( Foto: la capitale l’Avana. Nel riquadro Alessandro Zarlatti). –

Pochi italiani sono in grado di dare un’informazione più dettagliata e imparziale sulla complessa realtà cubana del giornalista e scrittore Alessandro Zarlatti. È dal 1995 che vive alternativamente in Italia e a Cuba, dove si è anche sposato e ha una figlia.  Numerosi sono le sue pubblicazioni, servizi in video e libri scritti sull’isola, tra cui ‘Alcune strade per Cuba”, “Il Salto”, “Quattro parti di lui”, “Destino Cuba”: tutti pubblicati da importante case editrici come Overture e Writeup Site,e presentati oltre che a Cuba anche in diverse città italiane.

Sull’isola caraibica Zarlatti ha avuto modo di frequentare numerosi artisti, scrittori e intellettuali cubani. Ha svolto anche un’intensa attività di docente di lingua e cultura italiana come Vicedirettore della Dante Alighieri e Direttore dell’Accademia Leonardo da Vinci dell’Avana. È stato anche esaminatore autorizzato dall’Università̀ per stranieri di Perugia per l’esame internazionale CELI.

Oltre alla Rai, dell’attività di Zarlatti si è occupato anche la televisione di Stato cubana con degli special. Inoltre, sul giornale Granma International Italia sono usciti diversi articoli sulla sua attività di scrittore e insegnante. Attualmente dirige il Centro dell’Idioma Italiano per Ispanofoni che si occupa di impartire corsi di lingua italiana per stranieri madrelingua spagnola (www.idiomaitaliano.it). Infine, nel 2021 ha creato il blog meditazionea4zampe.com sul quale scrive settimanalmente articoli su pratiche di meditazione e cinofilia. Attualmente Zarlatti continua a impartire lezioni on line di italiano per stranieri. Per contatti: zarlatti@yahoo.com

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Punto Continenti, in collaborazione con la sede romana dell’Università Internazionale per la Pace (creata dalla Nazioni Unite nel 1980, con sede principale in Costa Rica) e la REARadiotelevisioni Europee Associate, sta eseguendo una serie di indagini e interviste sul ruolo dell’America Latina nella nuova geopolitica mondiale.   Per la realizzazione e diffusione di questa indagine Punto Continente s’avvale della collaborazione esperti di organizzazioni come lIILA (l’Organizzazione Internazionale Italo Latino Americana)Mediatrends America Europa (gestito dal giornalista Roberto Montoya che organizza incontri internazionali di alto livello); il Movimento Tutela Sociale (un Movimento d’opinione internazionale – vedere la pagina Facebook  https://www.facebook.com/groups/508452549970758/); nonché programmi giornalistici, radiofonici e televisivi come Sentir Latino, diretto dal giornalista Luis Flores, che va in onda in Italia (su Radio Mambo e presto su One Tv) e in America Latina. Ma ecco l’intervista.

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Zarlatti, la realtà cubana ha sempre alimentato molte discussioni. Per certi versi sul piano delle Nazioni, ha rispecchiato l’eterna lotta tra Davide e Golia. Per la sinistra estrema è stato un modello, un punto di riferimento, una piccola isola che ha osato contrastare il gigante americano. Invece, per la destra Cuba ha rappresentato un pericolo estremo e contagioso da non far ripetere in nessun’altra parte del mondo. Questo è stato anche uno degli obiettivi  della politica estera americana. Per una persona come te, che ha da molti anni segue da vicino quest’isola, cosa ha rappresentato e cosa ancora rappresenta la Rivoluzione cubana?

È stata un punto di riferimento molto forte, molto potente, sia a destra che a sinistra e anche per il centro. Perché alcuni avvenimenti sono avvenuti in un periodo di forte ideologizzazione dove i movimenti  ispirati alle dottrine marxiste prendevano corpo e si confrontavano ed  evolvevano. In poco più di un secolo c’è stata la Rivoluzione di Ottobre, l’avvento del comunismo in Cina, la creazione del blocco dell’est europeo. A tutto ciò possiamo aggiungere la rivoluzione cubana fatta da persone come Fidel Castro, Che Guevara o Camilo Cienfuegos che avevano indubbiamente un particolare fascino e carisma personale.

È stata una rivoluzione che ha colpito al cuore del capitalismo.  Inoltre, alcune campagne portate avanti dalla rivoluzione del ’59 come, ad esempio, la campagna di alfabetizzazione, di confisca dei beni, di espulsione e fuga di grandi industriali, di nazionalizzazione dei terreni, non potevano passare sotto silenzio. Cuba nei primi anni della rivoluzione ha rappresentato un grande esempio positivo  per la sinistra e, ovviamente,  negativo per la destra capitalista. Anche il rapporto con la chiesa fino a pochi anni fa è stato complicato. Solo dopo gli incontro di Fidel Castro con Papa Giovanni Paolo II, con Benedetto XVI e con Papa Francesco, la situazione è migliorata. In passato tutto era vietato, non solo per la chiesa cattolica ma anche per le religioni autoctone come l’Orisha o la Santeria. 

Ancora oggi si parla della crisi dei missili del 1962, che ha rischiato di trasformarsi in una guerra mondiale. Secondo te, per come sono finite le cose, dal confronto tra l’Unione Sovietica e Cuba, tra il leader russo Nikita Krusciov e il Presidente John Kennedy, chi è uscito meglio sul piano dell’immagine internazionale? E come ne è uscito fuori Fidel Castro, sia in patria che all’estero?

La crisi dei missili del ’62 è stata una crisi importante, rappresentata cinematograficamente in vari film, tra cui  l’ultimo che si chiama Thirteen Days, (13 giorni),  con Kevin Costner. La trama del film è abbastanza fedele rispetto agli avvenimenti  che hanno radici anteriori all’invasione della Baia dei porci, la maldestra spedizione intenzionata a rovesciare Castro e risalente all’aprile del 1961.

All’epoca l’Unione Sovietica aveva una forte percezione che Kennedy fosse un Presidente sostanzialmente debole, incapace di opporsi all’installazione dei missili sovietici a Cuba. Il pretesto di questa scelta è stata proprio l’invasione della Baia dei porci, messa in atto dalla CIA degli Stati Uniti per mezzo di un gruppo di esuli cubani anticastristi, fatti sbarcare nella parte sud-ovest dell’isola: missione fallita miseramente. Per i sovietici si trattava di difendere un grande alleato. 

Sappiamo tutti come è finita: Krusciov, dopo le minacce di guerra di Kennedy  è stato costretto a riportare i missili a casa.  Una scelta molto criticata all’interno e che probabilmente gli è costata la leadership poco dopo.  

Chi è uscito bene e chi male?

Per me sono usciti bene tutti perché si è evitato la guerra.

L’Unione Sovietica, è vero, ha dovuto rinunciare ad un avamposto ravvicinato agli Stati Uniti ma in compenso gli americani hanno smantellato le basi in Turchia, Italia e Gran Bretagna, oltre a impegnarsi a non invadere nuovamente Cuba.

Anche per Fidel le cose sono andate bene: da quel momento Cuba ha potuto beneficiare di un consistente sostegno economico che ha migliorato notevolmente le condizioni di vita dei cubani. Uno ‘stato di grazia’ che ha consolidato il potere di Castro ma che è finito con la caduta del muro di Berlino.

A proposito di Fidel Castro, quale profilo psicologico e umano si può tracciare del cosiddetto Lider Maximo?

Questo è un argomento molto dibattuto. Diciamo, innanzitutto, che bisogna scindere il suo profilo rivoluzionario da quello di uomo del popolo che si interessato a migliorare le condizioni di vita dei più poveri. Per me ha incarnato come nessun altro la cosiddetta cubania, cioè, la capacità di mostrare due volti. La gente lo ha amato e odiato allo stesso tempo, restando comunque sempre condiscendente verso il vecchio e grande leader. Dal canto suo, Fidel, uomo intelligentissimo e astutissimo, ha costruito su questa ambivalenza un’intera carriera politica.

Io ero a Cuba quando è morto Fidel nel novembre del 2016.  Posso assicurare che tantissimi antirivoluzionari hanno pianto lacrime sincere. La ragione è che lui aveva una credibilità come combattente. Ed è stato proprio questo che gli ha permesso di restare per sessant’anni al potere. Lui non è stato un burocrate di partito ma un uomo che ha combattuto, che è stato picchiato, imprigionato, torturato e che si è salvato da una serie infinita di attentati.

Non dimentichiamo, poi, che ancora prima di completare la rivoluzione, Castro era partito dal Messico con circa 80 uomini, molti dei quali morti poco prima dello sbarco sull’isola a causa delle cattive condizioni del mare. Altri sono caduti in occasione del fallito assalto della caserma della Moncada o a seguito dei combattimenti avvenuti sulla Sierra Maestra.  Insomma, Castro per i cubani è un uomo che ha rischiato in proprio, che non ha preso il potere seduto in ufficio, ma che ha sofferto e rischiato molto, e quindi è meritevole di ogni rispetto.

Si è molto parlato di una sotterranea ma forte rivalità tra Castro e Che Guevara che ha partecipato alla rivoluzione cubana ma poi ha combattuto in altri Paesi, tra cui la Bolivia dove è morto. Per caso Castro si era un po’ ingelosito della grande fama internazionale acquisita dal Che? In ogni caso, è vero che negli ultimi tempi ci sono stati dei contrasti tra i due sul piano della visione politica?

Se ne è parlato di qualche contrasto avvenuto durante l’ultima fase della presenza del Che a Cuba. Lo si collega anche al fatto che a partire dalla metà degli anni sessanta il Che è passato quasi a vita privata. Personalmente credo poco a queste divergenze che, comunque, non sono state mai profonde. Del resto, il problema non esisteva: anche se il Che ha avuto la nazionalità cubana rimaneva sempre uno straniero che mai avrebbe potuto sostituire Fidel.

Inoltre, il Che ha occupato diversi posti importanti come la direzione dell’Istituto Nazionale della Riforma Agraria e la presidenza della Banca Nazionale di Cuba: ruoli che, secondo alcuni esperti,  non avrebbe svolto in maniera brillantissima. Del resto, il Che non era un economista ma un combattente rivoluzionario. In precedenza, si era occupato anche dei crimini di guerra, forse la sua attività più oscura e criticabile considerate le diverse condanne a morte che portano la sua firma.

Non credo, comunque, che Fidel abbia sofferto la personalità del Che anche se, sul piano internazionale, il Che ha indubbiamente suscitato un grande fascino, soprattutto all’interno del mondo giovanile all’epoca in piena contestazione sessantottina.

Che si siano lasciati in armonia lo conferma anche la lettera di commiato scritta dal Che prima di partire per la Bolivia, nella quale ringrazia e saluta calorosamente Fidel e Cuba. E anche in Bolivia il Che ha potuto godere di tutto l’appoggio di Castro.

Semmai, qualche rivalità con Castro lo si potrebbe intravedere con un altro rivoluzionario della prima ora: Camillo Cienfuegos, molto amato dal popolo. Lui è stato fortemente acclamato quando i rivoluzionari sono entrati all’Avana.

Cienfuegos è stato, poi, vittima di un misterioso incidente aereo al rientro da una missione che non condivideva del tutto: parlo dell’arresto del rivoluzionario Huber Matos Benitez, caduto in disgrazia. Ebbene, ancora oggi la morte di Cienfuegos viene celebrata con grande partecipazione dai cittadini cubani. Per la cronaca, il suo corpo e i resti dell’aereo non sono mai stati ritrovati.

Dopo oltre sessant’anni che bilancio si può fare della rivoluzione cubana in termini di qualità della vita, benessere sociale e libertà personali?

I sessant’anni della rivoluzione cubana non vanno visti in modo lineare. Il Paese ha attraversato momenti molto differenziati. Fino alla caduta del muro di Berlino, ad esempio, Cuba ha beneficiato del grande sostegno politico ed economico dell’Unione Sovietica. In pratica ha vissuto all’interno di una economia drogata dove le sue esportazioni venivano pagati con prezzi completamente fuori mercato. In quel periodo la qualità della vita e il benessere dei cubani è sicuramente migliorato di anno in anno.

Un altro spartiacque è avvenuto dopo la morte di Fidel nel 2016, anche se ormai era andato in pensione. La sua personalità e il suo carisma, hanno aiutato molti cubani a sopportare molte difficoltà. La situazione è poi migliorata con l’avvento della presidenza Obama negli Stati Uniti: la sua politica di apertura e di graduale neutralizzazione dell’embargo hanno subito inciso positivamente sulla crescita economica di Cuba. Purtroppo, con l’avvento di Trump si sono fatti subito molti passi indietro.

Oggi la situazione è decisamente difficile, siamo ai limiti della sussistenza, manca tutto. Ad aggravare questa realtà ci ha pensato poi la pandemia del Covid. Il Paese è, comunque, afflitto da una crisi strutturale e da una serie di scelte economiche molto discutibili, come la gestione del cambio della moneta.

Per quanto riguarda le libertà personali, per come le consideriamo in occidente, a Cuba si è ancora in grande ritardo sul piano dell’informazione, della cultura, dell’arte. Molti scrittori sono stati costretti ad emigrare. Anche le libertà sessuali sono abbastanza compresse. È vero che il 25 settembre un referendum popolare ha approvato un nuovo codice della famiglia che legalizza i matrimoni gay, l’adozione da parte di coppie dello stesso sesso, ecc. Però, finché non ci saranno libere elezioni tutto il resto saranno sempre delle piccole aperture, dei palliativi politici.  

Cosa è cambiato a Cuba dopo la morte di Fidel e l’ascesa al potere prima del fratello Raul e poi di Miguel Diaz Canel, praticamente sconosciuto e in Europa e nel mondo?

Caduto il grande ombrello protettivo di Fidel, è salito al potere il fratello Raul che pur non avendo alcuna presa sul popolo rappresentava un legame storico con i vecchi rivoluzionari.

Con l’arrivo di Miguel Diaz Canel il clima è cambiato completamente. Ingegnere e accademico, Canel nella sostanza è un grande burocrate, da molti considerato un cane da guardia della rivoluzione.  Infatti, in molti casi si comporta più da super poliziotto che da politico e statista. È un leader assolutamente mediocre che sta togliendo il tappo a una serie di conflitti sociali che in passato la semplice presenza di Fidel riusciva a tenere a bada.

La stampa internazionale, ormai poco interessata alle questioni cubane, non ha raccontato le tante sommosse popolari soffocate con la forza.

La mia sensazione è che il Paese sta vivendo all’interno di una pentola a pressione che potrebbe scoppiare da un momento all’altro. Il passaggio dell’uragano Ian è stato gestito in modo disastroso, continuamente le città rimangono senza elettricità o senz’acqua. In altri tempi il popolo era più tollerante ma oggi non ne può più. Non credo che l’attuale dirigenza possa mantenersi al potere senza profondi cambiamenti o facendo ricorso solo alla repressione.

In America Latina circola molto la teoria che sono proprio gli americani ad essere i primi a non auspicare il crollo del regime cubano, che è sempre molto utile per giustificare ogni intervento, anche militare, in grado di impedire l’ascesa di un nuovo governo di sinistra, soprattutto in quell’Area. Cosa ne pensi?

In parte è così. Cuba serve quasi esclusivamente come spauracchio, ma pure su questo terreno non manca la concorrenza: oggi va di moda dire ‘attenti che finirete come il Venezuela o il Nicaragua’. Voglio dire, che se escludiamo il ruolo dello spauracchio, agli Stati Uniti interessa pochissimo cosa avviene a Cuba. Intanto, l’isola non può più contare sul grande alleato sovietico che non esiste più. Con questo non intendo dire che le unghie degli Stati Uniti non continuino a farsi sentire ovunque ci sia un interesse americano. Ma la pressione ormai è più articolata. Il  Venezuela è molto più assediato di Cuba a causa del suo petrolio, la Bolivia per le sue materie prime. Cuba praticamente non ha niente.

Esiste, è vero, una forte comunità di esiliati e anticastristi cubani diventati ormai americani. È tutta gente che vota  in maggioranza per i repubblicani. E quindi conta, soprattutto prima delle elezioni. Paradossalmente oggi gli americani confidano che il Governo cubano riesca a evitare massicce emigrazioni impedendo ai cittadini cubani di uscire dal Paese: infatti, possono solo andare in Nicaragua.  

Personalmente come vivi questa crisi cubana?

Parliamoci chiaro, io amo questo Paese e questo popolo. Mi sono anche sposato e ho avuto una figlia a Cuba. Avendo poi avuto una formazione di sinistra, per me l’isola per molti anni è stato un sogno, un mito. Quindi mi può solo dispiacere profondamente che il Paese si trovi in questa difficile situazione. Mi domando solo come si fa a governare senza sentire la voce del popolo?

All’interno del Paese sta nascendo una forma di opposizione ma che è ancora molto debole sul piano organizzativo. Ormai sono rimasti pochissimi rivoluzionari della prima ora e che in fondo fanno solo un monumento a sé stessi. Nel frattempo, si è creata una casta di burocrati ed esponenti dell’esercito che non ha nessuna voglia di mettere in discussione il potere e i privilegi acquisiti.

La gente per ora può solo scappare: nel 2021 sono andati via ben 200mila persone su una popolazione di 11milioni di abitanti. E pensare che per andare a Nicaragua, passare per il Messico, attraversare Rio Bravo e finire in un centro di raccolta americano bisogna spendere circa 10mila dollari, con la speranza, innanzitutto, di sopravvivere e poi di non essere semplicemente rispedito a casa. Solo la disperazione più completa può comportare una simile scelta per sé stessi e per la famiglia. Altri cubani decidono di andare in Turchia o a Montenegro.

Eppure, ci sono tantissimi giovani cubani colti e preparati, anche tecnologicamente, che sarebbero perfettamente in grado di risollevare il Paese. Ma non lo possono dimostrare e farsi valere nelle piazze se non vogliono rischiare di finire per 20 o 25 anni in prigione.

Come si muoverà Cuba nella nuova geopolitica mondiale?

Penso che sia giunta l’ora che Cuba cominci a camminare  sulle proprie gambe senza vivere a ‘ricasco’, come dicono gli stessi cubani, su altri Paesi. Durante il periodo coloniale Cuba dipendeva dalla corona spagnola, poi è diventato un protettorato americano, poi è stato sostenuto dai sovietici, ora si affacciano timidamente i cinesi. Per molto tempo l’economia era affidata solo alla produzione della canna da zucchero. Quando le condizioni di mercato sono cambiate c’è stato il crollo. A Cuba non si riesce nemmeno a coltivare il mango, un frutto che praticamente nasce ovunque. E questo perché manca la volontà di creare una filiera in grado di produrre succhi mango, di processarli, inscatolarli, esportarli.

Oggi tutto è concentrato sul turismo. Ma ancora una volta non ci sono le necessarie infrastrutture e non si può ripetere l’errore di puntare tutto su uno o su pochissimi settori. È vero che Cuba ha una formidabile produzione di farmaci, che i medici cubani sono rinomati, che esiste un’avanzata biotecnologia.  Ma Cuba può fare di più, molto di più. Potenzialmente le energie sono tante, vanno semplicemente liberate.

Come vedi il futuro dei rapporti tra l’Italia e Cuba? Quali settori offrono oggi le maggiori prospettive di collaborazione tra i due Paesi?

Italia e Cuba hanno sempre avuto buoni rapporti anche se la nostra diplomazia, probabilmente per motivi politici, ha mantenuto generalmente una posizione di basso profilo. Comunque, molti imprenditori hanno creduto alla possibilità di operare a Cuba. Alcuni hanno registrato buoni risultati, altri, purtroppo, sono falliti.

Ricordo che una parte consistente della ristrutturazione del centro di Avana è stata fatta da aziende italiane, sotto la direzione dello storico e restauratore Eusebio Leal, scomparso recentemente. I finanziamenti per questi lavori sono arrivati da molti Paesi tra cui in modo massiccio dall’Italia. Il centro storico dell’Avana è diventato un patrimonio mondiale dell’Unesco.

L’Italia potrebbe fare tanto perché praticamente Cuba ha bisogno di tutto. Esiste, poi, una grande affinità e simpatia di popolo. L’interesse cubano per l’Italia è notevole: l’ho potuto constatare nella mia attività di docente di lingua e cultura italiana. Notevole è stato, infatti, l’interesse per i miei libri, per tutta la mia attività culturale e di collegamento. Ma anche l’Italia e gli italiani debbono fare qualche sforzo: intanto guardare Cuba nel modo giusto e non attraverso i soliti e banali stereotipi, tipo, la ricerca di un turismo sessuale. Cuba è un’isola bellissima, ricca di storia e beni archeologici, culturali, folkloristici, dove si vive un’atmosfera unica, dove la genialità e l’intraprendenza degli italiani può trovare un terreno estremamente fertile. 

Intervista realizzata il  Ottobre 2022.

Videoclip del ‘Movimento Tutela Sociale’ vincitore del Premio ‘Musica per il sociale’ promosso dalle Radio e Televisioni della REA