Alla fine del suo mandato in molti avrebbero voluto chiedere ad Alvaro Uribe Velez, ex Presidente della Colombia (dal 2002 al 2010), le ragioni di alcune scelte politiche in campo sociale che probabilmente hanno segnato profondamente il destino della Colombia. Anche se con ritardo una buona occasione si è presentata recentemente a Roma nel corso di un incontro con la stampa organizzato dall’Osservatorio Mediatrends America – Europa e condotto dal dinamico giornalista peruviano Roberto Montoya, che è anche Segretario generale della Stampa estera in Italia. Ufficialmente l’argomento in discussione era: “La Colombia tra la minaccia di guerra e le negoziazioni di pace”. Nella realtà l’ex Capo del Governo colombiano ha approfittato della circostanza per sparare praticamente a zero sull’attuale Presidente Manuel Santos e sulle sue trattative con i guerriglieri delle FARC (Forze armata rivoluzionarie della Colombia, di ispirazione comunista, fondate nel 1964). Ma prima di andare avanti tracciamo un breve profilo di Uribe.

 

Nato nel 1952 a Medellin (città sede di uno dei più pericolosi cartelli della droga, in opposizione al cartello di Cali), sposato con due figli, avvocato, liberale, da molti considerato un falco della destra e molto vicino agli americani, Uribe è decisamente un politico di razza e un combattente. La sua presidenza ha coinciso con anni difficili per la Colombia, sia sul piano politico ed economico che su quello dell’immagine (essere considerati il centro mondiale del traffico della droga è un peso che grava sulle spalle di ogni colombiano (un  po’ come avviene con i siciliani, succubi dell’onta  mafiosa). Anche la famiglia di Uribe è stata vittima di questa piaga che è durata mezzo secolo: il padre è stato, infatti, ucciso dai guerriglieri.

 

Durante la sua presidenza Uribe ha innescato una lotta senza quartiere alle FARC, anche con l’aiuto degli Stati Uniti che oltre a una montagna di soldi (si parla di 300 milioni di dollari di aiuti militari) hanno inviato anche armi ed  esperti militari (si parla di 200 mila morti causati dalla guerriglia). Così, dopo tanti anni di conflitti, l’attuale Presidente Manuel Santos (che è stato ministro della Difesa sotto la Presidenza Uribe) è riuscito a concludere un accordo con i guerriglieri, che prevede la restituzione delle armi e la fine dei combattimenti. Un accordo che oggi Uribe ritiene una vera sciagura. I motivi, secondo lui, sono essenzialmente nove:

 

  • Con questo accordo viene garantita l’immunità a chi ha ucciso e rapito, mentre la stessa immunità non viene garantita ai paramilitari che hanno combattuto i guerriglieri e i narcotrafficanti;
  • Nessuno paese al mondo ha stretto accordi di pace con i terroristi;
  • Dopo gli accordi la criminalità non è diminuita, anzi, sono aumentati i sequestri, le estorsioni, gli attentati con autobomba;
  • Le lunghissime trattative hanno solo consentito alle FARC di rafforzarsi e arricchirsi in maniera sconsiderata:
  • Non viene chiesto l’indennizzo alle famiglie delle vittime del terrorismo con la restituzioni dell’immenso patrimonio economico accumulato sul sangue di tante gente. Ciò consentirà ai guerriglieri in qualsiasi momento di riarmarsi e di ricostituire il più grande arsenale del mondo.
  • Le forze armate sono state messe sullo stesso piano dei terroristi e solo i militari verranno giudicati. Eppure le forze armate non hanno operato in difesa di una dittatura ma a servizio della democrazia. Molte delle accuse di violazione dei diritti umani si sono comunque rivelate false.
  • Il Presidente Santos, in passato fiero oppositore del governo di Chavez in Venezuela oggi, a seguito degli accordi con i guerriglieri appoggiati da Caracas, è diventato un amico del tiranno Maduro.
  • Garantisce i diritti politici ai terroristi che, quindi, si possono candidare, e vieta le estradizioni.
  • Se nel decennio 2002-2011 la produzione di cocaina era scesa da 585 tonnellate a 180, con i negoziati in corso è già arrivata nel 2015 a 420 tonnellate.

 

Sono obiettivamente delle argomentazioni valide. Tuttavia a Uribe, durante l’incontro organizzato da Mediantrends, è stato chiesto se è vero, come sostengono le opposizioni, che durante il suo governo sono stati compiuti drastici tagli allo Stato Sociale nel campo dell’ Istruzione (che avrebbe colpito 300 mila bambini in età scolastica), della Sanità (con la privatizzazione degli ospedali e lo smantellamento degli ambulatori) e del lavoro (con un notevole innalzamento degli orari di lavoro). Inoltre, sempre secondo gli oppositori e diverse ONG, durante il suo Governo la pratica della tortura sarebbe aumentata dell’80% da parte di alcuni corpi dello Stato.  Se tutto ciò fosse vero, viene spontaneo chiedersi:  Fino a che punto questi tagli sociali non hanno contribuito ad alimentare la guerra civile in Colombia e ad accrescere un certo consenso intorno ai guerriglieri?  

 

“Ho bisogno di fare un sospiro”, è stata la prima risposta volutamente scherzosa di Uribe. Poi ha argomentato: “Abbiamo trattato tutti i partiti con profondo rispetto; abbiamo dato una grande importanza agli investimenti e alla politica sociale. La povertà è scesa dal 52% al 37%. La disoccupazione dal 16% al 9%. Tutto ciò nonostante la grave crisi economica internazionale iniziata nel 2008. L’insegnamento nelle scuole elementari”, ha proseguito Uribe, “è cresciuto del 100%. L’istruzione media è passata dal 58% al 78%. Quello universitario dal 22% al 36%.  Lo stesso è avvenuto nell’ambito delle scuole tecniche e professionali. La Colombia” ha sostenuto ancora Uribe, “spende 500 dollari a testa per la sanità. Esiste, poi, una copertura assicurativa per tutta la popolazione. E non abbiamo cambiato la durata delle giornate lavorative”.

 

Passando alla realtà odierna Uribe ha dichiarato: “Oggi ci sono meno occupati. Il debito ha raggiunto il 6% del Pil. Il deficit fiscale è aumentato notevolmente e l’inflazione dal 2,31% è passata all’8,65%. Sul piano dei diritti dell’uomo, la Colombia rappresenta una delle democrazie più solide e durature del Continente. Le forze armate non sono espressione di un regime militare dittatoriale ma di governi democratici. Purtroppo siamo arrivati all’assurdo che alcuni militari sono costretti a confessare delitti non commessi per evitare di andare in prigione. Si sta, cioè, creando un precedente gravissimo ai danni della morale delle forze armate, attraverso l’introduzione bugie e falsità nella nostra storia. Noi”, ha aggiunto Uribe, “abbiamo tolto ai paramilitari la possibilità di essere eletti. Il governo, al contrario, li garantisce ai terroristi. Inoltre, intende legalizzare il narcotraffico, nonostante che la nostra legislazione non sia proibizionistica in assoluto. Da noi, ad esempio, il consumatore non viene punito”.

 

In questa babele di dati contraddittori per un osservatore esterno rimane ovviamente molto difficile formulare dei giudizi definitivi, soprattutto in presenza di situazioni tanto complesse e tragiche come quelle vissute dalla Colombia. Da un lato, non va mai dimenticato che la nascita della guerriglia ha delle motivazioni basate sui profondi squilibri sociali caratterizzanti la società colombiana. Dall’altra, non c’è dubbio che per autofinanziarsi la Farc ha fatto ricorso a sistemi illeciti e criminali. In questo processo s’inserito anche la lotta al narco traffico che gradualmente è diventata una lotta a senso unico, con una commistione tra i guerriglieri e narcotrafficanti.  Quello che è certo è che la Colombia e i colombiani hanno oggi un assoluto bisogno di pace. Se, poi, la tregua (manca la firma finale) firmata il 23 giugno del 2016, dopo 50 anni di ostilità e alla presenza del leader cubano Raul Castro e dal segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon, sia una pace giusta o sciagurata, lo potrà dire solo la storia. E solo allora sapremo anche chi ha ragione tra l’attuale presidente della Colombia Manuel Santos e l’ex Presidente ed ex amico Alvaro Uribe.