Foto: Sullo sfondo di San Paolo del Brasile, Alberto Aggio (a sinistra) e il Presidente Michel Temer

 

 

Il gigante è agitato. Parliamo del Brasile, il colosso sudamericano che sta attraversando una fase di grande incertezza politica. Dopo la sospensione per impeachment della Presidente Wilma Rousseff, avvenuta il 12 maggio del 2016 (la destituzione definitiva si è materializzata il 31 agosto) con la conseguente sostituzione operata dal suo vice e attuale Presidente Michel Temer, Il Brasile è entrato in una fase di grave instabilità politica. Insieme alla Rousseff è crollato l’intero Partito dei lavoratori (PT) e il suo carismatico leader, Luiz Inacio Lula da Silva: tutti travolti da una serie di scandali ed episodi di corruzione, anche se personalmente non risulta che la Rousseff abbia intascato delle tangenti.

Eletta la prima volta nel 2011, la Rousseff era stata riconfermata nel 2014. Nell’ ottobre del 2018 il Brasile tornerà a votare. Anche l’eterno Lula (già due volte Presidente), nonostante i guai giudiziari si ripresenterà: per la verità attualmente si trova in testa nei sondaggi. Tuttavia, buona parte dell’opinione pubblica brasiliana è convinta che i giochi siano  ancora del tutto aperti e non è escluso che il Paese possa ripiombare in una serie di disordini molto pericolosi per il futuro e per la stabilità della Nazione. Ma sentiamo cosa ne pensa Alberto Aggio,  Professore di Storia Contemporanea nello Stato di San Paolo del Brasile, autore di diversi libri (alcuni anche su Gramsci), nonché uno dei più importanti collaboratori del prestigioso giornale ‘O Estado de Sao Paolo’. 

 

Professore, c’è il rischio che il Brasile finisca come il Venezuela?

 

Lo escludo completamente. La sinistra è debole e divisa. Nessuna forza politica di destra o di sinistra è oggi in grado di alimentare un caos simile a quello che sta avvenendo in Venezuela. É vero che la società brasiliana presenta un elevato livello di insoddisfazione e che la crisi economica rimane sempre pesante, anche se ci sono dei segni di ripresa. Sicuramente avremo una campagna elettorale molto accesa ma tutto ciò non ha niente a che vedere con la situazione venezuelana.

 

Per molti anni in Europa si è parlato di una nuova sinistra nell’America Latina (Bolivia, Ecuador, Venezuela, Argentina, Brasile, Nicaragua). Crede che questo esperimento si arrivato al capolinea?

 

Diciamo che di tutti i Paesi da lei indicati l’unico che gode di buona salute è la Bolivia di Evo Morales. Sicuramente questo Presidente ha fatto molto per il suo popolo, sia per quanto riguarda la lotta alla povertà, sia sul piano della pacifica convivenza tra le varie ‘nazionalità’. Sul piano generale è difficile dire che quell’esperimento è finito: probabilmente è destinato a entrare in una nuova fase.

 

Parliamo del Mercosul, il mercato che raggruppa diversi Paesi dell’America del Sud. Dopo l’uscita del Venezuela, molti hanno la sensazione che nella realtà il Mercosul non esista più. Come stanno le cose?

 

L’uscita del Venezuela ha un’importanza molto relativa. É vero che il Mercosul ha attraversato un lungo periodo di crisi ma la sensazione è che in questo momento i due grandi Paesi, Argentina e Brasile, siano fermamente intenzionate a rilanciare il Mercato Comune e a concludere finalmente un significativo accordo con l’Unione Europea. Direi che sono abbastanza ottimista sul futuro del Mercosul.

 

Secondo lei quale influenza eserciterà la nuova amministrazione americana di Donald Trump sull’America Latina e in particolare sul Brasile?

 

Quali siano le vere intenzioni dell’Amministrazione Trump, non solo nei riguardi dell’America Latina e del Brasile ma di tutto il mondo, credo che non sia del tutto chiaro a nessuno. Però,bisogna essere onesti, fino ad ora Trump non ha cercato di interferire pesantemente nelle questioni interne del Brasile. Speriamo che non lo faccia in futuro.

 

Come si presenta in questo momento la questione sociale in Brasile?

 

Il Paese sta faticosamente tentando di uscire da una profonda crisi economica che ha riguardato, ovviamente, non solo il Brasile ma tutto il mondo. Purtroppo abbiamo ancora tanti poveri e le disuguaglianze sociali sono profonde. In questo momenti assistiamo a una leggera ripresa che certamente non basta a sanare una serie di deficienze strutturali e ingiustizie sociali. La questione sociale sarà sicuramente la grande protagonista delle prossime elezioni Presidenziali. A proposito della questione sociale, trovo molto interessante l’iniziativa che la REA (Radiotelevisioni Europee Associate) ha avviato in Italia allo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla necessità di rivitalizzare lo Stato Sociale. Vedrei molto bene un’iniziativa analoga attivata da radio e televisioni brasiliane.

 

Cambiamo argomento. Tra Italia e Brasile le relazioni politiche ed economiche sono sempre state eccellenti. Com’è possibile che il Brasile abbia tanta difficoltà a concedere l’estradizione di Cesare Battisti, condannato per diversi omicidi commessi quando era solo un criminale comune e non un combattente estremista? In ogni caso lei pensa che verrà presto estradato?

 

Purtroppo il caso Battisti ha un risvolto psicologico. Molti degli esponenti politici brasiliani provengono dalla lotta armata contro la dittatura militare e quindi solidarizzano con Battisti, dimenticando, appunto, che lui è stato condannato per crimini commessi prima della conversione politica e che in ogni caso l’Italia non era governata da una dittatura militare ma da un Governo democratico. Non credo che la sua estradizione sia una cosa imminente. Prima dovrà scontare la sua pena per il tentativo di esportare capitali. Tentativo che, a mio avviso, ha un po’ il sapore di un trucchetto eseguito proprio per evitare l’estradizione, visto che anche il Presidente Temer si è dichiarato favorevole a questa procedura.

 

Per concludere, cosa ci può dire delle chiese evangeliche che in Brasile stanno giocando un ruolo politico rilevantissimo?

 

Obiettivamente l’influenza delle chiese evangeliche sta crescendo in maniera notevole. I suoi membri operano sul territorio e conquistano, giorno dopo giorno, un consenso sempre più diffuso. Molte persone sono preoccupate di questa ascesa. Temono che dietro ci siano grandi interessi nazionali e anche internazionali. Probabilmente, un quinto dei membri del Congresso mantiene rapporti consolidati con gli evangelici. Personalmente, confesso, la cosa mi disturba un po’.  Come mi disturba la presenza di qualsiasi lobby o gruppo consolidato che agendo all’interno delle Istituzioni cerca di condizionare le scelte politiche che debbono essere nell’interesse di tutti.