Si tratta di una delle questioni più scottanti e controverse del momento. Parliamo della convenienza o meno di regolamentare l’uso delle droghe leggere, in particolare della marijuana. Ad affrontare questo delicato argomento è stato Alberto Breccia, Ambasciatore dell’Uruguay a Roma, nell’ambito di un incontro organizzato dal giornalista Roberto Montoya di Mediatrends America Europa: un Osservatorio indipendente che studia le tendenze dell’informazione internazionale. La scelta di invitare l’Ambasciatore Breccia non è, comunque, casuale: l’Uruguay, guidato dal Presidente José Mujica, per molti considerato un mito per il suo stile di vivere essenziale,  ha avviato un esperimento di regolamentazione seguito con grandissimo interesse tutto il mondo.

 

Infatti, dal mese di dicembre 2013,  l’Uruguay è la prima Nazione al mondo ad aver eliminato la cannabis dalla lista delle sostanze illegali e la prima in assoluto ad aver rotto il fronte dei 188 Paesi aderenti ai Trattati internazionali che dal 1961 disciplinano la lotta al traffico e al consumo di sostanze stupefacenti, vietando tassativamente qualunque forma di legalizzazione. Fino ad ora solo l’Olanda e gli Stati del Colorado e di Washington negli USA avevano in qualche modo dribblato il divieto con provvedimenti ambigui.

 

In questi anni, comunque, diverse personalità internazionali, come l’ex segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan e l’ex Presidente brasiliano Fernando Cardoso, entrambi della Global Commission on Drug Policy, hanno chiesto a gran voce la fine di quella guerra che ha prodotto solo corruzione, morti e sistematiche violazioni dei diritti umani.

 

Ma cosa ha dichiarato in sostanza l’Ambasciatore Breccia durante l’incontro avvenuto in un importante albergo romano con giornalisti e rappresentanti del corpo diplomatico accreditato in Italia?

 

Dopo aver ricordato che la droga è ormai un flagello per il mondo e per l’America Latina l’Ambasciatore ha sottolineato come tantissimi anni di lotta contro il narco traffico abbia prodotto risultati molto deludenti. In compenso sono aumentati gli assassini, il potere delle bande criminali, la corruzione del mondo politico. Inoltre, la tentazione dei facili guadagni illeciti attira un crescente numero di giovani. Non ha quindi senso proseguire sulla strada del proibizionismo e della tolleranza zero. Questa politica è fallita. Quindi vale la pena di tentare un’altra.

 

Per l’Ambasciatore si tratta anche di una questione sociale. Sempre di più si sta espandendo la ghettizzazione e lo sviluppo di un commercio clandestino soprattutto nelle zone più povere e ai margini delle grandi città. “Per questi e tanti altri motivi”, ha sostenuto, “è forse giunta l’ora di provare una nuova strada, sicuramente molto difficile e complicata ma che merita di essere percorsa. La strada della regolamentazione” ha aggiunto, “non significa certamente la  legalizzazione e la liberazione dell’uso della droga”.

 

In concreto, oggi in Uruguay, a seguito di una decisione molto sofferta in Parlamento, è possibile acquistare e consumare piccole quantità di marijuana per uso personale (massimo 40 grammi al mese) e di consumarla insieme a poche persone. Si può perfino coltivarla in dosi minime a casa. Tutto ciò è accompagnato da un vasto programma d’informazione e sensibilizzazione sui pericoli legati all’uso della droga.

 

Di parere completamente contrario si è dichiarato l’Ambasciatore del Venezuela, Julian Isaias Rodriguez Diaz, per il quale la depenalizzazione finirebbe per aprire semplicemente le porte al ricorso alle droghe più pesanti e a diffondere l’uso anche tra chi non lo faceva per timore della legge. Inoltre, potrebbe incrementare la circolazione della droga nelle carceri e tra i soldati mandati a combattere nei punti caldi del pianeta. Tra le altre cose l’Ambasciatore venezuelano ha voluto  ricordare la netta chiusura alla liberalizzazione delle droghe leggere espressa da Papa Francesco, che da latino americano conosce molto bene il problema nelle sua svariate faccettature.

 

Come c’era da aspettarsi, il dibattito alla fine ha forse creato più dubbi che certezze, anche perché su questo delicato fronte probabilmente non esiste una verità assoluta. Analoghi dubbi hanno accompagnato e accompagnano i dibatti sulla legalizzazione delle bevande alcoliche (da alcuni scienziati ritenute più pericolose della marijuana), dell’aborto o della prostituzione. Su un punto, però, tutti si sono dichiarati d’accordo nel corso del dibattito: l’Uruguay, per il suo elevato tenore culturale, per il fatto che non sia un Paese produttore, che i consumatori di droga siano molto limitati (del resto la popolazione complessiva è inferiore ai quattro milioni) e che rappresenti solo un Paese di transito della droga (soprattutto dall’America Latina verso l’Europa),  può rappresentare un eccellente esperimento da seguire con grande attenzione.

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