nel panorama italiano. Non mi risulta che in Italia vi siano altre università statali che siano proprietarie di uno spazio teatrale professionale di 500 posti. È sicuramente una grande opportunità e una sfida che spero l’Università Roma Tre sia in grado di cogliere e far fruttare nel tempo, soprattutto dopo che diventerà operativa la Fondazione a cui passerà la gestione del teatro. Spero che altre Università pubbliche possano seguire questo esempio. L’Università è e può essere luogo di ricerca e sperimentazione, non solo per le materie scientifiche, ma anche per quelle culturali ed artistiche. La possibilità di creare progetti culturali condivisi in modo trasversale anche da più dipartimenti, è sicuramente una opportunità di crescita e di stimolo per l’Università stessa e per il pubblico. Questo è stato compreso anche da altre Università quali ad esempio la Pontificia Università Salesiana, dove dal prossimo anno accademico collaborerò con il Dipartimento di Lettere Greche e Latine a un progetto sulla drammaturgia classica e la sua rilettura moderna.